Open e la cultura del sospetto. Il Mes e il negoziato da non riaprire
Al direttore - Scatenargli addosso l’invidia sociale è sempre l’arma migliore per mettere alla gogna una persona. Prendiamo il caso di Liliana Segre. Quei dementi che la minacciano sui social non si limitano a vomitare il veleno dell’antisemitismo; non le perdonano di essere stata nominata senatrice a vita e di percepire, così, il relativo stipendio. Senza voler fare paragoni impropri, in queste ore Matteo Renzi non viene esposto al pubblico ludibrio soltanto per il teorema sui finanziamenti alla Fondazione Open, ma soprattutto per aver acquistato una villetta tra le frasche e le siepi della collina fiorentina. E’ vero che in quella vicenda c’è un giro di soldi. Ma il messaggio che si vuol mandare all’opinione pubblica è un altro: ecco dove può permettersi di vivere un “politico”.
Giuliano Cazzola
A voler essere paradossali c’è quasi da augurarsi che la Fondazione Open sia come suggeriscono i pm di Firenze un covo di criminali. In caso contrario sarebbe interessante sapere se chi ha azionato gli ingranaggi del linciaggio mediatico pagherà pegno oppure si limiterà solo a inserire lo spettacolo generato dall’inchiesta all’interno del proprio curriculum, da mostrare alla prossima occasione utile. Ma siamo certi che l’intento non è questo, no?
Al direttore - So bene che a proposito del Mes esistono posizioni diversificate e rispetto le tesi sostenute al riguardo dal Foglio. Ma, per quanto si voglia ritenere che alcune posizioni di autorevoli esponenti critici dell’accordo intergovernativo siano state strumentalizzate dalla stampa, non sembra tuttavia che la sostanza delle osservazioni sia venuta meno anche perché si continua a citarle, senza replica alcuna da parte degli interessati. Comunque, prescindendo dalla querelle che ha assunto toni incandescenti sui presunti impegni del Conte 1 che non sarebbero stati assolti dal premier, è innegabile che, per i criteri e requisiti previsti, anche se in parte in un allegato all’accordo, per l’emersione di quel che era, nel “salva stati”, vagamente implicito e per il rafforzamento delle “clausole di azione collettiva”, la condizione della ristrutturazione del debito (benché non automatica) nei casi di insostenibilità dello stesso anche con l’apporto dei privati è stata resa più rigorosa. E ciò a prescindere dal fatto che nel negoziato per la costituzione di un nuovo istituto non si potrebbe e non si dovrebbe considerare intangibile ciò che è contenuto in un accordo che riguarda l’ente da cui deriva il nuovo istituto. Ascolteremo lunedì 2 dicembre come Conte affronterà l’argomento in Parlamento. Ma precludersi completamente la strada quanto meno del tentativo di modificare almeno la parte che riguarda il ruolo dei privati, anche se bisognerebbe fare di più, e attestarsi in una difesa dell’intesa “unguibus et rostris” a me sembrerebbe un grave errore.
Angelo De Mattia
Riaprire la trattativa sul Mes dopo aver approvato la riforma del Mes non è solo un errore diplomatico ma è anche un errore strategico. Chi ha avuto l’opportunità di parlare con i dirigenti del Mef sa che alcune modifiche minori potrebbero ancora esserci in qualche allegato del negoziato, ma non nel testo principale, e che queste piccole modifiche potrebbero dare al Movimento 5 stelle una bandierina da mostrare. Ma anche queste modifiche non sono facili da ottenere e non è escluso che riaprendo il dossier i paesi del nord chiedano all’Italia qualcosa in cambio che potrebbe non piacerci. Ieri Roberto Speranza ha auspicato non sappiamo con quanta responsabilità di rivedere l’accordo. Ma rivedere l’accordo, oltre che esporci alla possibilità di avere una riforma del Mes peggiore rispetto a quella attuale, ci esporrebbe anche a un altro problema: rendere l’Italia un paese sempre meno affidabile e sempre più simile a una barzelletta.