W il maggioritario francese. W il proporzionale contro il maggioritario farlocco
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Elezioni subito! (Per il seggio che lascia Gentiloni).
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Non trovo convincente l’indicazione di Paolo Gentiloni a commissario europeo. Non metto in discussione i titoli conquistati sul campo negli ultimi anni da Paolo. Ma invito a riflettere. L’Italia è scossa da una lotta politica spietata. Incombono rischi di nuove lacerazioni. Occorrono gesti che dimostrino agli italiani che il nuovo governo non intende strafare, accaparrarsi tutte le posizioni di potere magari per risolvere dispute e ambizioni interne ai partiti. Nella scelta del candidato commissario occorreva tenere anche conto che le elezioni per il rinnovo del Parlamento di Strasburgo erano state indiscutibilmente vinte dalla Lega. Non a caso più volte lo stesso Conte aveva sostenuto che alla Lega sarebbe toccato indicare un nome per Bruxelles. Acqua passata. Le idiozie e la condotta dissennata di Salvini hanno reso impossibile muovere in questa direzione. C’era un nuovo governo cui toccava la scelta. D’accordo. Andava fatta tuttavia considerando la complessità della situazione politica italiana. La scelta più opportuna sarebbe stata indicare una personalità che desse ampie garanzie di impegno nel rilancio della integrazione europea e mostrasse forte competenza e professionalità. Non un capo politico. Nomi non mancavano: Veronica De Romanis, Lucrezia Reichlin, Dario Scannapieco. Personalità di indiscusso valore con un forte profilo europeista e sicura competenza. Avrebbero saputo difendere gli interessi dell’Italia. Una scelta del genere avrebbe contribuito a migliorare il clima politico interno e sarebbe stata apprezzata a Bruxelles. Si è scelto invece il presidente del Pd. Una operazione politica miope, chiusa nei calcoli di partito. Piccole storie, di questi tempi.
Umberto Ranieri
Persona giusta al posto giusto. Un abbraccio.
Al direttore - Vengono ripetutamente pubblicati da taluni organi di stampa, da ultimo sul Foglio a firma di Giuseppe Sottile, articoli riportanti notizie infondate in ordine al censimento del patrimonio immobiliare regionale che, a partire dal 2006, è stato commissionato dalla regione siciliana alla società partecipata Spi. Le notizie ivi riportate ignorano gli atti e le attività poste in essere dall’amministrazione regionale, dapprima dal Dipartimento Bilancio e, dal 2016, dal Dipartimento delle finanze e del credito dell’assessorato all’Economia. In particolare, dal 2018, sono state avviate e portate a compimento le complesse procedure per l’acquisizione della password di sistema, detenuta dalla Spi, in liquidazione dal 2017. Quanto sopra per consentire l’implementazione e l’aggiornamento della banca dati già in possesso dell’amministrazione, al fine, anche, della ricognizione straordinaria prevista dal D.L.vo 118/2011. L’Amministrazione regionale, infatti, detenendo la password di “utente”, è sempre stata nelle condizioni di accedere alla visualizzazione ed estrapolazione dei dati rilevati e informatizzati dalla Spi, che ne curava la gestione. Circostanze tutte ignorate dall’autore del predetto articolo. I dati contenuti nella Banca dati realizzata dalla Spi (relativi a circa 3.000 aggregati tipologici da cui derivano le schede degli immobili patrimoniali) e quelli aggiornati e implementati scaturenti dall’attività di ricognizione straordinaria, che sarà effettuata dagli uffici regionali del genio civile competenti sul territorio e con la collaborazione dell’Agenzia del demanio (protocollo d’intesa sottoscritto da Agenzia del demanio e dal dipartimento delle Finanze e del Credito nel novembre 2018), costituiranno la rete informativa, comprendente tutti i dati aggiornati degli immobili di proprietà della regione siciliana. Infine, corre l’obbligo precisare che gli importi riportati con apparente precisione, non trovano rispondenza nei corrispettivi, a suo tempo, convenuti e fissati nei relativi contratti di servizio tra la regione e la società partecipata Spi, e corrisposti in ragione del censimento tra il 2008 e il 2015. L’amministrazione regionale delle finanze non può che manifestare profondo disappunto per l’approssimazione con la quale la materia in questione viene, reiteratamente, affrontata dagli articoli di che trattasi, ingenerando presso l’opinione pubblica convincimenti denigratori nei confronti della Pubblica amministrazione che, quotidianamente, è chiamata ad affrontare e risolvere complesse problematiche risalenti negli anni. Pertanto, l’amministrazione non mancherà di avviare le opportune e doverose iniziative nelle competenti sedi a tutela degli interessi e dell’immagine della stessa.
