Matteo Salvini (foto LaPresse)

Cosa ci dice sulla giustizia italiana (e su Salvini) il caso di Mirandola

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Giorgetti: che faccio, mi caccio?

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Come tante altre campagne mediatico-giudiziarie quella contro le c.d. spese pazze dei consiglieri regionali e degli amministratori locali (il caso di Ignazio Marino è emblematico) si è conclusa, nei giudizi, in tante assoluzioni e in poche condanne. Gli inquirenti si accanirono, in particolare, sulle documentazioni relative alle trasferte, pretendendo di distinguere – cosa pressoché impossibile per una persona impegnata politicamente – se le iniziative e le riunioni fossero da attribuire al ruolo istituzionale ricoperto o all’attività del partito di appartenenza. I giornali e le tv seguirono la vicenda con il solito zelo dello “sbattere il mostro in prima pagina” (una persona fu messa alla gogna perché si era fatta rimborsare lo scontrino di una toilette). Oggi abbiamo un ministro dell’Interno che si guarda bene dal tenere un comportamento, non diciamo neutrale, ma almeno di relativa terzietà mentre, per dovere d’ufficio (da cui è assenteista confesso), dovrebbe vigilare sulla correttezza della campagna elettorale. Il Capitano, invece, si concede comizi “a strascico” in tutte le piazze, le piazzette, gli oratori e i cortili d’Italia. Se trovasse il tempo, il Truce parteciperebbe anche alle riunioni di condominio e agli incontri degli “alcolisti anonimi”. Visto che non gli sono ancora spuntate le ali, si avvale di mezzi di trasporto che di certo non sono messi a disposizione dalla Lega. Tuttavia, anche ammesso (in teoria) che l’ufficiale pagatore sia il Carroccio attraverso il finanziamento pubblico, le procure dovrebbero usare gli stessi criteri di giudizio (ancorché discutibili) in voga al tempo della “caccia alle streghe” nelle regioni: non è lecito utilizzare risorse pubbliche per attività di partito.

Giuliano Cazzola

 

Se Salvini avesse le tette farebbe anche l’annunciatrice.

 

Al direttore - Sbaglio o il ministro dell’Interno non ha fatto ancora nessun tweet sul fatto che l’autore del rogo di Mirandola avrebbe dovuto essere espulso il 14 maggio e invece due giorni fa si trovava ancora lì beato di fronte alla caserma della polizia locale?

Franco Martini

 

“L’episodio di Mirandola – ha sostenuto Matteo Salvini pochi minuti dopo il rogo nella caserma di polizia – conferma il fallimento dei porti aperti e dell’accoglienza ai finti minorenni”. In verità, come si è scoperto subito dopo, l’episodio di Mirandola conferma non soltanto che Matteo Salvini non ha fatto tutto quello che aveva promesso di fare per accelerare e migliorare il sistema di espulsioni e di rimpatri ma che il sistema giudiziario italiano presenta alcuni problemi su questo fronte che un giorno andrebbero analizzati. Primo: perché, pur essendo stato ritenuto responsabile di reati gravissimi, l’uomo che ha appiccato il rogo si trovava già dopo pochi mesi in libertà? Secondo: perché, pur avendo sette diverse identità, non si è fatto uno sforzo di identificazione e lo si è rimandato nel paese di origine? Un ministro dell’Interno con la testa sulle spalle, piuttosto che giocare a fare lo sciacallo, dovrebbe fare di tutto non solo per migliorare il sistema dei rimpatri ma anche per rendere più efficiente la giustizia italiana. Il resto sono solo chiacchiere e diversivi.

 

Al direttore - La “rivoluzione industriale” che stiamo vivendo non toglierà lavoro ma contribuirà a riqualificare le risorse umane che in molti casi non svolgeranno più azioni semplici e ripetitive, ma useranno “tecnologia” e gestiranno “big data”. Il “capitale umano” assumerà quindi un ruolo più centrale. Il problema è che oggi non ci sono sul mercato le competenze tecnologiche e sicuramente mancano anche quelle trasversali. Quindi si genera “mismatch” ovvero il paradosso che in un periodo di alta disoccupazione, le imprese cerchino ma non trovino quelle professionalità di cui necessitano. La scuola e l’università hanno un ruolo importante per costruire le competenze che mancano. Ma poi è necessario che il mondo della scuola e del lavoro dialoghino non solo ex post, ma soprattutto ex ante. Le aziende devono rivedere le loro strategie di “attraction”, i loro iter selettivi e i piani formativi. Servono seri programmi di riqualificazione e di rafforzamento delle competenze. Dobbiamo infine chiederci se all’interno delle aziende ci sia chi ha competenze di leadership per guidare questa profonda rivoluzione: una persona che sia capace di far dialogare gli innovatori e sfruttare gli input creativi delle risorse in azienda, capace di dialogare con il mercato e con gli stakeholder esterni, intercettare e anticipare i bisogni dei clienti e capace di creare engagement all’interno dell’azienda. Un leader che dovrà gestire risorse, ma anche rivoluzionare agevolmente le tecnologie dell’impresa per sopravvivere in un mercato che cambia alla velocità della luce. Ma purtroppo quello che noto è che ci sono sempre più aziende, i cui azionisti si concentrano su profitti istantanei, manager che si concentrano su bonus a breve termine, clienti che vogliono un prodotto migliore a un prezzo più basso e governi che scelgono strade scarsamente innovative.

Andrea Zirilli

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