A pagare le conseguenze del dibattito sulla CO2 saranno i consumi europei
Di Maio e Di Battista poi hanno bloccato il Mes o chiuso sede Strasburgo?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - I protagonisti della cagnara sul Mes non si rendono conto che, con la loro stupida e irresponsabile propaganda, rischiano che la ristrutturazione del debito ce la facciano trovare i mercati: a loro modo e a nostra insaputa?
Giuliano Cazzola
Al direttore - Alitalia, Ilva, Mes, plastic tax, quota 100, reddito di cittadinanza, prescrizione, collocazione internazionale, immigrazione, decreti sicurezza, ecc. ecc. Un cittadino italiano che osserva l’evolversi della situazione e che magari deve formarsi un’opinione e decidere chi e per cosa votare si chiede: ma c’è una cosa davvero importante che tiene insieme le forze di questo governo, compreso il Pd, che non sia il non voler andare a votare contro il centrodestra? Ma davvero pensiamo che l’essere contro qualcuno, in questo caso Salvini, basti? Un governo che è nato annunciando una grande fase di rilancio del paese e che invece fino ad adesso si è limitato a vivacchiare tra continui litigi e veti incrociati. Dalla periferia, dal territorio, sorge spontaneo chiedersi se chi ha tanto voluto questa situazione è davvero così convinto di aver fatto imboccare al Pd la strada giusta prospettando addirittura non solo un patto di legislatura ma una “alleanza strategica” con il M5s.
Il M5s è per sua stessa costituzione portatore di una visione di società diversa dalla nostra. Nasce sulla base di assunti e chiavi di lettura della crisi delle democrazie occidentali diverse e prospetta soluzioni antropologicamente e culturalmente diverse. Il Movimento, con una sua coerenza peraltro, lavora per la completa distruzione dei corpi intermedi organizzati come veicolo di gestione del conflitto teorizzando, e praticando attraverso Rousseau, un modello di democrazia diverso dal nostro in cui il leader e la sua ristretta cerchia si rivolgono direttamente ai cittadini. E’ da questo modello che discende tutto il resto: attacchi al sindacato, alle organizzazioni datoriali, ai partiti, ai giornali. Che poi programmaticamente ci possano anche essere punti in comune tra Pd e M5s è ovvio, ci mancherebbe. Ma non è lì il punto. La differenza profonda e insanabile è tra le concezioni di società e di organizzazione della società. Sotto questo profilo il Pd, la sua storia, la sua base militante non ha nulla in comune con il M5s. Ed è dall’assenza di questa analisi culturale o per lo meno dalla superficialità con cui queste problematiche profonde e dirimenti sono state fin qui affrontate nel Pd che derivano i guai. Se non hai un sistema valoriale comune e teorizzi società diverse nell’organizzazione del meccanismo interesse-rappresentanza-decisione è chiaro che prima o poi ti scontri su tutto. Finché il M5s è questa cosa qui, spiace pronosticarlo, la situazione può solo peggiorare. Ma se il movimento cambia non è più il M5s. E questo il bivio cui i grillini, sono arrivati. Questo il tema, a mio modo di vedere, non la convergenza su questo o quel punto del programma. Che peraltro a quanto vediamo dalle cronache quotidiane neanche c’è. La sensazione fortissima è che di questo passo il terreno al trionfo di Salvini invece che impedirlo lo sta aprendo questo governo. Bisogna proprio sbattere contro un muro o ci si può fermare prima dell’autodistruzione?
Stefano Lo Russo, capogruppo Pd Città di Torino
Il governo è debole e ogni giorno offre una ragione per non essere considerato un male non del tutto minore rispetto a quello precedente. Ma quando poi ascolti Salvini parlare di Europa e lo vedi trasformare la battaglia contro il Mes in una battaglia sostanzialmente contro l’Europa e l’euro, ti ricordi che questo governo un senso lo potrebbe avere eccome. Un dettaglio, poi. Salvini è forte, dal punto di vista elettorale, ma la forza di Salvini esiste a prescindere da quello che combina il governo. Dire, come fa qualche suo collega, che Salvini è diventato forte con questo governo è una bufala degna di Salvini. Grazie della lettera.
