Antiparlamentarismo e silenzi dei costituzionalisti. Di Maio decotto

Al direttore - Quindi era missile terra-aria fritta?

Giuseppe De Filippi

 


 

Al direttore - “Se Atlantia la mettiamo dentro Alitalia si trascina a picco anche Alitalia. Farà precipitare sostanzialmente gli aerei”. La frase tra virgolette è uscita fuori dalla bocca di Luigi Di Maio due settimane fa a “Porta a Porta”. Atlantia è ora parte del team che tenta di salvare Alitalia. Quand’è che avremo a che fare con un team che ci salverà da Di Maio?

Franco Mascherini

Come spesso capita, a essere decotto era Di Maio.

 


 

Al direttore - Caro Cerasa, le chiedo un po’ di spazio per poter rivolgere un appello al chiar.mo professore Gustavo Zagrebelsky. Caro professore, come saprà in questi giorni sta giungendo a conclusione l’iter per l’approvazione delle riforme costituzionali che questo governo ha deciso di realizzare. Con l’occasione le scrivo per chiederle cosa ne pensa dei testi in esame che, visti i numeri della maggioranza, giungeranno sicuramente ad approvazione almeno con la maggioranza assoluta. Cosa ne pensa, quindi, della riduzione drastica del numero dei parlamentari senza alcun intervento organico sulle funzioni dei due rami del Parlamento. Cosa ne pensa della nuova proposta popolare “rinforzata” con la quale una esigua quantità di cittadini potrà richiedere al corpo elettorale l’approvazione di leggi senza particolari vincoli per materia. L’iniziativa rinforzata potrà vertere difatti anche su fattispecie penali, sulla disciplina fiscale, su ambiti che investano i diritti delle minoranze, difesa e sicurezza, sulla legge elettorale, relegando il ruolo del Parlamento a una funzione del tutto ancillare. Infatti, anche qualora il Parlamento decidesse di approvare un testo alternativo rispetto a quello oggetto dell’iniziativa, il successivo referendum approvativo verterebbe in ogni caso sul testo popolare. Tralascio per dovere di sintesi le altre problematiche come la mancanza di un numero massimo di proposte popolari presentabili, la peculiare forza passiva di cui tali leggi beneficerebbero, la sovrapposizione con la disciplina del referendum abrogativo, l’annullamento in tali casi del potere di rinvio del presidente della Repubblica, etc.

Il suo punto di vista insomma rispetto alle riforme che questo governo sta portando avanti e, possibilmente, se volesse anticiparci da quale parte deciderà di stare questa volta “per testimonianza, e non per vincere”, citando un suo recente intervento durante il programma “Quante Storie” condotto da Corrado Augias. Sul punto, non le nascondo come rimasi anche io “esterrefatto”, così come lei durante la sera della vittoria del No, da quella sua intervista dove si espresse con toni molto meno enfatici rispetto a quelli che avevano caratterizzato la sua campagna per il referendum costituzionale del 4 dicembre 2016. Ricordo, perché ho vissuto anche io in prima persona quella esperienza come coordinatore del comitato Giovani Giuristi per il Sì, come all’epoca la sua critica fu, diversamente, piuttosto aspra, definendo il testo in discussione come “una qualche forma di regime autoritario”. Vorrei quindi chiederle se, per caso, avesse cambiato idea su quell’impianto normativo, forse anche alla luce delle conseguenze che quel risultato referendario ha prodotto. Spero che, da maestro quale lei è per noi giovani studiosi di diritto costituzionale, vorrà accettare un confronto sulle riforme costituzionali oggi in approvazione che, presumo sin d’ora in mancanza di una sua reazione, non rappresentino un particolare pericolo per il nostro assetto costituzionale e, in particolar modo, per la democrazia rappresentativa. Perché, se così non fosse, mi verrebbe da porgerle la medesima domanda che le è stata posta in trasmissione. La domanda era “perché così tanto allora, e ora così poco?”. Nell’attesa di una sua cortese risposta, voglia gradire i miei più cordiali saluti.

Davide Antonio, Ambroselliassegnista di ricerca in diritto costituzionale, Università degli Studi di Cassino e del Lazio Meridionale

 

La sua lettera è perfetta. Aggiungerei solo un passaggio. Un conto è rivedere alcune coordinate della democrazia rappresentativa per rendere più efficiente l’attività del governo, come era stato il referendum costituzionale del 2016. Un altro, invece, è indebolire la democrazia rappresentativa in nome dell’antiparlamentarismo, cosa che sta invece facendo questo governo. Il problema però non è solo il Chiarissimo, Altissimo, Prestigiosissimo professore Gustavo Zagrebelsky. Il problema è caratterizzato anche da tutti coloro che nel 2016 si sono mobilitati per evitare una svolta autoritaria (!) e che oggi invece infilano la testa sotto la sabbia di fronte alla deriva antiparlamentarista che hanno contribuito a generare votando No al referendum del 2016. Il lupo è arrivato, ma non sappiamo che metterci.

 


 

Al direttore - Si è detto per mesi che l’unico modo per arginare i populisti d’oriente e occidente sarebbe stato quello di rafforzare l’Europa innanzitutto come ideale e poi come struttura politica, aprendo le porte delle burocrazie di Bruxelles ai tanti popoli che questa Unione la vivono. Coinvolgimento, sussidiarietà, rapporto il più possibile diretto. Più Parlamento e meno Commissione, più dibattiti nell’emiciclo di Strasburgo e meno cene tra i capi di stato e di governo. Poi però, quando bisogna arrivare al momento decisivo, ecco che le vecchie liturgie tornano come se nulla fosse accaduto. Il Parlamento messo in disparte e le nomine decise tra un buon bicchiere di vino rosso e un filetto al sangue. Come sempre accaduto. E se i primi a lagnarsi di tale metodo sono gli europarlamentari (non parlo degli amici di Farage, ma di quelli che nell’Europa ci credono in modo convinto), figuriamoci cosa può pensare il cittadino comune che fatica in maniera insana a capire come funziona questo mostro burocratico che è divenuto l’Unione. Servirebbe un buon bagno di realismo: solo questo salverà questa pazza idea che ci ha dato la pace per settant’anni.

Carmelo Balengo

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