Elezioni e populismo: non scegliere significa già aver scelto da che parte stare

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Forza ragazzi di Palermo, ora tirate fuori il video su Casaleggio.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Diceva Norberto Bobbio che il primo impegno degli intellettuali (termine quanto mai ambiguo, lo so) dovrebbe essere quello di impedire che il monopolio della forza divenga anche il monopolio della verità. Ho perciò sempre diffidato di quei giornalisti, accademici e letterati che predicano il “né di qua né di là”, ritenendo che il loro compito sia quello di non compromettersi con nessuno dei contendenti nella lotta per il potere, di non sporcarsi le mani, di guardare con aristocratico disdegno i cani che si azzuffano; e magari di continuare a speculare, pronosticando sventure, sull’esito della battaglia. Credono “di galleggiare sui flutti – chiosava lo stesso Bobbio – come i signori della tempesta, e sono respinti, senza che se ne accorgano, in una isola disabitata”. Forse per questo motivo alcuni di loro, stanchi di essere estranei a tutti i partiti, ne hanno scelto uno – oggi il più promettente elettoralmente – per servirlo. Ora non stanno più al di sopra della mischia, ma dentro. Sono così diventati i chierici del salvinismo, ministri e fedeli della neonata chiesa sovranista italiana. Non c’è da menarne scandalo. Infatti, è una conversione che contribuisce a dissipare un equivoco. Perché nel tempo presente, dove un neonazionalismo arrembante si contrappone a ogni idea di Europa come “comunità di destino”, non c’è spazio per posizioni terziste. Bisogna scegliere da che parte stare: o di qua o di là. Per riprendere una metafora cara a Julien Benda, tra Michelangelo che rinfaccia a Leonardo la sua indifferenza alle sventure di Firenze, e Leonardo che risponde che lo studio della bellezza occupa tutto il suo cuore, i partigiani della democrazia liberale non dovrebbero avere dubbi a schierarsi con lo scultore della Pietà.

Michele Magno

 

Non scegliere significa già aver scelto da che parte stare.

 

Al direttore - “Legnati a Legnano” titola Repubblica. E se avessero arrestato il sindaco di Chiavari come avrebbero titolato?

Frank Cimini

 

Al direttore - La citazione dei Beatles a cui è ricorso il governatore Ignazio Visco (la strada lunga e tortuosa non scomparirà mai) per prospettare le conseguenze di un’eventuale inerzia del governo nel riprendere l’agenda delle riforme di struttura e, in particolare, l’iniziativa per una significativa ancorché graduale riduzione del debito pubblico è stata rappresentata, more solito, come un “allarme” della Banca d’Italia. In effetti, si tratta del ribadimento, rafforzato dall’andamento degli spread, di una esigenza rappresentata in mille modi, anche ai passati governi, e a maggior ragione in quest’ultimo caso riproposto per i problemi ancora pendenti e insoluti. C’è da chiedersi, poiché ormai non si possono ipotizzare se non misure da adottare, a questo punto, dopo le elezioni, se la conflittualità intragovernativa dilagante in queste settimane di campagna elettorale non possa proseguire in forme diverse anche dopo il voto, magari vieppiù alimentata dai “pesi” che il responso delle urne attribuirà alle due forze della maggioranza di governo e dal confronto in sede europea per la formazione dei nuovi organi. Allora, però, non vi sarà l’attenuante della competizione elettorale, mentre, per di più, a partire dal 5 giugno, quando saranno pubblicate le “Raccomandazioni paese” della Commissione Ue, si accentuerà il controllo sui nostri conti pubblici e, sia autonomamente, sia di conseguenza, quello degli operatori e dei mercati. Non so se bisogna sperare in una resipiscenza (che forse sarebbe miracolosa), magari per affrontare meno sconsideratamente questa fase, ferma restando la quasi impossibilità di vedere l’attuale come un governo di legislatura, oppure sarà preferibile un “rompete le righe” e il ritorno al voto (ma con quale prospettiva?). A questo punto la soluzione non potrà essere orientata che dalla “salus rei publicae”. Leggo, caro direttore, il Suo pensiero, ma ora, avvicinandosi il momento in cui sarà difficile ulteriormente temporeggiare da parte delle forze dell’Esecutivo, qual è la Sua previsione ? Con i migliori saluti.

Angelo De Mattia

 

Al direttore - Caro Cerasa, ho molto apprezzato e condiviso il suo editoriale di ieri – coraggioso come sempre – sulle “procure del cambiamento”. In effetti, anch’io ho trovato singolare – pur con tutto il rispetto per la magistratura inquirente – l’indagine per abuso d’ufficio a cui è sottoposto il governatore Attilio Fontana per aver nominato a far parte di una commissione, ritenuta importante, un suo ex collega del quale evidentemente conosceva la professionalità e la dirittura morale. Tutto ciò al lauto compenso di undicimila euro lordi l’anno. Anche nella vicenda in cui sono coinvolti Lara Comi e il presidente della Confindustria lombarda, a parte la modestia della somma, c’è pur sempre di mezzo una regolare fattura: una documentazione che, spesso, evita di emettere l’idraulico col pretesto di scontare l’Iva.

Giuliano Cazzola

 

Quando al centro delle inchieste sulla politica finiscono indagini originate da reati spesso difficili da dimostrare come il finanziamento illecito e l’abuso d’ufficio è naturale chiedersi se il tema della nuova Tangentopoli riguardi più l’orrore di un nuovo sistema criminale o l’orrore di un nuovo circo mediatico giudiziario.

 

Al direttore - Il collante del potere ha le gambe corte senza una visione comune, come era presente nella Prima Repubblica. Nel 1948 gli interessi dei moderati e della chiesa, coincisero. La regoletta di Yalta fece il resto e, concertando e consociando la partitocrazia fino al 1991 resse. Ma strada facendo aveva costruito sulla sabbia del carpe diem settoriale, i pilastri politici, amministrativi, sociali che la caduta del Muro e Tangentopoli, fecero crollare. Caro direttore, tutto si tiene. Oggi annaspiamo, ci rifugiamo nel rumore delle parole. Auspichiamoci che siano sufficienti a mettere fuori gioco la Casaleggio & Co. Ma gli ingredienti sono quelli che sono: provengono dal tutto si tiene. Speriamo che me la cavo.

Moreno Lupi

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