Evasione: perché per ottenere di più bisogna minacciare di meno
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Amarsi un Pos.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - L’evasione fiscale è una presenza costante nel dibattito pubblico italiano, oltre che un tema su cui si fanno da sempre grandi promesse e si ottengono risultati quasi nulli. Questo anche perché c’è molta confusione sul tema. Per esempio, non è serio che la politica assegni alla lotta all’evasione il ruolo di coprire le spese in deficit. Il recupero da evasione fiscale è sempre incerto e serve per inventarsi soldi dove non ci sono. E’ una promessa scritta sull’acqua. Non è automatico che la repressione fiscale comporti automaticamente una riduzione della pressione fiscale. Perché ciò accada è fondamentale che ogni euro ricavato dal contrasto all’evasione venga destinato alla riduzione delle aliquote. Spesso si utilizzano quei soldi per coprire altre spese, ma allora il risultato è identico a quando si aumenta la pressione fiscale. E siamo punto a capo. Si dice spesso che l’evasione è un problema culturale, e in parte è vero. Ma noi non siamo geneticamente più cattivi che in altri paesi. In tutto il mondo l’evasione è collegata alla dimensione delle imprese. Per le grandi imprese è più difficile evadere perché i controlli sono più semplici, mentre diventano impervi con i piccoli operatori. Le nostre imprese sono mediamente troppo piccole: se le metteremo in condizione di crescere nella misura dei paesi più avanzati anche la nostra evasione tenderà a normalizzarsi. Piccolo è bello ma grande lo è molto di più. E’ “l’occasione a fare l’uomo evasore”. Oggi gli imponibili fiscali sono determinati in massima parte grazie agli uffici contabili delle organizzazioni pubbliche e private. Questo strumento, però, è inutilizzabile là dove mancano questi uffici, come nel commercio o nel piccolo artigianato, o dove è facilmente scavalcabile dalla proprietà familiare delle aziende. In questi casi bisogna passare dal recupero della tradizionale stima dell’imponibile da parte degli uffici tributari. Noi siamo un paese lassista che poi oscilla tra condoni e forche per salvarsi. Dobbiamo tornare ad avere un rapporto sereno con la funzione tributaria, smettere di parlarne solo in termine di “lotta all’evasione”. Occorre riprendere il processo di internazionalizzazione dell’Italia e ragionare su un coordinamento dei criteri di determinazione della ricchezza. Metodi polizieschi, “manette agli evasori”, capri espiatori vendono semplici ricette politiche ma fanno solo danno. La prova ne sono tanti decenni di storia italiana. E’ il momento di minacciare meno e ottenere di più.
Martina Riva
In seguito all’attuazione di un decreto che all’epoca venne soprannominato “manette agli evasori”, Vincenzo Visco, come ricordato qualche giorno fa da Luciano Capone, spiegò bene in un libro cosa succede quando la repressione prende il posto della prevenzione. “Gli uffici giudiziari furono intasati da un gran numero di denunce, con la conseguente impossibilità per i giudici di applicarle. Furono condannati pochi e l’evasione continuò come prima”. In sintesi: per ottenere di più bisogna agire di più e minacciare di meno.
Al direttore - Giovedì 24 ottobre Mario Draghi terrà l’ultima seduta del Consiglio direttivo della Bce e, poi, presiederà la consueta conferenza stampa, nella quale verosimilmente sarà avviato un bilancio degli otto anni draghiani. I meriti straordinari della sua presidenza sono arcinoti. Accanto ad essi vi sono pure alcuni limiti che hanno riguardato il mancato raggiungimento del target di inflazione, un ruolo della Vigilanza unica ancora non adeguato e, da ultimo, una difficile gestione del consenso nello stesso Consiglio. Naturalmente, questi limiti non fanno passare in secondo piano i grandi meriti. Ma Draghi, negli ultimi tempi, ha insistito molto sulla necessità di appropriate politiche fiscali, distinguendo a seconda delle condizioni dei diversi partner dell’Eurozona. Fondamentali sono le certezze, l’affidabilità delle politiche economiche e di finanza pubblica, nonché lo sviluppo delle riforme di struttura. Di fronte a queste esigenze che diventano ineludibili, per un efficace coordinamento con la politica monetaria, come sta reagendo la maggioranza di governo in Italia? E’ possibile che i contrasti che si susseguono a intermittenza nel governo segnalino che questa sarà la vita futura dei governi e che bisogna dimenticare canoni formatisi in passato, quando certamente non era affatto tutto “rose e fiori”, ma certamente non si era arrivati allo spettacolo odierno? In queste condizioni si può continuare a far conto, perché fondamentale, su di un durevole basso livello degli spread? Non vi sono le ragioni per un sussulto di responsabilità da parte di tutti?
Angelo De Mattia