No: la libertà non si difende limitando la libertà d'espressione

Al direttore - Vabbè, facciamo contento Bersani: la mucca dal corridoio al Salone.

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - La democrazia liberale è una società aperta. Si basa, cioè, su un presupposto semplice quanto potente: nessuno detiene il monopolio della verità. Nessuno può vantare un punto di vista privilegiato sul mondo. Gli uomini sono tutti fallibili. E da questo principio deriva l’intero impianto del liberalismo politico: la tutela del dissenso e il principio maggioritario temperato (ossia, evitare la tirannia della maggioranza), la separazione dei poteri, lo stato di diritto (nessuno può essere al di sopra della legge), ecc. Ogni tanto, però, le vicende dell’attualità ci ripropongono una domanda esiziale e per certi versi fondante: fino a che punto si può accettare qualsiasi punto di vista? Quali sono i confini del pluralismo? Si può essere tolleranti con gli intolleranti? A tale dilemma, Karl Popper rispose così: “Dovremmo proclamare il diritto di non tollerare gli intolleranti”, anche perché – è evidente – tollerare gli intolleranti può portare paradossalmente alla fine dei tolleranti… Tuttavia, bisogna capire, a monte, chi è l’intollerante. O, per dirla più semplicemente, dovremmo chiederci: chi è il “nemico” in democrazia? Proviamo a rispondere, partendo da due premesse: 1) il conflitto è ineliminabile in qualsiasi comunità politica; esso è dunque elemento costitutivo della politica stessa, come ci insegna Carl Schmitt; 2) la democrazia liberale tende a trasformare il nemico in avversario, vale a dire che tende a regolare il conflitto (mediante elezioni libere e competitive) evitando così di arrivare all’eliminazione del nemico dal campo, soluzione praticata tipicamente da tutti i regimi non-democratici, da sempre e ancora oggi. Ciò non vuol dire che i regimi democratici non abbiano nemici, interni o esterni; non tutti gli attori politici sono configurabili come avversari. Per essere tali, devono accettare le regole del gioco democratico. Nei fatti però, non a parole. In linea teorica, una democrazia liberale non censura le opinioni; riconosce e anzi rivendica la libera espressione per tutti. Al livello delle opinioni non ci sono nemici, sono tutti avversari. Quando dalle opinioni si passa ai fatti, le cose cambiano. E’ quello il contesto in cui i tolleranti non devono più tollerare gli intolleranti. Perché i fatti diventano eversivi, mettono a rischio il regime democratico stesso che pertanto esercita il suo diritto alla “legittima difesa”. Che succede, invece, se si inizia a non tollerare sul piano delle opinioni anziché su quello dei fatti? Succede, sempre in linea teorica, che si diventa illiberali, cioè in qualche modo… fascisti. Per chiarire ulteriormente questo concetto possiamo distinguere tre categorie di “nemici” politici per tre regimi diversi: 1) nel totalitarismo, il nemico è ideologico e potremmo dire “identitario”. Si è nemici perché si esiste e si hanno determinate caratteristiche: si pensi all’ebreo per il nazismo o al capitalista per le dittature comuniste. Non serve fare atti sovversivi, neanche dirli o addirittura solo pensarli; si è nemici del popolo “oggettivamente” in quanto l’ideologia di regime (il monopolio della verità) colloca certe categorie fuori dalla comunità, fino spesso all’eliminazione fisica, come è tristemente noto, passando in rassegna lager, gulag e laogai. 2) nei regimi autoritari il nemico è “possibile”, cioè potenziale. Ed è il classico caso da censura delle opinioni. Chi non la pensa come me va perseguitato e reso innocuo. E’ una minaccia potenziale al regime e pertanto va limitata sul nascere. Anche perché, di nuovo, la “verità” è la mia… e dunque non posso tollerare verità alternative, in quanto “sbagliate” per definizione. 3) in democrazia il nemico è “reale”. Deve cioè palesarsi come sovversivo; deve dichiarare la sua antidemocraticità e compiere atti per sovvertire l’ordine democratico. Solo in quel caso siamo difronte a un nemico. Finché CasaPound – come qualsiasi altro gruppo politico – si limita a sostenere e a propagare opinioni, anche qualora fossero antiregime, qualsiasi loro censura finirebbe per configurare un “eccesso di legittima difesa”, si potrebbe dire. Cioè l’esercizio non di un diritto, ma di una prevaricazione sotto forma di censura. Questi principi e questi “confini” teorici poi devono fare i conti con la storia delle comunità politiche. Non è un caso che in diversi paesi negare l’olocausto non è considerato un’opinione, ma un reato. E dunque capisco che un neo-post- fascista in Italia sia considerato più pericoloso rispetto a un neo-post-comunista. Pur a parità di velleità antisistema. Perché la storia nazionale conta, e pesa. Tuttavia ricordo che abbiamo una disposizione finale della Costituzione e una legislazione (Scelba-Mancino) che hanno già tracciato i confini del “nemico”. Il “fascista” è già dal 1948 un avversario sui generis, sotto osservazione permanente. Arrivare alla censura vera e propria produce uno slittamento importante. Lo slittamento dall’antifascismo al fascismo (dell’antifascismo).

Luigi Di Gregorio

  

Quando si parla di opinioni, gli antifascisti militanti sono un problema non inferiore a quello rappresentato dai fascisti militanti, e se limitare la libertà d’espressione diventa una forma di difesa della nostra libertà c’è qualcosa che non va non solo nella cultura che si sta combattendo ma anche in quella che si sta promuovendo.


 

Al direttore - Dopo Roma sul sottosegretario Siri indaga anche Milano. Trattandosi di Lega la domanda è d’obbligo: chi c’è l’ha più duro tra Francesco Greco e Paolo Ielo?

Frank Cimini

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