Non la manovra dei sogni, l'unica possibile. Sul taglio dei parlamentari
Al direttore - Il Suo editoriale sulla vera o presunta centralità che a poco a poco sarebbe stata acquisita da Luigi Di Maio è condivisibile a patto che si parta, trasferendola a questo caso, da un’affermazione, che era propria di Donato Menichella, un grande governatore della Banca d’Italia e un vero statista, il quale nei casi di limitazioni e ristrettezze diceva “queste sono le carte e con queste bisogna giocare”. In sostanza, è una centralità che non appare fondata su di una solida linea politica di respiro; è la centralità di una perdurante condizione di necessità, nella quale i “pesi” che ponderano i diversi protagonisti si abbassano e rischiano una “aurea mediocritas”, non negativa come vuole l’espressione oraziana, ma pur sempre a mezza strada. Ciò che è accaduto nell’imminenza del varo del documento programmatico di bilancio, con una gara di ciascun partner per distinguersi dagli altri e per piantare la propria bandierina, come mai è accaduto in un passato non certo vergine di ostruzionismi e protagonismi e conflittualità, dà la misura della qualità delle “carte” e dell’impegno di gioco.
Angelo De Mattia
Un anno fa si discuteva se uscire o no dall’euro. Un anno dopo si discute se rimodulare o no l’Iva. Mi sembra un bel progresso. Per il resto, la manovra del governo, in fondo, riflette la natura del governo: non la manovra dei sogni ma probabilmente l’unica oggi possibile.
Al direttore - Cosa (mal)fatta capo ha. Il “taglio” delle “poltrone” dei parlamentari non avrà nessun effetto benefico sul funzionamento del Parlamento e sulla qualità della democrazia. Tranne che con la riduzione delle spese e con una maggiore rapidità del procedimento legislativo, tutta da verificare, i promotori del Cinque stelle non hanno saputo giustificarlo. Dirò, invece, che quel taglio è parte integrante, e pericolosa, del loro antiparlamentarismo che è destinato a erodere la già non lussureggiante democrazia parlamentare italiana. In maniera del tutto curiosa e ridicola, appena approvata la riforma costituzionale se ne stanno già cercando i correttivi, ammissione esplicita che la riforma è avventurosa, non in grado di stare in piedi da sola. Rispetto alla prossima legge elettorale, mi accontenterei che fosse meno indecente del Porcellum e della legge Rosato nonché dell’abortito Italicum: potere degli elettori e rappresentanza politica. Nessuna legge proporzionale che non dia all’elettore la possibilità di “votare” il suo candidato/a preferito/a, per la precisione, che non abbia il voto di preferenza, è accettabile. Naturalmente, le circoscrizioni dovranno avere dimensioni ridotte, eleggere un numero di parlamentari non superiore a dieci, se vogliamo che gli elettori sappiano chi sono. Un numero ridotto di parlamentari non richiede affatto una legge proporzionale. Può benissimo essere eletto da un sistema maggioritario (senza il famigerato “diritto di tribuna”), meglio se il doppio turno francese in collegi uninominali. Suggerirei che la clausola di passaggio dal primo al secondo turno non sia definita con una percentuale, ma consentendo l’accesso ai primi quattro candidati. Questo garantirebbe a un’alta percentuale di elettori di vedere la candidatura preferita al secondo turno, di valutarne le chance di vittoria, di scegliere anche sulla base delle indicazioni che i candidati/e daranno di eventuali coalizioni di governo. Infine, sarebbe finalmente il caso che la prossima legge elettorale preveda per tutti i candidati/e il requisito di residenza ponendo fine al fenomeno delle paracadutate/i che, ovviamente, costituisce una ferita profonda alla rappresentanza politica.
Gianfranco Pasquino professore emerito di Scienza politica
Mi chiedo cosa avrebbero detto in questi giorni molti commentatori, compreso lei caro prof, se il giorno del taglio del numero dei parlamentari fosse passata la proposta di Vittorio Sgarbi, che voleva far votare la riforma a scrutinio segreto, e se sulla base di quella proposta i parlamentari avessero avuto la possibilità di bocciare il taglio. Sospetto che molti di coloro che oggi accusano i parlamentari di essere stati populisti, nell’aver avallato il taglio, avrebbero detto lo stesso se il Parlamento si fosse rifiutato di tagliare il numero dei parlamentari.