La dignità si crea con il lavoro non alimentando il reddito di pigranza
Al direttore - Morire per Danzica.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - In Italia la partecipazione al lavoro è troppo bassa. Anziché fermarsi a litigare sui tassi di disoccupazione e inattività, ogni volta tirandoseli dietro con la pretesa di leggerli nel modo a sé più conveniente, ci si dovrebbe concentrare sul tasso di occupazione, che dice assai di più: fra i 15 e i 64 anni lavora il 58,6 per cento delle persone. L’obiettivo che ci si è dati, in Unione europea, da raggiungersi entro il 2020, è una partecipazione al lavoro del 70 per cento. La Germania l’ha già superata (e ha bisogno di altri immigrati), noi non la raggiungeremo manco a cannonate. A fronte di ciò, che contribuisce a spiegare una crescita asfittica quando le cose vanno bene e scivoloni micidiali quando il vento tira contro, il dibattito pubblico è concentrato su come fare in modo che ci si possa ritirare al più presto dal lavoro e come si possa sovvenzionare chi non lavora. La si può condire con tutto il buon cuore e il patetico propagandismo di cui si è capaci, ma questa è la ricetta della miseria. Ciò basterebbe a giustificare una chiamata popolare per abrogare la legge che istituisce il reddito di cittadinanza, considerata fonte di spesa pubblica deviante da chiunque sappia far di conto. Ma c’è dell’altro. Non credo che la fortuna elettorale del M5s si debba a tale proposta. Questo è solo un condimento del piatto principale: il rifiuto di tutti gli altri. Che ha radici diverse, irrigate dalla scarsa credibilità. Non solo ciascuno promise quel che poi non mantenne, ma all’ultima campagna elettorale il centrodestra si presentò tenendo nella cartucciera anche una grottesca proposta di doppia moneta, mentre il centrosinistra sventolando ancora l’operazione 80 euro. Poi non si meraviglino se a superarli e annichilirli è chi proponeva di uscire dall’euro e distribuire 780 euro. Balle? Sicuro, ma che oltre a dei genitori avevano anche dei nonni. Battersi contro l’ennesima crescita improduttiva della spesa pubblica corrente, dunque, non è solo prendere di mira uno specifico provvedimento, ma segnare una rottura con l’èra in cui il cittadino-elettore è considerato un deficiente da ammaliare prima e tassare poi. Impostazione deficitaria e deficiente in sé.
Davide Giacalone, vicepresidente della Fondazione Luigi Einaudi
Il reddito di cittadinanza è parte di un disegno politico che porterà lo stato italiano a creare sempre meno occasioni di lavoro, sempre più occasioni di lavoro nero, sempre più occasioni di lavoro con meno diritti. Combattere la flessibilità significa alimentare la disoccupazione e se l’Italia tornerà a essere il malato d’Europa lo farà anche grazie a chi oggi sta alimentando l’idea che la povertà si sconfigge dando soldi a chi non lavora e non creando nuove opportunità di lavoro. Viva il referendum.
Al direttore - Caro Cerasa, aderisco da subito all’idea di un referendum per l’abrogazione del reddito di cittadinanza.
Lorenzo Infantino
Al direttore - C’è già stato uno che pensava di battere i populisti sul loro terreno: stava a Londra e per battere Farage e compagnia si inventò un bel referendum sulla Brexit. Il resto è storia: si chiamava David Cameron e lasciò Downing Street fischiettando con leggiadria.
P.S.: La democrazia è forma che precede la sostanza, per questo il populismo è incompatibile con la democrazia. Se ne adotti le forme hai perso la guerra, pure se vincessi una battaglia.
Roberto Basso
Al direttore - Ho letto con grande piacere sul Foglio di questo weekend il pezzo riguardante l’intervista proposta da David Allegranti a Sandro Veronesi, che trovo magistrale nella prosa e ricca nei contenuti. Bravi! Guardando a questi tempi in cui siamo costretti a immergerci giornalmente nelle finte agitate acque gialloverdi, è di grande aiuto trovare scampo nel mondo da voi proposto, sempre così ricco di stimoli intelligenti. Grazie di tutto ciò e con la convinzione augurante che il vostro impegno possa contribuire a migliorare la poca consapevolezza e la cultura dell’Homo Italicus.
Emilio Sironi
Perfetto Veronesi. Specie quando ricorda che Salvini non ha fatto niente per cambiare il trattato di Dublino: “Per 22 volte non si è presentato alle riunioni per modificarlo, la Lega si è astenuta quando c’era da cambiarlo, e invece sarebbe stato giusto far vedere quanto pesiamo e costringere quei deficienti di Visegrád a prendere anche loro un po’ di migranti”.
Al direttore - Vi scrivo per chiedere ratifica delle false notizie e affermazioni a me attribuite nell’articolo di S. Merlo pubblicato oggi sul Foglio. La sottoscritta è stata candidata a sindaco di Genova per la lista Cassimatis a giugno 2017 e non certo per il M5s. La frase a me attribuita, di una stupidità imbarazzante, è frutto di fantasia (pag. 3). Sono una docente di Geografia economica e sembra davvero incredibile che un pubblico di tecnici non abbia capito il senso del mio intervento, pure espresso semplicemente. Il passaggio su Tangeri era riferito allo spazio di retroporto disponibile (il Sahara) rispetto alla assenza di retroporto a Genova che alle spalle ha l’Appennino. Tangeri ha due porti Tangeri 1 e 2 in grande espansione grazie a forti investimenti cinesi. Disponibile per ulteriori chiarimenti. Ma quanto pubblicato oggi grida vendetta.
Marika Cassimatis
Risponde Salvatore Merlo. Fino a metà aprile 2017, cioè fino a quando non intervenne d’imperio Beppe Grillo negandole il simbolo, Marika Cassimatis, com’è noto a chiunque, era la candidata sindaco di Genova vincitrice delle primarie per il M5s. Quindi non capisco bene cosa stia smentendo in questa lettera, nella quale peraltro conferma di aver parlato del porto di Tangeri con un gruppo di imprenditori portuali genovesi, di aver cioè individuato lo scalo di Tangeri come un modello per il porto di Genova, e di non essere stata capita da questi suoi interlocutori che infatti – come riportato nel mio articolo – ascoltandola rimasero letteralmente “allibiti”.