La meraviglia del Movimento 5 stalle e le colpe dei figli che ricadono sui padri
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - C’è questo problema dei bambolotti dalla pelle bianca a Palazzo Chigi.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Solidarietà a babbo Di Maio, costretto a recitare una parte forse più grande dei suoi presunti illeciti. Senza il clima “infame” alimentato da Luigi, oggi non sarebbe lì, in quel video, a pronunciare parole magari scritte da Rocco Casalino. Che scena triste. Le colpe dei figli ricadono sui padri.
Vincenzo Clemeno
La meraviglia del movimento 5 stalle.
Al direttore - Venerdì scorso, mentre Parigi letteralmente bruciava, il Parlamento francese ha introdotto nel codice penale il divieto di allentare un ceffone o una sculacciata ai propri figli. Un provvedimento che nelle intenzioni del legislatore, dovrebbe mettere al riparo i bambini dalle violenze domestiche. Non ho letto il testo della norma per cui non so dire se sono previste deroghe per i genitori con il gilet giallo.
Valerio Gironi
Le rivolte sono spaventose. Ma quando si governa essere popolari non è una condizione necessaria per essere dalla parte giusta e agire nell’interesse di un paese.
Al direttore - Caro Cerasa. La fisionomia politica che si è abituati ad attribuire in Italia alla destra e alla sinistra, sta rapidamente cambiando. Un esempio sono le politiche del lavoro. Per lungo tempo è stata considerata politica “di destra” l’abolizione del monopolio statale dei servizi di collocamento. Per tutti gli anni Novanta, il Pci e poi il Pds continuarono a difendere il monopolio statale del collocamento, considerato strumento di difesa della dignità e della libertà dei lavoratori contro le discriminazioni. Tale monopolio era destinato, però, a scontrarsi con la giurisprudenza comunitaria che qualificava gli uffici pubblici di collocamento come impresa, soggetta quindi agli obblighi di libera concorrenza, ma in quanto titolari di un monopolio legale del servizio di collocamento in esclusiva, abusavano di una posizione dominante. Questa fu considerata illegittima e anti concorrenziale, poiché non consentiva ai privati di svolgere la medesima attività. Così nel 1997 ad abolire quell’insensato monopolio statale fu la maggioranza di centrosinistra, di cui faceva parte anche Rifondazione comunista. E’ andata così anche per la regola della rigida inderogabilità del contratto collettivo nazionale, per anni considerata sacra dalla sinistra, poi travolta dall’accordo interconfederale del giugno 2011, firmato anche dalla Cgil; e è andato così per l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, come modificato dal Jobs Act (approvato anche dal Pd).
Oggi invece ci troviamo di fronte a una coalizione gialloverde (che di sinistra non può essere definita) che demonizza il Jobs Act e lascia inalterato l’art. 18 e che punta sul rafforzamento dello stato nel lavoro, investendo sui centri per l’impiego senza guardare al privato.
Andrea Zirilli
Al direttore - Quando non si hanno idee si usano parole, possibilmente senza senso. Anzi si conia una neolingua che reinterpreta la realtà rivestendola di pseudoconcetti. Come l’assessore all’Ambiente del comune di Roma che esordì affermando che da allora in avanti i rifiuti dovevano essere chiamati post materiali. E che ti frega quindi se sotto casa tua si accumulano i post materiali? Al ministero dell’Ambiente siede invece un Forrest Gump dell’ambiente che l’altro giorno ha comunicato via Twitter la sua soddisfazione per l’arresto di un (1) bracconiere. Oltre a questo, il nostro ha dichiarato il ministero plastic free, subito seguito dalla sindaca romana e per non restare indietro anche dalla regione Lazio. Plastic free? Il ministro in questione porta un paio di occhiali ovviamente di plastica, come di materiali plastici immagino siano fatti i computer, le stampanti, le fotocopiatrici e chissà quanta altra roba in quell’edificio. Dove gli impiegati si domandano se le comode Bic dovranno essere sostituite da cannucce di legno e calamaio come ai tempi dei loro bisnonni. Pare saranno invece tollerate eventuali fibre sintetiche facenti parte dell’abbigliamento quotidiano. Di un’enorme bufala quindi si tratta. Alla fine plastic free significherà la messa al bando di qualche prodotto monouso, come i piatti in plastica delle mense scolastiche e poca altra roba. Ma solo una conoscenza del mondo da asilo nido può dichiarare una parte del mondo per quanto limitata libera da uno dei materiali che più e in meglio ha cambiato la nostra vita, penetrandola in ogni suo aspetto. Ma le plastiche non sono degradabili! Infatti attendiamo con ansia un provvedimento che ci obblighi a costruire case, automobili, arredi e strade biodegradabili. Possibilmente anche gli ombrelli.
