L'Ue è la soluzione peggiore per il popolo, a eccezione di tutte le altre
Le lettere del 30 novembre al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Ma si sbrigano a stampare le card per arrivare prima che povertà sia abolita?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - I dipendenti in nero della ditta Ardima (di proprietà della famiglia Di Maio) erano per caso nipoti di Mubarak?
Giuliano Cazzola
Al direttore - La bocciatura della manovra da parte della Commissione europea impone qualche riflessione. Da oltre tre mesi il governo ha attivato una polemica contro l’Europa e contro la Commissione a tratti sgradevole e sgradevolmente ricambiata da alcuni commissari di Bruxelles, producendo, così, un danno per il paese prima ancora che si mettesse a punto la stessa manovra di Bilancio. La cosa sconvolgente è che i destinatari della polemica non dovrebbero essere i membri della Commissione ma i governi degli altri stati europei. Infatti, per chi lo avesse dimenticato, il legislatore europeo di prima battuta è il Consiglio dei capi di stato e di governo dei paesi membri e, a seguire, il Parlamento europeo che in genere conferma le decisioni del Consiglio. La Commissione europea fatta da politici degli stati membri e non da burocrati altro non fa che rispettare le regole decise dai governi nazionali. Nel corso degli anni, l’Italia non ha mai fatto mancare il proprio consenso e così nel passato sottoscrisse prima i trattati di Maastricht e poi quello di Lisbona del 1999. Prendersela allora con la Commissione è un errore marchiano legato all’impreparazione politica dei ministri e del presidente del Consiglio. Sul piano metodologico, il premier invece di assistere come spettatore allo spettacolo sgradevole e pericoloso delle polemiche quotidiane altro non avrebbe dovuto fare che richiedere una riunione straordinaria del Consiglio dei capi di stato e di governo degli stati membri, preparandola naturalmente sul piano diplomatico. A testimonianza di ciò che diciamo, c’è stata la presa di posizione ufficiale dei ministri delle Finanze austriaco e olandese, che hanno intimato alla Commissione di non far derogare nessuno dalle regole condivise. Per non parlare, poi, della posizione franco-tedesca, che in maniera ufficiosa ha confermato lo stesso orientamento nel silenzio degli altri governi dell’Eurozona, compresi quelli del gruppo di Visegrád ritenuti amici dal nostro esecutivo. Essersela presa, dunque, con l’interlocutore sbagliato, non sappiamo se per ignoranza o perché si parlava a nuora perché suocera intendesse, ha prodotto l’isolamento politico dell’Italia sul piano internazionale. Per dirla in maniera brutale, quando si parla di Europa non si parla di un soggetto terzo lontano dagli interessi dei cittadini, bensì dell’Europa dei governi degli stati membri dell’Unione e dell’Eurozona. E’ vero, e tutti lo riconoscono, che nell’ultimo decennio i governi nazionali non hanno più avuto un respiro europeo, un respiro cioè che mettesse nelle politiche europee gli interessi di tutti. Detto questo, però, se il Consiglio europeo non ha coltivato un pensiero politico europeo, è altrettanto vero che l’Italia e il suo sistema partitico, privati di ogni cultura politica da oltre venticinque anni, si sono smarriti in piccole polemiche di potere senza essere all’altezza del tempo che viviamo e l’Italia dal 1995 è cenerentola d’Europa per tasso di crescita, con la società intrisa di risentimento e di veleni. Venendo alla manovra, il nuovo governo appare ancora più inadeguato per un’ignoranza che traspare a ogni atto o dichiarazione e che invece di guidare una società smarrita, preoccupata e in parte anche disperata, insegue le pulsioni di una minoranza sulla rete o nelle piazze, innescando in tal modo un sistema peronista che significa in parole povere un autoritarismo senza pensiero politico e senza una visione del futuro. Insomma, se il deficit del 2,4 per cento fosse sostanziato da politiche di crescita vere e non fideistiche nessuno avrebbe avuto a che dire. Quando tutti i centri indipendenti, le Banche centrali nazionali ed europea, l’Istituto parlamentare di bilancio, l’Ocse, il Fmi, l’Istat e tutti gli altri istituti economici danno analogo giudizio sulle stime di crescita, un governo serio ci riflette e smette di dire che gli elettori così vogliono. Se alcune forze politiche hanno fatto promesse campate in aria lo spieghino ai propri elettori, perché diversamente saranno loro a trarre le conseguenze al tempo debito. Con il dramma che se ne accorgeranno quando la miseria sarà aumentata e l’Italia arrancherà sul piano nazionale e internazionale. I primi segnali sono già tutti presenti, con l’arresto della crescita e l’aumento della spesa per interessi sul debito pubblico. Infine sarebbe opportuno che tutti i rappresentanti di governo e della sua maggioranza portassero in Italia i propri risparmi onde evitare che con il proprio esempio dessero una testimonianza di rafforzamento di quell’incertezza percepita dai mercati che ha già prodotto un serio danno alla nostra economia.
Paolo Cirino Pomicino
Nella sua splendida nota quotidiana, mercoledì, Laurent Joffrin, direttore di Libération, ha scritto che i nazionalisti quando arrivano al potere fanno sempre la stessa cosa: “Vengono eletti in virtù del proprio odio per l’Europa e una volta al potere scoprono che dell’Europa non possono fare a meno”. Tutto questo, dice Joffrin, perché l’Unione europea, come la democrazia per Churchill, “è certamente la soluzione peggiore per il popolo, a eccezione di tutte le altre”. Le intenzioni di Salvini e Di Maio oggi è possibile che siano queste. Ma Joffrin dimentica un punto cruciale: quando l’Europa ci presenterà il conto per quello che stiamo facendo, questo governo siamo sicuri che sarà disposto a pagarlo? Si può sperare che quel giorno questo governo non ci sia più. Ma dovesse esserci ancora potremmo dire che per l’Italia i problemi con l’Europa forse sono appena cominciati.
Al direttore - Può piacere o non piacere. Ci sono sempre quelli che non sopportano, che mamma mia che noia, che tutto quel successo che hanno sempre le cose banali. Il fatto però che sette milioni di spettatori hanno tirato tardi per non perderle ste due guaglioncelle che per capirle c’è da leggere la didascalia ma che anche se non la leggi ne capisci tutte le intenzioni. Si fanno seguire imprigionando gli occhi nelle loro corse. Quel movimento le fa assomigliare al volo degli storni anche se sono sole due. L’Amica geniale ha fatto bingo. Spettatori e critica. Un progetto bello, di quelli che fanno pensare che siamo italiani, brava gente, capaci persino di commemorare la scomparsa di Bernardo Bertolucci con una serie televisiva che spopola anche al cinema perché di cinema si tratta. Di immagini curate, composte, garbate, curiose. Le due protagoniste sono di una bellezza che le rende brave con una certa facilità. Tutto questo signori non è frutto del caso, non si tratta di una mano fortunata, non appartiene alla televisione di Stato di oggi. E' la Rai di ieri. Tutto questo è un magnifico, sorprendente, frutto di Campo. Con Gubitosi nel 2013 si cominciò a parlarne ma è con Campo Dall’Orto che si parte, si chiude il contratto, si gestisce la messa in cantiere, si va, si va. Bella stagione, anche se troppo breve. Noi eravamo fatti così. Fate voi.
Guelfo Guelfi