Luigi Di Maio (foto LaPresse)

L'anti parlamentarismo vigliacco e la fenomenologia del cretinetto

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ho scritto governo sulla sabbia.

Giuseppe De Filippi

 

Al direttore - Una destra non truce? L’iniziativa è lodevole: anch’io sono convinto che in Italia sia necessaria una destra diversa. Le chiedo, però, se dopo anni di leaderismo nocivo e impoverimento culturale del dibattito politico esista ancora un elettorato disposto a riconoscersi in una “destra non truce”. Ma poi: quale fisionomia dovrebbe avere questo nuovo progetto politico? Liberale, popolare o riformista? O siamo di fronte all’invocazione dell’ennesimo patto trasversale contro il governo (illiberale) di turno? Per carità, sarebbe già qualcosa. A patto di non dimenticare che qualche anno fa ci provò coraggiosamente – ma con idee altrettanto confuse – Stefano Parisi e l’esito fu tutt’altro che entusiasmante.

Paolo Di Fresco

La domanda ulteriore che andrebbe fatta oggi forse è questa: ma una destra non truce, una destra alternativa a Salvini, non avrebbe una grande chance presentandosi alle elezioni oggi contro Salvini e non insieme? E l’occasione se non la creerà la destra non truce probabilmente la creerà il Truce andando a votare da solo.

 

Al direttore - Il cretino anti parlamentare (ce ne sono tanti ma nessuno eguaglia in fantasia il “capo politico”) ha sentenziato da par suo: “Se riapriamo le Camere votiamo la riforma epocale che manda a casa 345 vecchi politicanti…”. E’ raro sentir dire che la diminuzione del numero dei parlamentari che allontana l’Italia dal criterio rappresentativo democratico oggi in vigore, per esempio, in Gran Bretagna, Francia e Germania, venga definita “riforma epocale”. E’ raro leggere che i legittimi rappresentanti votati da milioni di italiani d’ogni tendenza siano definiti dal novello costituente “vecchi politicanti”. Ma la cretineria del “capo” è eguagliata solo dalla sua consolidata ignoranza. Più che nell’estremo tentativo di prolungare l’effetto del biglietto vincente della lotteria che lo ha portato a Montecitorio, la ragione dell’arroganza in Di Maio va ricercata nell’anti parlamentarismo congenito del Movimento 5 stelle che ha cercato di colmare il vuoto politico dei suoi esponenti con una disordinata spinta antistituzionale condita dalla “democrazia diretta”, dal “contratto di governo”, dalla persecuzione verso ex deputati e senatori, dall’equiparazione dei seggi parlamentari con le “poltrone” del sottogoverno, dalla subordinazione a pagamento degli eletti agli ordini di una società commerciale, e via elencando. Chissà se al prossimo giro tanti cretini sopravvivranno a se stessi, magari rianimati dalla illusoria convinzione di qualche “vecchio politicante” che da quelle parti vi sia il riformismo di sinistra buono per la nostra Repubblica. Un saluto.

Massimo Teodori

I cretini disposti a giocare con i campioni dell’anti parlamentarismo, purtroppo per l’Italia, potrebbero essere, alla Camera e al Senato, più di quanti si possa credere.

 

Al direttore - In che mani siamo, ben lo sappiamo, però, visti i tempi che corrono e a futura memoria, vale la pena di ricordarlo ai boccaloni gaudenti. Quale esempio concreto della politica economica a 5 stelle parlerei del lodato accordo che ha “salvato” la Pernigotti. Per comprensione di tutti faccio un passo indietro e ricordo che la proprietà dello storico marchio del made in Italy, è turca; proprietà che alcuni mesi fa, di fatto, aprì la crisi aziendale manifestando pubblicamente il proprio interesse solo per il marchio e non per la produzione. Tuoni, fulmini e saette del ministro Di Maio. I marchi italiani vanno tutelati, mai e poi mai perderemo un posto di lavoro, fu il grido di battaglia. Come è finita? Con lo spezzatino: il marchio Pernigotti (immaginate il valore di un marchio del made in Italy alimentare nato nel 1860) rimasto in mano turca e separato dalla produzione, a sua volta rilevata da due distinte società. Questo in presenza di pubbliche manifestazioni d’interesse di aziende italiane del settore che garantivano sia il marchio che l’unitarietà dell’azienda. Da notare che oggi sulla stampa già si mettono le mani avanti, chiarendo che senza intervento pubblico (!) ci sono rischi per il futuro (Secolo XIX del 9 agosto). Insomma, un accordo storico tipicamente pentastellare, cioè “in favore di telecamera”. Occhio boccaloni, magari fra un po’ si vota.