Marco Martini
Al direttore - Ho sentito che il Popolo della famiglia ha presentato il 9 novembre, presso la Corte suprema di cassazione un disegno di legge di iniziativa popolare sul Reddito di maternità. Saranno raccolte 50.000 firme in tutta Italia perché possa essere presentata alla Camera e poi divenire legge. Mi sembra una cosa rivoluzionaria in quanto “si istituisce l’indennità di maternità per madri lavoratrici nell’esclusivo ambito familiare”. Tale indennità, pari a 12 mila euro annui netti, privi di carichi fiscali o previdenziali fino a 8 anni del bambino. Alla nascita del secondo riparte da zero e dopo il quarto diventa vitalizio.
Se, invece, ci sarà un bimbo disabile, il reddito di maternità diventerà subito vitalizio. E’ un’iniziativa che a mio modesto parere disincentiverà l’aborto, grande piaga sociale che ha portato ad avere una nazione di anziani e aiuterà tante donne a fare le casalinghe. Mi permetto di condividere la mia personale esperienza. All’età di vent’anni emigrai in Piemonte in cerca di lavoro perché “costretta” da una situazione economica familiare disagiata (lavorava saltuariamente solo mio papà). Oggi sono una mamma di tre splendidi ragazzi, sono impiegata da trent’anni. Ho sempre sognato di fare la mamma: quindi, mi chiedo il motivo per il quale alcune donne che amano fare le mamme non possano avere la possibilità di scelta tra l’attività lavorativa in casa o fuori. Mio marito è impiegato statale e io sono impiegata in un’azienda privata. Quando abbiamo avuto la nostra prima figlia (25 anni fa), e poco dopo sono rimasta incinta del secondo (hanno 16 mesi di differenza), volendo io rientrare subito al lavoro, ci siamo informati per usufruire del nido. Il costo per ciascun bambino era di 800 mila lire, senza sconto per il fratellino, oltre alle spese di riscaldamento, alla tassa d’iscrizione e, se si fossero ammalati, a queste anche quelle di una baby-sitter. Fatti tutti i conti, non avevamo la possibilità di affrontare questi costi. Sarei quindi andata al lavoro solo per conservare il mio posto, ma senza guadagno, anzi rimettendoci. Per la prima figlia avevo potuto usufruire solo della maternità obbligatoria, perché lavorando nel privato, la facoltativa era subito ridotta al 30 per cento. Avevamo deciso, quindi, con mio marito, che avrebbe preso lui la paternità facoltativa che andava a scaglioni per i primi mesi al 70 per cento fino al 30. Se ci fosse stato il Reddito di maternità, avrei scelto di stare a casa, contribuendo all’economia della famiglia e magari potendo anche ritornare nella mia regione di origine. Oggi, dopo trent’anni di doppio lavoro – si proprio così (dentro e fuori casa) – sono contenta di questa proposta che il Popolo della famiglia ha presentato e per la quale serviranno 50.000 firme affinché possa tramutarsi in legge.
Non è una proposta medievale perché finalmente la donna potrà scegliere tra la carriera lavorativa e il rimanere a casa a fare la mamma. Finalmente nessuna costrizione, ma libertà di scelta. A volte percepisco un senso di masochismo al femminile perché non si sopporta l’idea di una mamma che serenamente possa stare su un divano abbracciata ai suoi bambini ed essere riconosciuta come un “valore sociale”. Questa proposta guarda alla maternità non come a un problema ma come a un investimento, come un motore per farci uscire dall’inverno demografico. Una proposta di questo tipo dovrebbe essere pubblicizzata da tutte le femministe perché è un grande gesto di civiltà.
Lucianella Presta