A destra, Mara tempora currunt. Un appello a Conte sulla Libia
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 19 aprile 2019
Al direttore - A Roma la gente si affaccia e vede la merda. Ecco, i rischi della democrazia diretta.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Quando gli chiesero, in una intervista, se il governo gialloverde fosse in grado di durare, Giampaolo Pansa rispose: “No, perché è composto da forze che non sono compatibili e non si amano. Dopo vedo solo un esecutivo di tecnici appoggiato dai militari, magari dalla Guardia di finanza, vero terrore per troppi italiani’’. Mi è venuto il dubbio che il decano dei giornalisti italiani avesse previsto uno sferragliar di sciabole indotto dalle ultime bravate di Capitan Fracassa. “Quel che è accaduto è gravissimo, viola ogni principio, ogni protocollo e costituisce una forma di pressione impropria – così è trapelato, secondo l’AdnKronos, dagli ambienti dello Stato maggiore – “Non è che un ministro – proseguono i generali – può alzarsi e ordinare qualcosa a un uomo dello stato. Queste cose accadono nei regimi, non in democrazia. Noi rispondiamo al ministro della Difesa e al Capo dello stato, che è il capo supremo delle Forze armate”. Che disastro! Non avrei mai pensato di arrivare al punto di augurarmi un colpo di stato militare.
Giuliano Cazzola
Non serve un colpo di stato, servono solo, per gli elettori, meno colpi di calore.
Al direttore - Carfagna esclusa dalle liste di Forza Italia per le elezioni europee: “Mara tempora currunt”.
Michele Magno
Mala tempora currunt, nel centrodestra, sed peiora parantur.
Al direttore - A cancellare i danni prodotti dal fuoco a Notre-Dame ci vorranno anni e anni. Ma intanto c’è da segnalare un piccolo danno collaterale che forse richiede anch’esso un minimo di cura. Infatti, appena esploso l’incendio s’è sentita, nelle nicchie della rete, la voce di una quantità di sovranisti di dubbia intelligenza e dubbia umanità che hanno pensato bene di spiegare la sciagura come una sorta di metafora, se non addirittura come la punizione divina per i peccati dell’Unione europea. Si rinnova così, nel pieno della modernità, una odiosa superstizione che verrebbe da chiamare “medievale” se il Medioevo fosse stato davvero tutto così ignorante, dogmatico e superstizioso come siamo soliti raccontarlo. Eppure perfino i monaci domenicani della Renania che nel Quattrocento imbastivano le procedure per organizzare i processi e i roghi contro le streghe erano forse meno ottusi e impietosi dei loro zelanti emuli vestiti da contemporanei. Viene da pensare che in fondo la nostra apparente modernità politica, quella che di questi tempi sembra andare per la maggiore, alla fine non sia altro che un gigantesco balzo all’indietro. In questo caso, letteralmente, un balzo verso i secoli bui.
Marco Follini
Al direttore - Garantisti con gli amici forcaioli con gli avversari. I politici in questo disgraziato paese si comportano così. Salvini ieri fa il maramaldo sulla governatrice dell’Umbria oggi difende il suo amico Siri ma non è certo l’unico a muoversi nella logica dei due pesi due misure. La pancia del paese costruita da politici e media peggiora minuto per minuto perché lor signori puntano a guadagnare voti giocando sporco e così danno ancora più potere ai magistrati salvo poi lamentarsi perché le toghe hanno troppo potere. Il Csm regno omertoso secreta i procedimenti disciplinari a carico dei magistrati… e tutti siamo meno liberi di esporre idee e di essere informati. E siamo anche senza Massimo Bordin.
Frank Cimini
Luigi Di Maio, da perfetto analfabeta del diritto, ha detto ieri ad Armando Siri di augurarsi di risultare innocente. Di Maio forse non sa che ogni indagato è innocente fino a prova contraria anche se non è iscritto alla piattaforma Rousseau. D’altronde l’Italia ha un presidente del Consiglio che durante il suo discorso di insediamento ha assicurato che avrebbe governato nel rispetto dei princìpi costituzionali come la presunzione della colpevolezza. Finora, tra spazza corrotti, fine della prescrizione, approccio talebano sulle intercettazioni, gli sta riuscendo benissimo.
Al direttore - Difendere negli ultimi due anni il nostro spazio intimo dalle 7.35 in poi è stato arduo. Giada non sopporta la voce roca e i colpi di tosse di Bordin. Liti su liti: io che difendo il mio spazio sacro, lei che risponde con dannate playlist folk. In una stanza Joan Baez nell’altra il Requiem di Mozart. Gli amici mi avvertirono: con la convivenza scordati Radio Radicale di prima mattina. La soluzione è stata l’isolamento: da mesi vago per casa con cuffie alle orecchie vedendo Giada boccheggiare come un pesce rosso. Quando stamani le ho comunicato che il suo strazio mattutino era finito ha reagito con sincero dispiacere. Massimo Bordin era uno di famiglia mentre Vito Crimi è destinato a un oblio subitaneo.