Valerio Gironi

 

Al direttore - Se avesse pieni poteri, presidente Andreotti, cosa farebbe? Sicuramente delle sciocchezze.

Pierluigi Castagnetti

 

Al direttore - Sul vostro quotidiano del 7 agosto, a firma di Riccardo Dal Ferro, è apparso un articolo sulla campagna Odiare Ti Costa. Prendiamo questo spazio, ringraziando il Foglio, perché sono tante, troppe le inesattezze che ci tocca rettificare. Odiare Ti Costa nasce da un video che ha attratto da subito l’attenzione, in maniera a dir poco inaspettata, di milioni di cittadini. La ragione di questa grande risposta deriva probabilmente dal fatto che abbiamo intercettato un bisogno diffuso di cambiare l’atmosfera che si respira in rete.

Ciò che scriviamo, diciamo, condividiamo sul web ha gli stessi effetti di ciò che scriviamo, diciamo, condividiamo nel mondo reale, ma la percezione è che si possa essere liberi online di fare qualcosa che offline non si farebbe mai. La percezione è suffragata da dati che ci indicano come sull’hate speech in rete, cioè le espressioni di incitamento all’odio, violenza, molestie, oggi sia in atto una discussione globale che coinvolge anche le massime istituzioni. La principale fonte che codifica l’odio in rete è la “Convenzione internazionale sui diritti civili”, cui hanno aderito centinaia di paesi e che definisce cosa siano i “discorsi d’odio”:

1) Espressioni costituenti reato penale. 2) Espressioni non costituenti reato penale ma illecito civile. 3) Espressioni che non sono illecite ma sollevano problemi in termini di tolleranza, civiltà e rispetto per gli altri. Perciò quando Dal Ferro dice che “in democrazia si sanzionano le azioni, non le parole”, non solo afferma una cosa errata, infondata, priva di ogni rudimento in tema di reati d’opinione (vigenti nel nostro ordinamento dal Codice Rocco e poi estesi con la legge Reale del 1975 e ancora rafforzati con la legge Mancino del 1993). Soprattutto, l’autore sta sommergendo un dibattito che oggi coinvolge centinaia di milioni di persone nel mondo, autorità politiche, sistemi giudiziari, autorità internazionali e grandi decisori del web. Riducendo la questione delicata e complessa che stiamo affrontando a “processo alle emozioni”. Se in queste settimane abbiamo ricevuto migliaia di storie di persone distrutte dai social a causa di espressioni d’odio che hanno leso la loro dignità, la loro immagine, la loro reputazione, evidentemente per quelle persone il preteso diritto all’odio di un altro ha costituito la lesione di una propria libertà: quella di ricevere una critica senza essere dileggiati, diffamati, calunniati, minacciati.

Odiare Ti Costa ha esattamente questo scopo: partendo dalla legislazione italiana sostiene, orienta e aiuta le vittime d’odio a esercitare dei diritti che già gli sono, in astratto, garantiti. Il nostro scopo è anche quello di aumentare la percezione collettiva di ciò che accade sul web attraverso attività di divulgazione su educazione digitale e cittadinanza digitale. Provare odio, rancore o ogni altro tipo di emozione negativa non è illegittimo, anzi, siamo liberi di provarle, ma non di esternarle mediante condotte e parole che costituiscono reato. L’odio non va demonizzato, ma riconosciuto, così come va riconosciuto il prezzo che si paga dandogli spazio. Odiare Ti Costa è perciò un’iniziativa di orientamento giuridico ma prima di tutto culturale. Non cerchiamo di censurare libertà di espressione o emozioni, ma di spingere a riflettere prima di premere “invio”.

Maura Gancitano, Cathy La Torre

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