Il moralismo surrogato del riformismo
Brasile, Emiliano, Arata: un pessimo periodo per essere garantisti
Al direttore - Ma quanto c’aveva Lotito in cassetta di sicurezza?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Alessandro Di Battista dice che la nuova Lega è come Forza Italia. Non ricordo però con quale partito oggi è alleato il partito di Alessandro Di Battista.
Franco Foroni
Michele Emiliano indagato per abuso d’ufficio. Un consigliere della Lega, Paolo Arata, arrestato. Magistrati mediatici sotto accusa. Il M5s alleato con il partito dell’onestà. Un giudice brasiliano allievo di Di Pietro e Davigo accusato di aver portato avanti un golpe giudiziario sul modello Tangentopoli. Il partito dell’onestà che sostiene alla procura di Roma lo stesso procuratore capo voluto dal pm mascariato. Un periodo orrendo per essere garantisti.
Al direttore - Sarà, come scriveva Vladimir Nabokov, che “nel proprio passato ci si sente sempre a casa”, fatto sta che il richiamo ai bei tempi andati, a quella mitica età dell’oro che la postmodernità e la globalizzazione ci avrebbero rubato, è diventato la principale caratteristica della politica italiana. Specie a sinistra, dove il dibattito si avvita sempre su questioni identitarie e affettive e sembra ancora che, come ai tempi della “svolta”, il confronto sia tra chi amava e rimpiange il Pci e chi, invece, no. In questi giorni, nell’anniversario della sua scomparsa, si ricorda Enrico Berlinguer. La morte drammatica sul palco di Padova lo ha consegnato al mito e, della sua eredità, ciascuno ha scelto la parte che più gli è congeniale. Nicola Zingaretti si dice convinto che “nel patrimonio genetico del Pd ci sia ancora quella spinta propulsiva che deriva dall’aspirazione a cambiare l’ordine delle cose, di cui parlava Berlinguer”. E Scalfari – al quale ormai si perdona tutto – arriva a dire che “il Pd non è altro che il Partito comunista di Berlinguer”. Ma allora perché stupirsi del fatto che la maggioranza degli italiani continui a diffidare della sinistra (togliendole addirittura consensi per premiare, come dimostrano le analisi sui flussi elettorali, la Lega di Salvini)? Il Pci non era un partito socialdemocratico e non voleva diventarlo; l’austerità che gli italiani dovevano abbracciare come visione e stile di vita doveva essere la premessa di un radicale cambiamento del modello di sviluppo fuori dal quadro e dalla logica del capitalismo; l’attacco all’individualismo era centrale nella cultura del partito e il superamento del capitalismo e lotta all’imperialismo americano erano opzioni ideologiche di fondo e, in quanto tali, del tutto estranee alla tradizione politica occidentale: Antonino Tatò, tra i principali collaboratori di Berlinguer, arrivava infatti a sostenere che “i paesi socialisti sono superiori ai paesi con i governi socialdemocratici, l’Urss è comunque superiore alle socialdemocrazie”. Come ha osservato Claudia Mancina nel saggio che ha dedicato al segretario del Pci, molte delle difficoltà nel costruire un partito nuovo e libero dall’eredità comunista derivano proprio dall’incapacità di fare i conti con l’ombra di Berlinguer. Ma quell’orizzonte non esiste più. E il Pd dovrà necessariamente fondare la propria identità sul suo impegno per promuovere, qui ed oggi, lo sviluppo del paese, creare opportunità e ridurre le diseguaglianze di una società profondamente diversa da quella di allora. Rifarsi a Berlinguer non è necessario; e non è necessario “avere un Berlinguer a capo del Pd”. Specie se si considera che buona parte degli italiani ha ormai più dimestichezza con la figlia Bianca, che conduce l’ormai consueto teatrino con Mauro Corona, una trasmissione che, secondo Aldo Grasso, “è nata sul modello di ‘Casa Vianello’ e di ‘La Bella e la Bestia’: pura finzione, tra sitcom e favola”.
Alessandro Maran
Può piacere oppure no ma tra le eredità del grande Berlinguer ce n’è una di cui gli eredi di quella stagione spesso si rifiutano di parlare: il moralismo come surrogato del riformismo.
Al direttore - All’ottima prof. Fornero sul Foglio: ma perché definire il rispetto dell’età pensionabile un “sacrificio” dei lavoratori?
Umberto Minopoli
Al direttore - Leggo sul Foglio un pezzo dal titolo “La propaganda del governo” a firma di Marco Cecchini, che si occupa della mancata nomina del presidente della Treccani e della “prorogatio” dell’attuale presidente Franco Gallo. Non entriamo nel merito della questione perché non c’interessa. Marco Cecchini fa però delle affermazioni che Confintesa ritiene lesive della propria dignità relativamente al fatto che il convegno organizzato da Confintesa e Ebinforma (e non dalla Treccani) sia funzionale e organico alle attività del governo e “del tutto in linea con il nuovo clima politico”, scrivendo poi dei relatori presenta “Francesco Prudenzano presidente di Confintesa, un sindacato erede della tradizione del sindacalismo missino”. A tal fine si precisa quanto segue. Primo: Confintesa nasce nel 2001 e diviene pienamente operativa nel 2016 e anche per questi motivi non si considera erede di nulla e di nessuno. Secondo: Francesco Prudenzano è il segretario generale e non il presidente che per statuto ha altre competenze. Terzo: considerato che a questo convegno è prevista una notevole presenza di pubblico e che l’argomento è strettamente di attualità, abbiamo deciso di chiedere in affitto la prestigiosa Sala Igea della Treccani che sarà pagata con regolare fattura da Ebinforma e Confintesa. Quarto: Confintesa nel suo statuto stigmatizza la sua natura sindacale e apartitica pertanto rifiuta l’accostamento con formazioni politiche più o meno governative. In ultimo facciamo presente all’estensore del pezzo/lettera che se ritiene “eccentrico” il titolo di un convegno che affronterà le tematiche delle nuove schiavitù mascherate da lavoro cui sono sottoposti i giovani e non solo (vedi rider o operai che vengono controllati e anche licenziati da algoritmi) evidentemente o il dottor Cecchini non si è documentato oppure approfitta di questo argomento per risolvere problemi irrisolti con il presidente della Rai Marcello Foa. In tutte e due i casi tenga fuori Confintesa da certe sue valutazioni politiche in quanto Confintesa ha il solo scopo di difendere la dignità dei lavoratori e tutelare i loro diritti.
Massimo Visconti capo dipartimento delle relazioni esterne di Confintesa
Risponde Massimo Cecchini. Nessun problema con Marcello Foa e con Francesco Provenzano. Ma che la storia di Confintesa incroci quella di Ugl e dunque Cisnal espressioni del sindacalismo unanimemente riconosciuto come di destra è difficile negarlo.
Al direttore - Ma adesso a Lotito, a cena, bisognerà chiedere biglietti della Lazio o dell’Alitalia?
Lelio Alfonso
Al direttore - Si può uscire dalla dannazione della ricerca del consenso? In democrazia non si può. I consensi sono nelle masse. Il loro insieme sono il concentrato collettivo degli egoismi individuali. Ne deriva un eccesso di demagogia e l’invenzione fasulla della politica “moral-sociale” L’economia si ribella. La politica rabbonisce il popolo facendo debito pubblico. S’innesta un circuito maledetto, senza sbocchi razionali che divora se stesso. Le masse s’ubriacano di “onestà”. Sentendosi legittimate a non praticarla in proprio. Se tenti di costringervele, si rifiutano. Prima o poi imploderà. Brutto momento, quello del linque cara somnia.
Moreno Lupi