Al direttore - Con Madrid siamo a 28 conferenze Onu sul clima. Ventotto anni in cui le emissioni di CO2 sono continuate a crescere (e cresceranno anche nel 2019). Eppure l’asticella degli obiettivi si sposta sempre più in alto e con essa la frustrazione del saltatore impotente. Perché? Qualche numero per spiegare.
1. L’unica area del mondo che presenta una riduzione della CO2 è l’Europa che pesa però sul totale delle emissioni per solo il 10 per cento (in discesa per la crescita degli altri paesi). Gli Stati Uniti dopo qualche anno di piccole riduzioni sono tornati a crescere e Trump è uscito dagli accordi di Parigi. Vuole mani libere. Se l’Europa porterà a zero le sue emissioni avrà nel 2050 contribuito per un meno 5-7 per cento. Ricordo che il problema CO2 non è confrontabile con i problemi di inquinamento locale. Non si può ripulire dalla CO2 il proprio cielo. O lo si fa su scala globale o non serve.
2. Il dito è però puntato su Cina e India e più in generale su tutta l’area asiatica, che è la parte del mondo che aumenta di più le sue emissioni annuali. Per non parlare della Russia. La Cina è diventata la prima produttrice di emissioni totali annuali. Sono loro quindi il problema? Non proprio.
3. Ci sono altri due fattori che bisogna considerare. E’ infatti abbastanza logico che paesi con più di 1 miliardo di persone pesino di più, che per quanto riguarda questo specifico capitolo, di paesi molto più piccoli. Quindi dobbiamo guardare alle emissioni pro capite. Potremmo dirlo in modo diverso: a quante emissioni ha diritto un cittadino cinese rispetto a un cittadino americano o europeo? Visto che le emissioni sono più meno direttamente correlate al pil?
4. E allora scopriamo che la Cina è oggi allineata all’Europa in termini di emissioni pro capite, ma largamente al di sotto di quelle americane, mentre per l’India e il resto del continente asiatico la distanza è grande sia nei confronti dell’Europa che, ancor di più, nei confronti degli Stati Uniti.
5. Il secondo fattore riguarda le emissioni accumulate in atmosfera. Chi ha riempito la bolla di CO2 che è costituita dalla somma delle emissioni dei decenni e dei secoli scorsi e a cui si aggiungono quelle di ogni anno? Stati Uniti, Europa e Giappone da soli fanno più del 50 per cento del totale con una popolazione pari al 17 per cento della popolazione mondiale. In altri termini: questi paesi hanno costruito la loro crescita economica anche riempendo da soli più di metà della bolla . E oggi vorrebbero dire agli altri, che sono numericamente più del doppio: “Ragazzi la bolla è già piena e non ce ne è più per nessuno” .
6. Infine. Se si guarda il flusso di merci che dall’Asia va verso Stati Uniti e Unione europea cioè va dalle aree del mondo ad alte emissioni in crescita a quelle oggi in diminuzione (Unione europea) o in crescita modesta (Stati Uniti) scopriamo che abbiamo di fatto trasferito in Asia le produzioni “CO2 intensive” e poi reimportiamo questa CO2 sotto forma di merci. Insomma abbiamo deindustrializzato i nostri paesi, spostato nel cortile degli altri le faccende sporche e ne utilizziamo il risultato.
Mi paiono elementi sufficienti per capire quale enorme problema geopolitico si celi, anzi sia evidente, dietro a tutte le discussioni sulla CO2. Cina e India dichiarano un sacco di buone intenzioni, ma hanno questi numeri chiari davanti agli occhi e non fermeranno certo la loro crescita perché altri hanno riempito il pallone. L’Europa vuole mettere dazi alle frontiere per penalizzare le merci contenenti molta CO2. Dazi ecologici, ma sempre dazi. Non credo che gli altri la prenderanno bene. Senza contare che questo rappresenta di fatto una tassa (regressiva) sui consumi europei.
Chicco Testa