La speranza del Dottor Zivago
Le poesie di Pasternak, omaggio finale al suo eroe
Togli la mano dal mio petto,
siamo due cavi sotto tensione,
attenta, l’un verso l’altra di nuovo
saremo spinti senza volerlo.
Passeranno gli anni, ti sposerai,
dimenticherai gli affanni.
Essere donna è un grande passo,
far impazzire è un atto eroico.
Boris Pasternak
“Le poesie di Jurij Zivago” (Feltrinelli)
Boris Pasternak ha offerto queste poesie al suo eroe, dottor Zivago, medico e poeta. Gli ha dato tanto di sé, e il dono anche dei versi finali significa adesione a un libero spirito creativo, a una segreta libertà spirituale. Mentre intorno tutto va verso la catastrofe, umana e politica, Pasternak e Zivago mantengono la miracolosa speranza negli umani. “Per questo, appena è primavera / si riuniscono con me gli amici, / e le nostre serate diventano commiati, / i nostri festini testamenti / affinché la segreta corrente del dolore / riscaldi il freddo dell’esistenza”. Boris Pasternak e Zivago si sono specchiati l’uno nell’altro, tra letteratura, autobiografia e tormento.
In una Russia alla quale “è stato strappato il tetto e noi tutti con tutto il popolo ci siamo ritrovati di colpo sotto il cielo”, ciò che resta, ciò che conta, non può essere che l’arte, la poesia, la bellezza. Pierluigi Battista ha raccontato i tormenti e la paura di Pasternak in un saggio uscito per La nave di Teseo, “Il senso di colpa del dottor Zivago”, e ha costruito una danza appassionante e straziante sulla spaventosa dittatura del Novecento fondata sulla delazione e sul sospetto. Anche Olga, la donna amata che tanto ha dato a Lara, deve portare sulle spalle il peso del poeta, intoccabile per Stalin (“abitatore del cielo”, diceva di lui), ma che ha assistito, sulla terra, alla caduta per omicidio o suicidio di tanti amici e poeti: Esenin, Majakovskij, Mandel’stam, Marina Cvetaeva.
Nella prefazione di Clara Strada Janovic a questo libro di poesie, che ha curato insieme al marito Vittorio Strada, c’è una lettera che Pasternak scrisse nel 1933 ai suoi genitori emigrati in Occidente. Pasternak scriveva loro poco dopo l’ascesa di Hitler, prevedeva che sarebbe accaduto qualcosa di terribile, e che forse non sarebbero più riusciti a scambiarsi lettere. E si augurava, ma sconsolato, che avesse successo “ogni tentativo di dare finalmente all’umanità una sistemazione umana”. Ma quello che avviene in Germania e in Unione Sovietica lo fa lucidamente disperare. Ecco la sua amara riflessione: “E, per quanto strano possa sembrare, una stessa cosa mi deprime sia nella nostra condizione sia nella vostra. È il fatto che questo movimento non è cristiano ma nazionalistico, cioè corre lo stesso pericolo di scivolare nel bestialismo del fatto. C’è lo stesso distacco dalla secolare misericordiosa tradizione che viveva di trasformazioni e anticipazioni e non delle sole constatazioni della cieca emozione. Sono movimenti binari, dello stesso livello, l’uno provocato dall’altro e per questo tutto ciò è ancora più triste. Sono l’ala destra e l’ala sinistra di un’unica notte materialistica”.
Pasternak capiva perfettamente quello che stava succedendo, e il suo spirito critico, che si è espresso nel Dottor Zivago, vedeva chiaramente il male sovietico. Nel 1937 un suo amico, il drammaturgo Afinogenov, allora suo vicino nel villaggio degli scrittori di Peredelkino, lo ha descritto nel diario come un uomo totalmente votato all’arte. “Non lo interessa neppure il risultato finale. La cosa principale è il lavoro, la passione per esso, e che cosa ne viene fuori lo si vedrà fra molti anni. La moglie fa fatica, bisogna procurarsi i soldi e in qualche modo vivere, ma lui non sa niente (…) Non legge i giornali, è sempre preso dal lavoro, dai libri, da se stesso”. Non sapeva niente, ma sapeva tutto. “E soltanto Pasternak si è manifestato a me in tutta la semplicità della sua umana grandezza”. Un abitatore del cielo, un poeta sulla terra.