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I nuovi guai di una procedura oracolare come quella referendaria

Al direttore - La revisione costituzionale in tema di iniziativa popolare e di referendum propositivo avanzata dal M5s e approvata alla Camera, rischia di scardinare i meccanismi di funzionamento della nostra Repubblica. Marginalizza e svilisce il ruolo del Parlamento, indebolisce l’organizzazione dello Stato e svuota di significato la democrazia rappresentativa. La riforma prevede che 500 mila elettori possano presentare alle Camere una proposta di legge sulla quale il Parlamento è obbligato a deliberare entro 18 mesi. Se entro tale termine le Camere non decidono o se apportano modifiche “non meramente formali”, i promotori possono chiedere un referendum sulla loro proposta originaria. Questa diventerà legge grazie alla vittoria del “Sì” con un quorum approvativo del 25 per cento degli aventi diritto al voto. Potrebbe sembrare un rafforzamento del potere di iniziativa popolare, ma, in realtà, questa riforma determina un cortocircuito tra iniziativa legislativa e referendum che rende superfluo il ruolo delle Camere, ridotte a convalidare un testo scritto altrove ed eventualmente a correggere un po’ di grammatica. Si moltiplicheranno così i tentativi di far passare le leggi per questa via e le opposizioni non si preoccuperanno più di contrastare in Parlamento le proposte della maggioranza e del governo, ma tenteranno di aggirare i rapporti di forza parlamentari proponendo continue iniziative popolari e poi referendum. In altre parole, dopo le elezioni, chiunque abbia vinto, la campagna elettorale continuerà fuori e a prescindere dal Parlamento. Cosa dovrà fare il governo se il popolo (o meglio, quella parte degli elettori che deciderà di votare) dirà “sì” alla proposta di una forza di opposizione? Si dimetterà? E se non lo farà non sarà comunque profondamente indebolito? Insomma, ulteriore confusione e instabilità. I cittadini saranno subissati di richieste di firme, sugli argomenti più vari ma anche più delicati. Cittadini che saranno chiamati a decidere su riforme del diritto penale o su decisioni che riguardano la sicurezza nazionale e le Forze armate. Lo stesso avverrà per proposte molto specifiche, che richiedono competenze approfondite, che difficilmente si possono ridurre a un “sì” o un “no”. Ora: chi ha la capacità di mobilitare una macchina organizzativa in grado di raccogliere 500 mila firme? Le lobby più potenti e chi ha più soldi, non certo dei liberi comitati di cittadini. Gli stessi partiti saranno alla mercé di questi nuovi potentati e con essi la democrazia parlamentare. Quest’ultima si basa su un’idea semplice secondo cui la decisione migliore per la comunità nazionale è quella assunta dalla maggioranza dei propri rappresentanti, liberamente eletti, dopo una discussione. Perché si scelgono dei rappresentanti? Perché le questioni da decidere in una società complessa sono troppe, articolate e complicate per essere discusse in una pubblica piazza (anche se virtuale). Il Parlamento fa una sintesi tra richieste ed esigenze diverse. Con questa riforma, invece, non c’è nessuna mediazione. Chi promuove il referendum si disinteressa di compatibilità, di conciliazioni, della composizione di esigenze contrapposte. Insomma, mentre il Parlamento ha la funzione essenziale di integrare la comunità nazionale, questa proposta di riforma la lacera e la divide. E’ vero che il sistema dei partiti è in crisi e che anche oggi vengono assunte decisioni sbagliate, ma siamo di fronte a un tentativo, nemmeno troppo nascosto, di superare la democrazia rappresentativa. Le decisioni verrebbero assunte altrove, da parte di chi raccoglierà (in futuro magari anche tramite piattaforme elettroniche, stile Rousseau) le firme. La democrazia svenduta alle lobby. La sovranità non apparterrà più al popolo, attraverso i suoi rappresentanti, ma a chi saprà meglio manipolarlo e i venti dell’estremismo soffieranno ancora più forte. Per questo, rivolgo un appello ai miei colleghi parlamentari: fermiamoci finché siamo in tempo.

Mara Carfagna vicepresidente della Camera

 

Gli strumenti della democrazia diretta non sono da demonizzare solo perché li ha presi in prestito il Movimento 5 stelle ma lo strumento del referendum propositivo, per come è stato formulato e presentato, offre diversi spunti di criticità che meritano di essere affrontati e denunciati. Innanzitutto non è rassicurante che nella legge costituzionale non siano esplicitate in modo sufficiente quali sono le materie sottratte al referendum ed è vero che esiste l’articolo 75 della Costituzione che stabilisce ciò su cui non si può fare un referendum abrogativo (solo abrogativo) ma sarebbe bene evitare possibili contenziosi futuri affermando che le decisioni di spesa e le decisioni che riguardano le relazioni internazionali siano sottratte anche a questa forma di referendum. Per il resto, per completare i giusti ragionamenti presenti nella lettera di Carfagna, andrebbero sottoscritte le parole offerte ieri al Sole 24 Ore dal professor Cassese: “Chi pensa che la democrazia debba essere pluralista, che i poteri debbano potersi reciprocamente controllare, che siano necessari ‘checks and balances’, non può apprezzare l’ampliamento dell’area del referendum, che inesorabilmente fa dipendere decisioni collettive da una procedura oracolare come quella referendaria”. Perfetto.

 


 

Al direttore - Tav congelata, introduzione del referendum propositivo, spoils system bulimico, principio di legalità in quarantena: alla prova dei fatti, il patto di potere su cui si regge il governo  tiene. Il paese si trova ora in una specie di terra di nessuno, in cui possono muoversi liberamente forze che non nascondono la loro volontà di dare un colpo di grazia al regime parlamentare. Uno scenario che sta spingendo Lega e M5s a ricollocarsi lungo un asse di valori segnato sempre meno dalla vecchia diade destra-sinistra e sempre più dallo scontro tra “chi sta in alto e chi sta in basso”. In questo contesto, un dato è comunque certo: il vecchio centrodestra è morto e il leader del Carroccio ne è il suo becchino. Purtroppo, non mi pare che Berlusconi intenda prenderne atto.  Se lo facesse, forse le prospettive della democrazia italiana diventerebbero più promettenti.

Michele Magno

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