L'opposizione combatte l'opposizione. Una risposta sul fake di cittadinanza
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 6 dicembre 2018
Al direttore - Sicurezza (di non vincere congresso) è libertà.
Giuseppe De Filippi
Il Pd sta riuscendo nel miracolo di far sembrare una cosa seria la barzelletta del governo.
Al direttore - Giù le mani dalle candeline! Il primo dicembre il New York Times ha pubblicato “L’ipocrisia di Chanukkah”, articolo sulla festa ebraica delle luci. L’autore del pezzo spiega che fra dolciumi fritti, candeline e regali ai bambini per otto giorni di fila “Chanukkah è festa grande per la maggior parte degli ebrei assimilati come me”. E questa sarebbe la prima delle ipocrisie. Che c’è di male, invece? Per un grande ebreo naturalizzato newyorchese, il Rebbe di Lubavitch, anche l’accensione di una candelina ha il potere di avvicinare un peccatore incallito a D-o e portare la redenzione al mondo intero. Ma la questione non è escatologica. All’autore David Lukas Chanukkah sta proprio sulle balle. “E’ una celebrazione del fondamentalismo religioso e della violenza contro il cosmopolitismo”. La festa ricorda la rivolta con cui nel 165 a.C. il sacerdote Mattatia degli Asmonei guidò una rivolta popolare contro il re seleucide Antioco Epifane che aveva vietato lo studio della Torah, la circoncisione maschile e consacrato il Tempio di Gerusalemme a Giove. Dopo circa 4 anni di guerriglia, Giuda Maccabeo figlio di Mattatia riconquisterà il luogo di culto, ridedicandolo (Chanukkah), mentre i seleucidi accorderanno nuova libertà di culto ai sudditi ebrei. Una storia che per Lukas fa rabbrividire perché, vincendo, “i maccabei soggiogarono gli ebrei ellenizzati”, nei quali forse egli si rivede. Per Lukas, insomma, sarebbe una festa proto-sionista, e ancor peggio religiosa, prodromica del nazionalismo israeliano che fa tanto soffrire i liberal americani siano essi ebrei o gentili. Un’idea “asinina” ha ben osservato il rabbino Shmuley Boteach dal Jerusalem Post, ricordando che ebrei ed ellenisti convissero per 60 anni prima degli eccessi di Antioco, colpevole, lui sì, di aver tradito la politica di tolleranza dei suoi predecessori. Con buona pace di Lukas, Chanukkah è l’esatto contrario di una kermesse fondamentalista: è la celebrazione della libertà di essere se stessi nel rispetto del diritto.
Daniel Mosseri
Al direttore - Qualche commento di riflessione per evitare che anche un giornale serio come il Foglio trasformi la critica al reddito di cittadinanza in una analisi senza solide basi ed esposta al vento della propaganda. Il dibattito che si sta accendendo sul reddito di cittadinanza soffre ancora oggi di un evidente limite. La mancanza del provvedimento legislativo o del compiuto disegno amministrativo che attuerà una importante promessa politica ma anche, per essere onesti, una continua raccomandazione dell’Unione europea all’Italia degli ultimi quindici anni. Per cui ritengo che sia molto imprudente svolgere riflessioni o avanzare critiche su qualcosa che ancora non esiste. E di questi difetti soffrono le considerazioni che Inps e Anpal avanzano nell’articolo. Ancora più grave è il fatto di confondere il proprio giudizio politico o culturale sulla misura in questione con le potenziali capacità di questi enti nella sua attuazione. A oggi, infatti, sia Inps sia Anpal potrebbero svolgere quelle funzioni richiamate dal sottosegretario Siri e che non sono una fuga dalla realtà ma solide certezze. Infatti, Inps potrebbe già oggi, abbastanza agevolmente con i mezzi di cui dispone, incrociare i beneficiari del reddito di inclusione con gli archivi delle imprese e, dunque, con la loro situazione produttiva, indirizzando così l’azione di inserimento al lavoro (come già oggi fa Pole Emploi in Francia). Anpal, direttamente con l’azione di Anpalservizi e le convenzioni con i centri per l’impiego regionali -nonché con l’apporto delle agenzie private- può facilitare l’inserimento mirato dei beneficiari della misura nelle imprese. Il tutto con grande attenzione ai bacini locali del lavoro, proprio perché tutte le strutture citate hanno derivazioni territoriali. Peraltro, il rapido inserimento lavorativo – e lo spostamento delle risorse (parte o tutte) alle imprese che farebbero formazione ai beneficiari – sarebbe accolto favorevolmente dal mondo produttivo oggi in disperata ricerca di manodopera e molto disponibile alla costruzione di percorsi formativi incentivati in azienda piuttosto che a ricevere persone non formate in corsi fantasma del viziato sistema della formazione. Di questo si ha evidenza quasi giornaliera e, inoltre, si ha riscontro empirico da alcuni progetti che sono stati sviluppati negli scorsi anni proprio da Anpalservizi (allora Italia Lavoro). Spetterà certamente al governo assumere le decisioni più opportune in materia nelle prossime settimane ma ciò che la proposta Siri sta cercando di sottolineare – a mio avviso – è che il contrasto alla povertà e alla esclusione sociale non può intervenire che attraverso il lavoro, l’inserimento nel mondo produttivo, il riconoscimento che l’impresa può giocare un ruolo determinante nella ripresa di un percorso professionale della persona. Solo rafforzando la dimensione della politica attiva si può evitare una pericolosa e culturalmente viziosa deriva assistenzialista. Questa è l’essenza della politica attiva del