Demagogia e salute. Un botta e risposta con il ministro Giulia Grillo
Le lettere del 5 giugno al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Tetto ai subappalti, escluso Conte.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Sono da molti anni un’attenta lettrice del Foglio, e proprio qualche giorno fa sulla versione online ho letto un articolo che mi riguardava, credo uno dei pochissimi sul suo giornale da quando mi sono insediata. Mi riferisco all’articolo a firma di Annalisa Chirico, dal titolo: “Se il successo dell’Italia sono le battaglie del ministro Grillo contro Germania, Regno Unito e Giappone”. Voglio precisare che nessuna delle attività svolte in questi mesi dal ministero della Salute, e tra queste quelle relative alla governance farmaceutica, si prestano a “facile demagogia contro le multinazionali sporche e cattive”. Al contrario, il dialogo e il confronto costante, libero e costruttivo con le associazioni che rappresentano le aziende del settore hanno permesso una serie di provvedimenti molto importanti che vorrei brevemente ricordare ai suoi lettori e alla stessa Chirico. Abbiamo recuperato 2,4 miliardi di euro grazie all’accordo raggiunto con l’industria farmaceutica e le regioni, risolvendo sei anni di contenziosi con lo stato per il versamento delle somme dovute dalle aziende per il superamento dei tetti di spesa (cd. meccanismo del payback); abbiamo riaggiornato la Delibera Cipe, ferma al febbraio 2001, che individua i criteri per la contrattazione del prezzo dei farmaci e, grazie a una norma approvata di recente, si eviteranno carenze sul territorio italiano di medicinali essenziali per la salute dei cittadini (per esempio, il Sinemet per i malati di Parkinson). Voglio poi sottolineare che la Risoluzione, oggetto dell'articolo, elaborata dal mio ministero e dall’Agenzia del farmaco, e adottata pochi giorni fa alla 72ma Assemblea dai 194 paesi membri dell’Oms è stata condivisa e dunque proposta da altri 22 stati oltre al nostro: Algeria, Andorra, Botswana, Brasile, Egitto, Eswatini, Grecia, India, Indonesia, Kenya, Lussemburgo, Malesia, Malta, Portogallo, Federazione Russa, Serbia, Slovenia, Sudafrica, Spagna, Sri Lanka, Uganda e Uruguay. Non solo. La risoluzione è stata definita “un passo avanti storico” dal direttore generale dell’Oms, Tedros Adhanom Ghebreyesus, e ha visto la piena condivisione da parte di moltissimi Paesi produttori di farmaci tra cui gli Stati Uniti, la Cina e la Corea del sud. Positiva l’accoglienza anche da altri due big, Giappone e Svizzera, che già praticano avanzate politiche di trasparenza, ma che essendo finora i soli a farlo non potevano beneficiare degli effetti competitivi per i mercati farmaceutici. Approfitto poi di questa occasione per esprimere, come per altro ho già fatto in altre occasioni, la piena soddisfazione per le ottime performance delle aziende del farmaco, nonché il massimo sostegno affinché i risultati conseguiti si possano consolidare e sviluppare nel rispetto di quanto previsto dalla normativa in vigore sulla disciplina dei farmaci (articolo 29 della legge 833, istitutiva del nostro Ssn, “La produzione e la distribuzione dei farmaci devono essere regolate secondo criteri coerenti con gli obiettivi del servizio sanitario nazionale, con la funzione sociale del farmaco e con la prevalente finalità pubblica della produzione”). Infine, a beneficio dei lettori della dottoressa Chirico, ho già accolto con piacere nei giorni scorsi l'invito a partecipare all’Assemblea Pubblica di Farmindustria che si terrà a Roma il prossimo 4 luglio. Trasparenza significa più equità per tutti: pazienti, operatori, mercati.
