Pieni poderi o pieni poteri: bipolarismi pericolosi. Idee per la manovra

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 6 novembre 2019

Al direttore - Di questo passo, Salvini non avrà più bisogno di fare campagna elettorale.

Michele Magno

Davvero ottima la strategia del governo sulle politiche industriali. In sostanza: mettere l’elettorato di fronte alla scelta tra il regalare i pieni poteri a Salvini e il regalare i pieni poderi all’Ilva. Non proprio una grande idea.

 


 

Al direttore - Concordo con Lei quando afferma, a proposito della vicenda dell’Ilva, che la tassa più pericolosa è quella dell’inaffidabilità e che è sottile la linea di demarcazione tra un paese capace di accogliere investitori e uno capace soltanto di farli scappare. Ciò richiede, al di là delle misure urgenti che occorrerà adottare in un modo o nell’altro per l’Ilva, accanto alle condizioni che Ella prospetta o, meglio, prima di esse, che ci si doti di un disegno organico di politica industriale, coerente con la generale politica economica e con gli ambiti di agibilità in relazione alle normative europee. Una politica che non vulneri il mercato, ma dia certezze, indichi priorità, preveda incentivazioni, equilibri sviluppo industriale e sostenibilità ambientale; non una politica, dunque, dirigistica, che pretenda di supergestire, ma che sia fatta di misure che orientino secondo una visione globale e di lunga prospettiva, con riguardo anche alla necessaria opera, in determinate realtà, di ristrutturazione e riconversione. Politica industriale non significa affatto ritorno a tutto spiano dello stato padrone. Alla fine degli anni Settanta del secolo scorso fu adottata una normativa sulla riconversione industriale; le banche hanno attraversato una fase, a metà degli anni Novanta, di profonda ristrutturazione, seguita, poi, da quella indotta dalla crisi finanziaria globale, prima, ed europea dopo. Perché non sarebbe immaginabile un’opera della specie, quando necessaria, per le imprese non finanziarie?

Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia

Se il problema è come trovare fondi per creare nuovi investimenti la soluzione sarebbe lì sotto il naso: una tassa sul grillismo e avremmo coperture per le manovre dei prossimi dieci anni.

 


 

Al direttore - Dare ai giovani la concreta possibilità di realizzare le proprie aspirazioni e costruire una famiglia. E’ questa la prima, vera, reale emergenza del nostro paese. L’Italia è una nazione che si sta svuotando, un paese che costringe i giovani a guardare altrove affinché le proprie competenze possano trovare terreno fertile in cui crescere. Se questo vuole essere il governo del riequilibrio generazionale delle opportunità, allo stato delle cose è necessario che prenda una semplice ma coraggiosa decisione: destinare una quota considerevole, se non addirittura totale, delle risorse dedicate al taglio del cuneo fiscale per il 2020 alle sole donne under 35. Stiamo parlando di una scelta coraggiosa, considerando la vasta platea di esclusi. Eppure, ci sono due dati di fatto che la giustificano ampiamente: in primis il vergognoso tasso di disoccupazione giovanile italiano e, parallelamente, il differenziale tra occupazione maschile (68 per cento) e quello femminile (49 per cento). Fenomeni complessi, le cui cause sono spesso dibattute, ma: a oggi vi è una quasi totale assenza di politiche di welfare utili alle giovani coppie (l’unico strumento di welfare rimasto si chiama “nonni”). Inoltre, anche se solo a pensarlo si esce dal politically correct, per quanto esista una legge contro la discriminazione di genere, a parità di qualifica, una donna, a un’azienda, costa tendenzialmente di più a causa principalmente di dinamiche conseguenti alla maternità. Una giovane donna, quindi, si trova sempre più spesso costretta da cause esterne a dover scegliere fra cosa sacrificare tra carriera e famiglia. Donne che già da diverse generazioni sono mediamente più formate dei loro coetanei maschi. Persone che possono portare un grande valore al sistema paese. Quello stesso sistema che invece continua a privarsi di loro. In Italia, rispetto a Francia e Germania, ci sono percentualmente meno occupati con ovvie conseguenze su produttività e tenuta dei conti pubblici. Riequilibrare il tasso di occupazione delle giovani donne, oltre che per un senso di giustizia sociale, sarebbe una proposta concreta e immediatamente attuabile per aumentare la produttività di tutto il paese e avvicinarci ai livelli di competitività dei nostri vicini europei. Siamo consapevoli che determinate scelte, quali il disinnesco delle clausole Iva, il mantenimento di quota 100 e del Reddito di cittadinanza, siano state dettate dalle difficoltà di bilancio, nonché dai difficili equilibri politici, causa di quei famigerati “salvo intese”. Dipendesse da noi, quei 40 miliardi (ed oltre) impegnati per tre anni nel Rdc e in quota 100, andrebbero immediatamente utilizzati per abbattere il cuneo fiscale su larga scala, per dare competitività alle aziende e potere d’acquisto alle persone. Dipendesse da noi… ma non è così. Dobbiamo limitarci a guardare a quella piccolissima fetta destinata all’abbattimento del cuneo fiscale, quei 2,7/3 miliardi di euro che chiediamo, alla luce di quanto sin qui descritto, vengano impiegati per un’unica, nobile e produttiva causa: la decontribuzione delle donne lavoratrici under 35.

Eugenio Calearo Ciman, presidente Giovani imprenditori Confindustria Veneto

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