Cantone: cosa non torna? Un botta e risposta con Bettini su Maduro

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 7 febbraio 2019

Al direttore - L’uomo incontrato da Di Maio stava solo cambiando la gomma.

Giuseppe De Filippi 


 

Al direttore - Considero Fabrizio Cicchitto un dirigente politico di notevole spessore e un intellettuale colto e dal pensiero libero. Nella lettera che egli Le ha inviato ieri, si riferisce al mio voto di astensione sulla risoluzione presentata nel Parlamento europeo contenente il riconoscimento del presidente del Parlamento venezuelano Juan Guaidó come presidente dell’intero paese al posto di Nicolás Maduro. Siccome Cicchitto dà un valore di segnale politico a questa mia scelta parlamentare, rivolto ai 5 stelle e alla sinistra estrema, sono obbligato a una garbata, ma ferma, precisazione. Tutta la mia vita politica testimonia un attaccamento, che nessuno può mettere in discussione, agli ideali della democrazia e della libertà e un’avversione intransigente contro chiunque li calpesti nel mondo. Ho lottato per il Tibet contro la Cina, per i diritti di culto e delle donne in Arabia Saudita, per affermare i diritti umani dei Rohingya in Birmania, dei prigionieri politici in Turkmenistan e contro la pena di morte ovunque sia praticata, anche negli Stati Uniti d’America, un paese democratico. Potrei continuare ma mi fermo qui. Maduro è un dittatore sanguinario e mi auguro al più presto che il popolo venezuelano, attraverso elezioni libere, se lo tolga dai piedi. Il mio voto di astensione ha voluto segnalare, insieme ad altri colleghi, l’inopportunità di un riconoscimento unilaterale del Parlamento europeo (al quale non spetta tale compito, come ha ricordato l’Alto rappresentante Federica Mogherini) in un momento nel quale non era scaduto alcun ultimatum da parte di importanti stati europei nei confronti del dittatore venezuelano per arrivare al più presto a elezioni democratiche ed era già in corso una difficile mediazione dell’Unione europea, volta a evitare una devastante guerra civile. Oggi le cose sono già diverse. Ma in quel momento l’accortezza, la prudenza, la misura nel non esibire “trofei” per ragioni di politica interna (come purtroppo, invece, ha fatto il presidente Tajani) erano dettate dall’esigenza di ristabilire la democrazia attraverso un intervento politico multipolare. E’ una considerazione molto lontana dall’ipocrita posizione sulla “non ingerenza” del M5s, che rappresenta una fuga dalle responsabilità che ci toccano di fronte al dramma venezuelano. Debbo aggiungere che questa opinione, rispetto alle mozioni congressuali del Pd, è stata trasversale. Anche alcuni colleghi, che non hanno poi materialmente votato, hanno condiviso le posizioni di chi si è astenuto e sono sostenitori della mozione Martina. Il parlamentare Viotti lo ha dichiarato pubblicamente. E altri sono venuti sotto il mio banco per sollecitare una differenziazione dalla risoluzione. So perfettamente che è stato un voto difficile, che, infatti, ha suscitato qualche fraintendimento. Ma Le assicuro che nel mio cuore non c’era alcun interesse verso i 5 stelle e verso l’estrema sinistra. Semmai ho seguito quegli insegnamenti di un grande maestro di politica internazionale come Paolo Bufalini che mi ha insegnato l’accortezza, l’attenzione al dettaglio e alle procedure, la pazienza nell’affrontare le crisi negli altri paesi del mondo, per evitare che si arrivi a sanguinosi combattimenti interni ed a un contagio negativo e poi difficilmente recuperabile tra le potenze più grandi del mondo.Un caro saluto.

Goffredo Bettini

   

Con tutto il rispetto, caro Bettini, la questione, purtroppo, mi sembra riassumibile in poche righe. Il Parlamento europeo, in sessione plenaria a Bruxelles, ha riconosciuto Juan Guaidó come legittimo presidente del Venezuela. Lo ha fatto, leggo dalla mozione, per prendere atto che “il 10 gennaio 2019 Nicolás Maduro ha illegittimamente usurpato il potere presidenziale dinanzi alla Corte suprema di giustizia, in violazione dell’ordine costituzionale”; per ribadire “il suo pieno sostegno all’Assemblea nazionale, che è l’unico organismo democratico legittimo del Venezuela e i cui poteri devono essere ripristinati e rispettati, comprese le prerogative e la sicurezza dei suoi membri”; per “riconoscere il sig. Guaidó come legittimo presidente ad interim della Repubblica del Venezuela conformemente alla Costituzione venezuelana e per esprimere pieno sostegno alla sua tabella di marcia”. In 439 hanno votato a favore, in 104 hanno votato contro, in 88 si sono astenuti. Non si tratta di un fraintendimento, si tratta di una scelta politica di cui con tutto il rispetto essere orgogliosi sinceramente non si può.