Giulia Grillo, ministro della Salute
Gentile ministro, grazie della lettera e delle precisazioni, di cui naturalmente prendiamo atto, anche se non smentiscono nulla di quanto da noi scritto. C’è però un punto che sarebbe stato interessante affrontare all’interno del suo ragionamento e che una qualsiasi persona con la testa sulle spalle evidentemente si aspetta leggendo quanto da lei scritto in queste righe. Il punto coincide con una parola semplice che forse un ministro della salute avrebbe il dovere di pronunciare, se davvero ha interesse a combattere contro colore che fanno facile demagogia contro le multinazionali sporche e cattive: scusateci. Scusateci non per ciò che questo governo ha fatto ma per ciò che coloro che guidano questo governo avevano promesso quando non si trovavano al governo: la legittimazione per fini propagandistici, per fini elettorali, per fini antiestablishment di alcune battaglie, come quelle contro i vaccini, che sono il perno della facile demagogia contro le multinazionali sporche e cattive. Se oggi in Italia esiste una radicata cultura ostile alle multinazionali del farmaco lo si deve anche al fatto che i partiti che oggi la sostengono alla guida del dicastero della salute, gentile ministro, sono tra i primi responsabili della proliferazione nel nostro paese di un ecosistema del rancore, che ha trasformato gli esperti in nemici del popolo, che ha fatto della competenza un avversario dei partiti antisistema e che ha trasformato alcuni vaccini, prima di tutti quelli legati al morbillo, in un qualcosa da combattere, in nome di una guerra santa contro le élite. Anche il suo governo, gentile ministro, ha tergiversato a lungo su questo tema, prima evocando la possibilità di introdurre una formula creativa di “obbligo flessibile” (complimenti per la fantasia), poi promettendo di abolire la legge Lorenzin, infine prorogando per un anno la legge, ma senza dare ancora certezze ai genitori e ai bambini per il prossimo anno. Abbiamo visto che recentemente, gentile ministro, ha avuto occasione di dire che, per quanto riguarda il morbillo, “l’obbligo della vaccinazione rimane perché in Italia c’è un’epidemia, purtroppo e ci sono stati molti morti, è quindi assolutamente importante vaccinarsi”. La vaccinazione non è una terapia, ma è uno strumento di prevenzione. Ma a parte questo, l’epidemia di cui lei parla, se ci consente, è parente stretta di un’altra epidemia, che è quella portata avanti da un movimento trasversale che ha giocato con la salute dei bambini mettendo in discussione i vaccini. Se davvero vuole combattere la demagogia facile contro le multinazionali, dovrebbe avere la forza e il coraggio di dire scusateci: abbiamo giocato con la salute dei vostri figli, abbiamo imparato la lezione, non lo faremo più. Il punto però che le chiediamo gentilmente è: ma davvero avete imparato la lezione? Cordialmente.
Al direttore - Mi consenta qualche riflessione sull’ormai mitico “partito di centro che non c’è”. Ormai è evidente che c’è un’area sociale (imprenditori, uomini di cultura, ceto medio, giovani a elevata qualificazione professionale, agricoltori) e politico-culturale (moderati, riformisti, liberali-liberisti) che sono distanti dal Pd, ma che nutrono sentimenti repulsivi nei confronti dei grillini giustizialisti e anti-pil e nei confronti del “truce” (non altrettanto rispetto all’ala imprenditoriale-produttivistica-operaia che si riconosce nella tradizionale Lega e che è legata all’Europa e all’euro da forti vincoli di import-export). Allo stato tutta quest’area è priva di un riferimento politico organico. Vorrà essere Forza Italia un parziale riferimento? Allo stato non sembra, se rimangono in piedi la subalternità sostanziale nei confronti del “truce” e i riferimenti internazionali a Orbán e a Putin (due diverse espressioni dell’autoritarismo più spietato). Comunque mai dire mai. In Forza Italia la partita è aperta perché una parte di essa, non solo meridionale, non accetta più di essere trascinata per il collare, tramite staff, alla soggezione nei confronti del “truce”. Sull’altro versante, a sinistra, emergono una serie di contraddizioni. Un auspicabile partito di centro deve sorgere in assoluta autonomia. Non potrà essere rispetto al Pd che sta facendo il pieno dei consensi a sinistra una sorta di “partito contadino”, octroyée da Zingaretti e compagni. Così se Calenda avesse voluto essere il leader protagonista della fondazione di un soggetto politico di centro avrebbe dovuto correre tutti i rischi elettorali presentandolo magari d’intesa con la Bonino, Tabacci, +Europa, i socialisti a queste elezioni europee. Invece adesso si sta proponendo come fondatore di questo ipotetico partito di centro essendo stato eletto come capolista del Pd in una circoscrizione e per di più chiedendo il permesso a Zingaretti che non glielo sta dando. Insomma l’auspicabile partito di centro deve avere un’autonomia politica e culturale originaria, non essere già in partenza una costola del Pd o del fronte opposto. Poi esso deciderà con chi allearsi in modo razionale e flessibile sulla base ci ciò che avverrà. Speriamo che ci sia del tempo per fare tutto ciò. Vedendo ciò che si profila sul piano economico-finanziario temiamo che fra l’estate e l’autunno la storia per molti aspetti grotteschi di questa maggioranza gialloverde diventi drammatica e non ci sarà più nessun Draghi a salvarci.
Fabrizio Cicchitto