Mattia Fadda
Al direttore - Presidente Conte, in queste settimane Lei è impegnato – insieme al ministro Moavero – a cercare di evitare che la crisi libica volga al peggio. Una crisi che si trascina da anni senza che la comunità internazionale sia riuscita finora a mettere in campo un’azione utile a una soluzione politica. Una crisi che rischia di precipitare in una guerra civile ancor più devastante con le conseguenze che ben si possono immaginare. Proprio perché ogni ora può essere esiziale, mi permetto di avanzarLe una proposta: chieda a Macron un incontro immediato, si rechi a Parigi, discuta con il presidente francese come dare una soluzione alla crisi libica e trovi con lui un accordo per un’azione comune. Non le sembri una provocazione. E’ una proposta seria che Le rivolgo, al di là delle nostre opposte appartenenze politiche, mosso dall’unica preoccupazione di non lasciare nulla di intentato nel perseguire una soluzione politica a una crisi che espone non solo l’Italia, ma l’Europa intera a rischi enormi. Proprio perché la priorità di queste ore è fermare l’escalation militare e riaprire la strada a una soluzione politica, servono atti forti e immediati. E decisive diventano un’intesa e un’azione comune tra Italia e Francia, i due paesi più direttamente investiti dalla crisi libica. Naturalmente so bene che anche un’intesa tra Roma e Parigi può non essere sufficiente. Occorre parlare anche con Berlino e con altre capitali europee e mediterranee. Così come serve un’interlocuzione con Mosca e Washington. E naturalmente con Bruxelles per concordare l’azione dell’Unione europea, che tuttavia – nonostante i generosi sforzi di Federica Mogherini – si è rivelata finora inefficace proprio per la difformità di orientamenti e azioni tra i paesi della Ue. Ma per il diretto coinvolgimento che Italia e Francia hanno nella crisi libica, senza una loro intesa ogni altra iniziativa appare problematica e l’Unione rischia di essere paralizzata. Insomma dobbiamo parlare con Macron e condividere con la Francia un’azione comune. So bene che in questi mesi il rapporto tra i due paesi non è stato facile e non sono mancate polemiche – da Ventimiglia ai gilet gialli – che hanno indebolito la fiducia reciproca. Né mi sfugge la divaricazione di approccio alla crisi libica e il disagio di Roma per un atteggiamento francese concorrenziale – e qualche volta predatorio – verso gli interessi italiani nel bacino mediterraneo. Ma sarebbe un grave errore rinchiudersi in un atteggiamento offeso e solitario. E se il rimprovero che spesso si rivolge alla Francia è di muoversi da sola perseguendo una propria egemonia sulla area, sarebbe altrettanto un errore – e anche una velleità – contrapporre un analogo atteggiamento italiano. Anche perché nessun paese europeo da solo ha oggi la forza per imporre una soluzione politica alla crisi libica. Insomma serve un colpo d’ala. Essere statisti significa avere il coraggio e la generosità di compiere scelte non scontate e, quando necessario, di fare “la mossa del cavallo” che consenta di sbloccare un impasse e rimettere in moto dinamiche positive. La storia è piena di esempi. De Gaulle ebbe la lucidità di negoziare col Fln algerino per uscire da una sanguinosa guerra senza fine. Brandt ebbe il coraggio di inginocchiarsi nel ghetto di Varsavia. Mandela non esitò a negoziare il futuro del suo paese con chi lo aveva perseguitato e incarcerato. Kohl sostenne l’euro nonostante le resistenze di chi temeva la perdita del marco forte. Rabin non ebbe tema di stringere la mano ad Arafat, anche se – come confessò – “sentiva le farfalle nello stomaco”. In fondo andare a parlare con il presidente francese è assai meno difficile. E quand’anche la missione non avesse l’esito sperato, nessuno potrà rimproverare a Lei e al nostro paese di non aver esperito ogni azione necessaria a sbloccare la crisi libica. Peraltro un accordo oggi sulla Libia sarebbe un contributo forte anche a ritrovare quell’intesa tra Roma e Parigi che, nonostante tutto, è un interesse primario di due paesi legati da vincoli che affondano le radici nella storia – come dimostrerà la celebrazione di Leonardo Da Vinci che vedrà insieme i presidenti Mattarella e Macron il 2 maggio prossimo – e che oggi vedono interessi complementari in ogni campo. E allora sì, presidente, sia Lei a fare la prima mossa. Vada a Parigi, discuta direttamente con Macron – anche con l’asprezza della sincerità – e negozi una strategia comune su cui l’Unione europea possa innestare la sua iniziativa. Lo faccia, non esiti, non si lasci condizionare dai mille distinguo protocollari, procedurali o burocratici. Gliene saranno grati in tanti e consentirà a un’Italia oggi spesso guardata con diffidenza di acquisire autorevolezza e credito. Augurandomi che voglia considerare la mia proposta, Le sono grato per l’attenzione e ringrazio gli amici del Foglio che mi consentono di indirizzarLe questa lettera aperta.
Piero Fassino, vicepresidente della Commissione Esteri della Camera dei Deputati, Presidente della associazione parlamentare di amicizia Italia-Francia
Per accogliere l’appello, il presidente del Consiglio dovrebbe avere la forza di spiegare ai suoi vicepremier che l’isolamento dell’Italia in Europa non è come un meteorite caduto dal cielo ma è il frutto di ciò che l’Italia ha seminato con cura in questi mesi. L’isolamento non è un incidente. L’isolamento è nel contratto di governo. E fino a che ci sarà questo governo l’isolamento non sarà un’opzione: sarà la realtà.