Togliere l'ambiente agli ambientalisti. I danni di Ingroia da sobrio
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 23 aprile 2019
Al direttore - Che dirà la giunta per le autorizzazioni a sparare?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Basta e avanza quello che ha detto e fatto da sobrio. Che beva pure. Sono fatti suoi. Ingroia il Tonino del terzo millennio.
Frank Cimini
Il problema di Ingroia non è quello che ha fatto da ubriaco in un aeroporto, ma è quello che ha fatto da sobrio in una procura della Repubblica, quando, immaginiamo senza aver toccato neppure un goccino, trasformò in un’icona dell’antimafia un calunniatore di nome Massimo Ciancimino e tentò di arrivare alla guida del paese mettendo al servizio della propria campagna elettorale un’inchiesta giudiziaria. Rivoluzione cin cin.
Al direttore - Venerdì scorso a Roma, a piazza del Popolo, migliaia di giovani e di famiglie con bambini hanno accolto e applaudito Greta Thunberg, l’adolescente svedese ormai icona globale dell’ambientalismo contemporaneo. Si è già scritto e detto tanto, a cominciare dalla strumentalizzazione del fenomeno, dunque mi preme avanzare solo una piccola riflessione: possono le forze liberali e popolari disinteressarsi della questione ecologica e consegnarla alla sinistra? Non dobbiamo commettere questo errore, a parer mio. L’ambientalismo di sinistra è storicamente fallito sotto la pressione della sua ideologia del No, antindustriale e anticapitalista. Noi che difendiamo la scienza, il valore dell’industria e dell’economia di mercato dobbiamo saper dare risposte ai cittadini sempre più preoccupati per la qualità dell’aria che respirano, dell’acqua che bevono e del cibo che mangiano. Un clima sempre più estremo (gelate, bombe d’acqua e fiammate di caldo) danneggia l’agricoltura nazionale e il reddito di produttori e consumatori: bisogna occuparsene. Alla demagogia delle eco-tasse, buone solo per fare cassa alle spese dei meno abbienti, dobbiamo opporre un sistema di incentivi fiscali verso una transizione energetica efficiente, che crei anche posti di lavoro e nuove opportunità di impresa. Gli investimenti per la depurazione delle acque e la riduzione degli sprechi sono una opportunità per l’intera economia nazionale. Insomma, c’è da creare un ambientalismo delle cose concrete, un ambientalismo della vita quotidiana, di cui le forze moderate si facciano promotrici.
Mara Carfagna, vicepresidente della Camera (FI)
L’ambientalismo giusto, per essere alternativo a quello compatibile con il lessico della decrescita felice, deve trasformare la difesa dell’ambiente non nella difesa dello status quo, che spesso si traduce a sua volta in una difesa della politica dei veti, dei vincoli, dei no, ma nella difesa del futuro, del progresso e dello sviluppo. L’ambiente è una questione troppo seria per lasciarla in mano agli ambientalisti (Ps: l’anti catastrofismo sull’ambiente è qualcosa da coltivare con cura, con attenzione, senza tralasciare i minimi dettagli. Un esempio: i temporali esistono, le bombe d’acqua no).
Al direttore - E’ degna di lode l’iniziativa del Foglio di pubblicare settimanalmente – a partire da sabato 20 aprile – cinque “lezioni” o interventi di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI poco noti al grande pubblico, dai quali si possano cogliere la limpidezza e la coerenza di pensiero che il Papa emerito da molti decenni esprime e persegue in ambito teologico-dottrinale e di morale cattolica, di fronte ai molteplici problemi della Chiesa, nonché del mondo in cui questa si trova ad operare. Due sono gli spunti di riflessione a cui mi induce l’iniziativa editoriale suddetta. La prima riguarda il rapporto con la tradizione e il deposito dottrinale della chiesa intrattenuto negli ultimi tempi dalle gerarchie ecclesiastiche, nelle quali si è diffusa una sorta di svalutazione e insofferenza verso l’impegno intellettivo volto alla cura, all’argomentazione e al rigore razionali su temi di dottrina e di morale o attinenti al magistero petrino. In tal senso, la solida struttura discorsiva e lo spessore del contenuto della prima lezione di Joseph Ratzinger pubblicata dal Foglio sono indubbiamente un severo banco di prova per ogni cristiano, qualunque sia la natura della testimonianza data e il grado di responsabilità ricoperto da questi nella comunità ecclesiastica; eppure, nondimeno, restano un cimento ineludibile, se il cristiano vuole operare nel secolo e non essere del secolo. Ricordo, su questo punto, quanto ebbe a dire il compianto cardinale emerito di Bologna, Carlo Caffarra, il 16 giugno 2016 alla presentazione del libro del cardinale Giacomo Biffi “Ubi Fides ibi Libertas”: “Una Chiesa più povera di dottrina non è più pastorale, è solo più ignorante, e quindi più soggetta alle pressioni del potente di turno”. Sin qui la chiesa. Più in generale, però – e qui è il secondo punto della mia riflessione – anche il contesto storico che viviamo necessita delle lezioni ratzingeriane. Viviamo in un’epoca in cui di fronte al dominio del pensiero liquido alla Zygmunt Bauman, al percepire e sentire affermati come soli autentici modi di cogliere le cose e il destino dell’uomo, le lezioni ratzingeriane risultano essere indispensabili per riscoprire che le pietre d’inciampo della realtà e della logica vengono prima delle ragioni del cuore e di ogni soggettivistica interpretazione. E’ insomma una questione di giusta e sana gerarchia del conoscere umano – prima l’intelligere o il vedere dentro le cose e poi il sentire e l’amare – ben nota allo stesso Dante (Paradiso, canto XXVIII, vv. 109-111): “Quinci si può veder come si fonda l’essere beato ne l’atto che vede, non in quel ch’ama, che poscia seconda”.
Alberto Bianchi