I gilet gialli spiegati a Finkielkraut e ai servi sciocchi della chiusura
Al direttore - Rimpatriata la coreana, un bacione amici.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ho letto un’incredibile intervista di Repubblica ad Alain Finkielkraut in cui il filosofo francese parlando del populismo italiano dice che non va demonizzato: “Sono convinto che bisogna rispettare la libertà e la saggezza dei popoli europei quando rifiutano di aderire a una visione multiculturale della società. Liquidare l’attuale governo italiano con il termine lebbra nazionalista è stato un grave errore di Macron”. Ma Finkielkraut non ha capito che in Italia al governo ci sono i cugini dei signori che sfilano in piazza in Francia con i gilet?
Mauro Marini
Molti intellettuali nemici del popolo si sono messi in testa che il modo migliore per conquistare il popolo è assecondare ogni scelta del popolo. Finkie ha scelto la strada percorsa in passato da Galli della Loggia per questo e gli auguriamo presto di essere amministrato da un cugino in gilet di Virginia Raggi. Ma dimentichiamoci per un attimo di Finkie e pensiamo ai gilet gialli. In fondo, diciamoci la verità, i gilet gialli andrebbero ringraziati perché stanno mostrando al mondo che l’alternativa all’Europa, alla globalizzazione, alla società aperta, al libero commercio è un cocktail di culture anti sistema tenute insieme dalla passione per l’estremismo. Prima o poi, oltre che Galli della Loggia, lo capirà anche Finkie.
Al direttore - Siccome anche un semidio del racconto politico può incappare in un dettaglio falso, con osservanza ricordo a Salvatore Merlo che Craxi quella sera non “fuggiva dalle monetine”, stava bensì venendo da me in tv e prese la porta principale guardando in faccia la canea. Un saluto affettuoso.
Giuliano Ferrara
Al direttore - Se il buongiorno si vede dal mattino, il vertice per la protezione dei minori che inizia oggi in Vaticano non sembra partire sotto i migliori auspici. Un assaggio dell’aria che tira si è avuto nella conferenza stampa di presentazione dell’evento. Dove il card. Cupich di Chicago se n’è uscito con un paio di strabilianti affermazioni dicendo: a) che l’omosessualità non c’entra niente con gli abusi, e b) che questi non hanno a che fare con un “particolare orientamento sessuale”, espressione a dir poco ambigua dal momento che lascia supporre che di orientamenti sessuali ve ne siano diversi, quando per la chiesa o si nasce maschio o si nasce femmina. A supporto del fatto che l’omosessualità non c’entrerebbe con gli abusi il porporato ha citato poi una ricerca condotta in Australia. Stiamo parlando del rapporto finale della Royal Commission, l’organo creato ad hoc per indagare sui casi di pedofilia e più in generale su tutti gli ambiti in cui un minore può interagire con un adulto (sia esso insegnante, medico, allenatore, psicologo, ecc.). Ora, anche a voler trascurare il non banale dettaglio che a prescindere dallo studio in questione i numeri dicono che almeno l’80 per cento degli abusi è di natura omosessuale, motivo per cui se è vero che non tutti i preti omosessuali sono pedofili è altrettanto vero che la stragrande maggioranza dei casi di pedofilia riguarda preti omosessuali, un minimo di prudenza avrebbe suggerito di maneggiare il citato Rapporto con estrema cura, laddove certe affermazioni sembrano fatte apposta per supportare tesi precostituite. Intanto, qualche numero. Per quanto riguarda gli abusi compiuti nella chiesa cattolica, a pagina 60 dell’Executive Summary si legge: “As at 31 May 2017, of the 4,029 survivors who told us during private sessions about child sexual abuse in religious institutions, 2,489 survivors (61.8 per cent) told us about abuse in Catholic institutions. The majority (73.9 per cent) were male and 25.9 per cent were female… Of the 1,334 survivors who told us about abuse by an adult, 96.2 per cent said they were abused by a male adult….” (p. 60 Executive Summary). Chiaro no? Il 73,9 per cento (cioè 1.840 su 2.489) dei sopravvissuti sono maschi, e dei 1.334 abusati da un adulto ben il 96,2 per cento ha detto che l’abusatore era un maschio. Domanda: c’è o non c’è un problema di omosessualità? Secondo la Commissione non c’è, che infatti a pagina 68 spiega così il fenomeno: “Although most of the perpetrators of child sexual abuse we heard about in Catholic institutions were male adults, and most victims were boys or adolescents, it is a misconception that all perpetrators who sexually abuse children of the same gender as them are same-sex attracted. Research suggests that child sexual abuse is not related to sexual orientation. Perpetrators can be straight, gay, lesbian or bisexual. Research indicates that men who identify as heterosexual are no more or less likely than men who identify as homosexual to perpetrate child sexual abuse. Vatican documents that link homosexuality to child sexual abuse are not in keeping with current understandings about healthy human sexuality”. Ora, sul fatto che un eterosessuale possa essere pedofilo tanto quanto un omosessuale non ci piove (a riprova, è arcinoto che la stragrande maggioranza degli abusi avviene nelle famiglie, il che peraltro è la miglior dimostrazione che il celibato non c’entra nulla con la pedofilia); ma se il 96,2 per cento dei maschi abusati dice che gli abusatori erano a loro volta maschi, non c’è politicamente corretto che tenga e le chiacchiere stanno a zero. Il punto vero, in Australia come altrove, è la sempre maggiore diffusione dell’omosessualità tra le file del clero, fenomeno a sua volta conseguente al tentativo, portato avanti da precise lobby intra ed extra ecclesiali, di sdoganare l’omosessualità nella chiesa (ultimo arrivato, l’annunciato “Sodoma”, libraccio giustamente bollato dal Foglio “ciarpame senza pudore”, che in tempi migliori sarebbe stato affidato alle cure di frate foco). Se le cose stanno così, è di sesquipedale evidenza che l’abolizione del celibato servirebbe a ben poco visto e considerato che un omosessuale non saprebbe che farsene di potersi accoppiare con una femmina. Bisognerebbe piuttosto prendere il toro per le corna una volta per tutte, ma la domanda è: c’è la volontà di farlo? O si continuerà a guardare al dito del clericalismo per non vedere la luna dell’omoeresia che sta dilagando nella chiesa?
Luca Del Pozzo