lavoro, che, ricordiamolo, storicamente è una politica economica molto mirata sulle caratteristiche della persona, volta a non farle perdere il contatto con il mercato del lavoro, giocata sul suo capitale umano, attenta alle dinamiche territoriali. Si è sempre detto che la politica attiva del lavoro è una “politica fine” molto attenta alle variabili micro piuttosto che alle variabili macro. Giusto. D’altra parte non è la politica attiva del lavoro che crea occupazione ma il tasso di crescita del paese e la produttività del sistema. E su questo si dovrebbe riflettere uscendo da una stagione in cui le politiche attive dovevano essere il cuore della politica del lavoro mentre invece si sono rivelate un grande fallimento. Un grande fallimento anche perché si è bloccato il processo amministrativo/organizzativo e quindi non si è stati capaci di erogare queste politiche a livello nazionale (mentre a livello regionale alcuni esempi sono indubbiamente stati molto efficaci). Un utile insegnamento per chi oggi ha le leve di governo. E questo apre un’ultima riflessione. La povertà è un problema di oggi. La mancanza di lavoro è un problema di oggi. Rimandare l’attuazione delle misure a domani o a posdomani sarebbe un errore gravissimo, anzitutto dal punto di vista economico in un momento in cui si addensano le nubi della recessione e un rallentamento economico è già visibile. Occorre contrastare subito questi fenomeni con politiche che abbiano un effetto istantaneo. L’idea del sottosegretario Siri sottolinea questo aspetto. Oggi l’immaginata architettura del reddito di cittadinanza non sembra in grado di partire immediatamente; le strutture non sono pronte; si rischierebbe un flop organizzativo. Bisogna lavorare con le strutture esistenti e le risorse disponibili. Solo la cooperazione tra Inps, Anpal, centri per l’impiego regionali (e agenzie per il lavoro private) può garantire una partenza immediata del reddito di cittadinanza. Nel frattempo si costruirà quella nuova architettura che darà un volto moderno, si spera, ai centri per l’impiego, alla rete di servizi per il lavoro, alle politiche attive del lavoro. Per questo gli enti del ministero del Lavoro devono aiutare e accompagnare questo processo, la struttura amministrativa deve seguire la politica, non ostacolarla o avanzare dubbi che non sono fondati. Per il legittimo dibattito culturale e politico sulla opportunità o meno di questa misura vi sono altri fori e diverse occasioni”.
Paolo Reboani, direttore generale del ministero dello Sviluppo economico, del lavoro e delle Politiche sociali. Già presidente e amministratore delegato di Anpal Servizi
Risponde Valerio Valentini: Gentile dottor Reboani, grazie mille, intanto, per l’attenta lettura e per la lunga riflessione che ci offre. Condivido la gran parte delle sue osservazioni circa la necessità di approvare finalmente, anche in Italia, serie ed efficaci misure di sostegno alla povertà e di reinserimento nel mondo del lavoro. Mi limito dunque a risponderle brevemente solo sui passaggi che invece meno mi convincono della sua risposta. Nell’ordine. 1) “Ritengo che sia molto imprudente svolgere riflessioni o avanzare critiche su qualcosa che ancora non esiste”. Ci piacerebbe molto poter commentare, nel merito, il contenuto del provvedimento. Dal momento che, tuttavia, ancora non c’è, non ci resta che limitarci – e, mi creda, non è certo facile – a seguire le varie, spesso contraddittorie, dichiarazioni che vari esponenti del governo fanno in riferimento al rdc. Se loro smettessero di parlarne, fintantoché il provvedimento non c’è, noi smetteremmo di prendere sul serio le loro esternazioni. 2) “A oggi, infatti, sia Inps sia Anpal potrebbero svolgere quelle funzioni richiamate dal sottosegretario Siri”. Be’, no, non direi. Certo, l’Inps dispone senz’altro di molti dati: ma tra l’avere l’accesso ai vari database, e il potere poi allestire una struttura diffusa in grado di svolgere politiche attive su tutto il territorio nazionale, nell’arco di tre mesi, mi pare ci sia una grossa differenza. In ogni caso, per sostenere che l’Inps non sarebbe in grado, a oggi, di svolgere quel compito, mi sono basato su quanto mi è stato riferito dai vertici dell’Inps medesima. 3) “Rimandare l’attuazione delle misure a domani o a posdomani sarebbe un errore gravissimo, anzitutto dal punto di vista economico in un momento in cui si addensano le nubi della recessione e un rallentamento economico è già visibile. Occorre contrastare subito questi fenomeni con politiche che abbiano un effetto istantaneo”. Certo, concordo con lei sui foschi scenari che s’approssimano. Forse concorda meno con le sue riflessioni un governo che prevede, a fronte di questi evidenti segnali di rallentamento, una crescita all’1,5 per cento, e s’illude poi di poter attuare un turnover del 300 per cento semplicemente mandando anticipatamente in pensione qualche decina di migliaia di persone. Ma insomma, ci fa piacere che anche alti dirigenti del Mise ritengano irrealistiche le previsioni di crescita di una manovra realizzata da un governo in cui il titolare del Mise è punto di riferimento assoluto. Dopodiché, ben venga il sostegno alla povertà e la spinta sulle politiche attive. Per questo ci sorprende la faciloneria e la scompostezza con cui illustri esponenti del governo parlano delle misure che dovrebbero rilanciare l’economia.