   

Al direttore - Il presidente dell’Anac dovrebbe essere un servitore dello stato, non un supereroe. Invece la politica e i media lo hanno trasformato nel simbolo dell’onestà e della lotta alla corruzione. Il risultato è che tra Anac e codice degli appalti il paese è bloccato. I dirigenti pubblici sono tutti sotto ricatto. In attesa dell’ultima interpretazione di Cantone. Nessuno mette più una firma se non sente prima il parere dell’Anac. Tutte le procedure sono bloccate, nessuno si assume più il rischio di decidere. E i politici fanno la fila per ricevere il suo assenso. Ma il Supereroe non ammette critiche, difende il codice degli appalti come una sua creatura, che non può essere toccato. E ora vuole andare via solo perché la sua maestà è stata lesa. Può lasciare ma, a differenza di tutti noi, senza conseguenze personali, senza rischi, con il posto fisso. Può scegliere dove andare a lavorare, la magistratura lo attende. Intanto si farà intervistare in tv, farà dichiarazioni, mettendo la politica sotto ricatto: se costringete Cantone ad andarsene siete corrotti!

Ma il problema non è Cantone. Lui è solo uno dei tanti eroi mediatici, uno dei tanti simboli che la politica incapace di risolvere i problemi crea e dà in pasto all’opinione pubblica: i professionisti dell’antimafia, le auto blu, le impronte digitali per i dipendenti pubblici, i ministri in divisa, lo show delle carte per il reddito di cittadinanza. Il problema della corruzione nelle amministrazioni pubbliche va affrontato in modo opposto. Codice degli appalti semplice, contabilità economica e sistemi di controllo di gestione che affianchino i dirigenti nelle loro decisioni. Non servono sistemi di controllo giuridico-formale che attendono il dirigente pubblico al varco. Non servono agenti sotto copertura che avvelenano gli uffici pubblici. Servono analisti che siano in grado di valutare l’effetto economico delle decisioni. Nel settore pubblico tutti i controlli sono in mano a giuristi, persone sommerse da codici, nel settore privato ad analisti, persone che usano Excel. Nelle aziende private c’è la contabilità economica, che è la base della valutazione di qualunque transazione. Un buon sistema di controllo di gestione dà al dirigente gli strumenti per valutare gli effetti sul conto economico delle decisioni. E l’unico modo per sbloccare un po’ di spesa pubblica è alzare la soglia sotto la quale si può evitare la gara. Creando un’area di rischio corruzione molto elevata. (Su questo Cantone ha ragione ma la causa di quel provvedimento è l’inefficiente sistema di anticorruzione che lui difende). In Italia si usa prevalentemente il criterio del massimo ribasso nelle gare pubbliche esclusivamente perché non sono disponibili parametri economici di valutazione ma solo criteri formali incerti. Dunque il prezzo più basso mette in sicurezza il dirigente anche se l’acquisto o la fornitura è assolutamente inefficiente dal punto di vista economico e può generare dei danni molto superiori al risparmio formalmente realizzato. L’unico modo per combattere la corruzione, e far ripartire la spesa di investimenti pubblici, è questo. Non serve l’Anac che entra nelle singole transazioni. Serve invece un servizio esterno alle Pa che sia in grado di monitorare le gare pubbliche, di suggerire modifiche al codice per migliorarne l’efficienza, che sia anche un luogo di ricerca e innovazione amministrativa, per suggerire e diffondere le buone pratiche. Deve essere composto da giuristi moderni e analisti. Non da campioni dell’onestà, star televisive, salvatori della patria. Nessuno è indispensabile, tutti necessari. Lo stato deve funzionare bene con il normale contributo efficiente di tanti professionisti, non servono eroi.

Stefano Parisi

Di più su questi argomenti: