La fake news dell'onda sovranista e il seggio perso dalla Le Pen. Domanda su Calenda
Le lettere del 29 maggio al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Processo a Di Maio tra i 5 stelle, la Lega vota per immunità.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Le prime dichiarazioni di Salvini sullo sforamento dei parametri europei hanno già i primi impatti sullo spread. Non si vuole, qui, caricare tutto ciò che di negativo avviene nel mercato finanziario su Salvini, concorrendo altre cause. Ma le parole, nel caso di chi è risultato vincitore nelle elezioni europee, sono un macigno, che può destare timori o comunque alimentare aspettative non positive negli investitori, nei risparmiatori, nelle istituzioni internazionali. Pronunciarle è una manifestazione di grave leggerezza, che può danneggiare tutti. Altra cosa è non dichiarare di violare le regole, ma agire politicamente per rivedere norme comunitarie non più attuali nel campo dei conti pubblici, dei sistemi bancari e finanziari, del settore della concorrenza e del mercato. Ma con chi pensa Salvini di far valere le necessarie convergenze per arrivare a tali revisioni? Con Le Pen, con Orbán, con Farage? Con quale disegno riformatore ci si avvierebbe alla rivisitazione? Sostenendo che, diversamente, opereremmo da soli? Ma qualsiasi persona di medio-piccola competenza in materia potrebbe mai pensare che a reagire a uno sforamento di parametri e a una inosservanza di vincoli sarebbe la sola Commissione Ue e non anche, e ancor prima, risparmiatori e investitori, insomma i mercati che perderebbero fiducia nella finanza pubblica e, dunque, nelle capacità del governo nella sua interezza (se seguisse questa pericolosa strada)? Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
A proposito di sovranismi, di onde populistiche e di famigerate “ombre nere”: il partito di Marine Le Pen, quella del boom alle europee, al Parlamento europeo, rispetto al 2014, ha perso un seggio.
Al direttore - L’alternativa ai sovranisti e alle destre populiste non è il Pd più il M5s. Con tutta la buona volontà di Zingaretti gli eredi del post comunismo e della post sinistra democristiana non infrangeranno mai al massimo la barriera del 35 per cento dei voti. I risultati elettorali d’oggi e la storia della Repubblica parlano chiaro a chi sa leggere e capire le tendenze politico-elettorali. Senza un’offerta liberaldemocratica-riformista, socialista umanista, modernamente laica, non euro-ideologica, qualsiasi schieramento o blocco contrapposto ai nazionalpopulisti non potrà mai prevalere. Se accanto al Pd, erede sostanziale del Pci e del compromesso storico – e non contro il Pd – non si forma una forza che metta in prima linea lo stato di diritto, una democrazia parlamentare rafforzata dal governo forte, i diritti individuali e la riforma sociale non buonista, la separazione della politica dalla giustizia e dal giustizialismo, difficilmente vi potrà essere una vera alternanza, perno della democrazia liberale. Ieri questa funzione era svolta, bene o male, dal socialismo craxiano, dai laici e dai liberali. Tutte quelle tendenze sono state distrutte dallo strumentalismo della “questione morale” giustizialista. I socialisti, i radicali e i liberali non hanno lasciato oggi che brandelli insignificanti. Forza Italia tramonta con il suo fondatore. In Inghilterra esplodono i liberaldemocratici di fronte alle ambiguità conservatrici e laburiste. Altrove emergono gli ambientalisti europeisti non ideologici. E in Italia che fare? Certo non sono proponibili nostalgie del passato. Ma dal voto qualche indicazione pur emerge: nelle città vanno bene sindaci liberal come Sala e Gori vincono anche laddove è terra di Lega. Nelle realtà urbane dove più si esprime la società moderna e secolarizzata si vede un po’ di luce oltre l’ondata salviniana. Lasciate stare le combine con i Cinque stelle che torneranno là dove meritano: la poubelle della storia. Non è un caso che Carlo Calenda ha avuto il maggiore successo di preferenze anche nel Pd nella terra del “truce”. Forse il liberaldemocratico che ha avuto il coraggio di mescolarsi con il Pd potrebbe alzare la bandiera che gli è congeniale, oggi indispensabile per qualsiasi realistica proposta che si proponga domani come alternativa di governo insieme ai Democratici.
Massimo Teodori
Calenda è stato il più votato nella lista del Pd. Ma siamo sicuri che sarebbe andato altrettanto bene se non fosse stato il candidato del Pd?