Cosa c'entra il piano B populista con l'aggressione del governo a Bankitalia

Al direttore - Ok alle bici contromano ma solo alle regionali.

Giuseppe De Filippi


  

Al direttore - Il Manifesto della fede reso pubblico nei giorni scorsi dal già prefetto della congregazione per la Dottrina della fede, card. Müller, e inspiegabilmente (o forse no) silenziato dal giornalista collettivo mentre veniva sbertucciato sui social dai soliti zelanti sacerdoti del religiosamente corretto, capita in un momento quanto mai propizio della vita della chiesa. Perché ribadisce, in una situazione di grande confusione e smarrimento per tanti fedeli laici e non, i contenuti essenziali del Depositum fidei cristallizzati nel catechismo della chiesa cattolica. Il testo, sintetico quanto basta ma allo stesso tempo esaustivo, ripercorre e ripresenta i punti salienti che caratterizzano la fede cattolica, chiudendosi con un appello, rivolto in primis ai vescovi e ai sacerdoti, ma che in realtà andrebbe sottoscritto da chiunque abbia a cuore le sorti della chiesa. Né può apparire casuale che tale Manifesto porti la data del 10 febbraio, giorno in cui la liturgia delle ore aveva come prima lettura dell’Ufficio uno dei brani più famosi (e duri) di s. Paolo, laddove l’Apostolo rivolgendosi ai Galati dice: “…vi sono alcuni che vi turbano e vogliono sovvertire il vangelo di Cristo. Orbene, se anche noi stessi o un angelo dal cielo vi predicasse un vangelo diverso da quello che vi abbiamo predicato, sia anàtema!…Infatti, è forse il favore degli uomini che intendo guadagnarmi, o non piuttosto quello di Dio? Oppure cerco di piacere agli uomini? Se ancora io piacessi agli uomini, non sarei più servitore di Cristo!”. Parole inequivocabili, che fotografano quella che è la tentazione, ieri come oggi, cui sono soggetti gli apostoli e i loro successori, ossia predicare un vangelo a misura d’uomo per essere dagli uomini benvoluti. Non è questa la missione della chiesa. Che invece è chiamata a essere segno di contraddizione in ogni generazione, annunciando la Verità senza fare sconti (per altro non richiesti). Il Te Deum, solenne e bellissimo inno che viene proclamato in particolari celebrazioni, si chiude dicendo: “Tu sei la nostra speranza, non saremo confusi in eterno”, a riprova che pur nei travagli quotidiani dove non mancano prove e tentazioni, la confusione non ha nulla a che vedere con la vita di fede. Ben venga dunque questo Manifesto, gesto oltremodo coraggioso, e ben vengano tutte le iniziative che ribadiscano il “proprium” del cattolicesimo. Oggi come ieri (e come domani) risuona il monito di Gesù: “Se il sale perde il suo sapore, con che cosa lo si salerà?”.

Luca Del Pozzo

Per formarsi un’idea su questioni così delicate è fondamentale informarsi e conoscere. Per questo il Foglio, sabato mattina, ha pubblicato integralmente il Manifesto della fede del cardinale Müller.


    

Al direttore - Agli attacchi sconsiderati di questi ultimi mesi mossi in varie direzioni, alla grave tensione nei rapporti con la Francia, alla pilatesca posizione nei confronti del Venezuela mancava la goccia (e che goccia!) che facesse traboccare il vaso. Questa si è però puntualmente manifestata con l’attacco alla riconferma, per un altro sessennio, di Luigi Federico Signorini nel mandato di vicedirettore generale della Banca d’Italia e, per estensione, con l’attacco all’intero vertice dell’Istituto. Le motivazioni sono prive di un serio fondamento, mentre una base la ha l’insofferenza nei confronti dei giudizi dati da Signorini, riflettendo la posizione dell’intero vertice di Via Nazionale, per esempio sul Def o sulla legge di Bilancio o, per un altro verso, traspare una inconsapevole concezione della Vigilanza bancaria che assommi funzioni proprie della polizia, della magistratura, dei servizi segreti, delle Corti internazionali. Poteri che, se pure in un’ipotesi di 3° grado di essi la Vigilanza potesse disporre, non eliminerebbero affatto la possibilità che vengano commessi reati nell’ambito bancario, così come queste attribuzioni non la eliminano nella società. Si tratta, allora, di operare con forza per ridurre tale possibilità e per perseguire i casi di “mala gestio” che la Banca d’Italia ha snidato negli istituti per i quali sono state poi adottate misure di rigore. Ma dal caso Signorini si evince, più in generale, essendo stato fatto riferimento all’azzeramento dei vertici di Bankitalia e Consob, la contrarietà di fondo della maggioranza a un sistema fondato su “pesi e contrappesi”, sul confronto istituzionale dialettico, sul pluralismo. La voglia di una Banca addomesticata si ricava nettamente da parole sconsiderate e balzane, fino all’inqualificabile promessa di far “cantare” gli esponenti dell’Istituto nella prossima inchiesta parlamentare sulle banche, come se si fosse in una questura. Ma, occorre, stare al “casus” specifico sollevato. La nomina di Signorini, deliberata dal consiglio superiore dell’Istituto, deve essere sottoposta all’approvazione del capo dello stato. Il Consiglio dei ministri, su iniziativa del premier e del ministro dell’Economia, semplicemente esprime un parere (la norma specifica “sentito” tale organo). Non può arrogarsi un inesistente potere di decisione dell’approvazione che, come si è detto, compete, per la forma e per la sostanza, al presidente della Repubblica. Non si giustifica, dunque, una “vacatio” della carica indotta da un insostenibile temporeggiamento (tanto meno se questo travalicasse in un rifiuto dell’approvazione che non compete all’organo). In questo modo, si corre il rischio di lambire le stesse attribuzioni del capo dello stato. Si ritorni, dunque, allo “statuto”, come si sarebbe detto in altri tempi. La norma è chiara e Bankitalia, non lo si dimentichi, è parte del Sistema europeo di banche centrali disciplinato dal Trattato Ue che, per l’Italia, ha il rango di norma costituzionale e che sancisce l’autonomia e indipendenza della stessa Banca. O si vuole dare l’ennesimo saggio, anche all’estero, di quel che è questa maggioranza?

Angelo De Mattia

Il potere è l’unico vero collante degli sfascisti di governo ma in questo caso oltre alle logiche di occupazione ci sono altri due problemi che emergono dallo scontro sul vicedirettore generale di Palazzo Koch. Il primo spunto è politico: la tendenza innata dei populisti a trasformare costantemente i tecnici nei responsabili di tutti i problemi del paese come ennesima scorciatoia per fuggire dalla realtà. Il secondo spunto è tecnico: la possibilità che dietro l’attacco a Palazzo Koch ci sia un bersaglio più grande legato alla trasformazione difficile ma non impossibile di Bankitalia in prestatore di ultima istanza. Per fare cosa? Come ha scritto Stefano Cingolani sul sito del Foglio, una delle condizioni per uscire dall’euro è la ridenominazione del debito pubblico, che oggi è in euro, e per far fronte a uno scenario futuro di questo tipo occorre che la banca centrale sia controllata politicamente e sia sottomessa alla volontà del governo. Uscire dall’euro non è all’ordine del giorno ma trasformando la Banca d’Italia, ciò che oggi sembra impossibile, improvvisamente potrebbe diventare possibile. Speriamo che alla fine sia solo una questione di potere.

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