Gaetano Armao, vicepresidente e assessore all’Economia della regione siciliana
Risponde Giuseppe Sottile. In questo scandalo ci sono poche ma sostanziali certezze. Un censimento che la regione poteva fare con i propri mezzi è stato affidato a una società controllata da un avventuriero: Ezio Bigotti, da Pinerolo, ora agli arresti domiciliari per corruzione in atti giudiziari. Che il censimento non offra una mappa completa dei beni immobili della regione, nonostante i novanta milioni versati e poi finiti in gran parte nel paradiso fiscale del Lussemburgo, si è saputo il mese scorso quando la Corte dei conti ha chiesto i dati per quantificare in sede di parifica del bilancio l’ammontare del patrimonio regionale. Che la regione non avesse la password per accedere ai pochi dati del presunto censimento lo ha dichiarato in assemblea regionale lo stesso assessore al Bilancio (ed ex consulente di Bigotti). Che una settimana dopo, incalzato e sbeffeggiato in Aula dai grillini, ha ammesso però di averla recuperata in extremis.
Al direttore - Se i democratici inseguissero la demagogia antiparlamentare dei Cinque stelle barattando il taglio di senatori e deputati con un sistema elettorale proporzionale, commetterebbero un duplice errore che la democrazia italiana pagherebbe a lungo, e il Partito democratico si autocondannerebbe alla definitiva marginalità. Tagliare le “poltrone”, come vanno ripetendo il “capo” 5s e i suoi seguaci per risparmiare 50 milioni l’anno, non significa altro che accreditare l’equivalenza del Parlamento a un poltronificio secondo le idee che la canea anti istituzionale va ripetendo senza che le persone dabbene d’ogni colore reagiscano come dovrebbero. Tornare a un sistema proporzionale, comunque cucinato, solo perché deve essere impedito a Salvini e compagni sovranisti di conquistare un giorno o l’altro la maggioranza, porterebbe inevitabilmente alla perenne debolezza degli esecutivi che è proprio ciò di cui l’occidente, a ragione, ci accusa. Uno dei nostri maggiori guai è che fin qui l’Italia della “prima”, “seconda” e “semiterza” Repubblica non è stata capace di darsi una riforma matrice di un esecutivo forte e stabile a fronte di un Parlamento altrettanto forte. La proporzionale è la mina perenne sotto la stabilità del governo: fino al 1992 era la strada obbligata perché a causa del Pci non era possibile un’alternanza secondo i canoni liberali: chi vince anche con un solo voto governa, e chi perde fa l’opposizione. Come ognuno può facilmente osservare, il trasformismo è oggi al cuore della politica italiana soprattutto nel momento in cui i partiti con un’anima sono estinti. Vogliono i democratici diventare i principi del trasformismo per accodarsi ai conti dell’antidemocrazia digitale? Un saluto.
Massimo Teodori
Ora però non esageriamo. Il maggioritario, quello vero, quello a doppio turno, quello sul modello francese, è quanto di meglio un paese democratico possa avere, perché costringe gli elettori a scegliere da che parte stare e perché permette agli elettori di costruire alleanze tra culture diverse alle urne prima ancora che in Parlamento. Oggi però occorre essere pragmatici e mettere in fila un po’ di fatti. Il 4 dicembre del 2016 votando contro il referendum costituzionale si è votato anche contro il sistema elettorale collegato, a doppio turno, e si è votato contro un modello di paese impostato sul maggioritario. Per parlare di maggioritario bisognerebbe ripartire da lì e non inventarsi nuove alchimie senza senso per spacciare un compromesso strategico, l’alleanza tra Pd e M5s, in un possibile compromesso storico. Se deve essere maggioritario, che sia maggioritario vero. Se non deve essere maggioritario vero, meglio il pragmatismo e meglio dare al Parlamento, con un proporzionale sul modello tedesco, il potere di decidere chi deve governare, specie in una fase storica in cui vi è un leader antisistema capace di usare i suoi voti per far uscire l’Italia dall’euro e dall’Europa.