Viva la magnifica tastiera della libertà di Liliana Segre, ieri a Milano

Le lettere al direttore dell'11 dicembre 2019

Al direttore - Biella ciao

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - “C’è una grande musica in questa piazza, il tempio della musica oggi è all’aperto. Siamo qui per parlare di amore e non di odio. Lasciamo l’odio agli anonimi della tastiera”. Se avessi una macchina fotografica, metterei qui le foto magnifiche di Liliana Segre ieri nella mia Milano, scortata da 600 sindaci in tricolore. Ho solo la tastiera per scrivere, così lascio a una grande donna la tastiera di una testimonianza di libertà per tutti noi.

Maurizio Crippa 


 

Al direttore - A proposito del Meccanismo europeo di stabilità (Mes) non consideriamo qui quelle critiche che sono risultate infondate e tutta la parte che riguarda la partecipazione alle scelte dei componenti i due governi (Conte 1 e 2) che si sono succeduti nonché del Parlamento, sulla quale il premier ha risposto puntualmente. Ma è difficile negare che esista la necessità di alcune modifiche, a cominciare dall’inquadramento del Mes nel diritto comunitario, superando la fonte dell’accordo intergovernativo, per passare al pur eccezionale regime della partecipazione dei privati alla ristrutturazione del debito, non automatica e altrettanto eccezionale, nonché alla sovrapposizione e intersecazione delle competenze tra il Mes stesso e la Commissione Ue. E’ così fondata una tale esigenza che il ministro dell’economia, Roberto Gualtieri, ha comunicato con orgoglio le prime, sia pure assai limitate, revisioni conseguite in sede di Eurogruppo sulla disciplina delle “clausole di azione collettiva” e sulla non condizionalità dell’accesso delle banche al Meccanismo quale “backstop” del Fondo di risoluzione. Poi vi è la questione del “pacchetto” (tra l’altro, assicurazione europea dei depositi, bilancio dell’Eurozona, emissione dei “safety asset”) che, per avere una funzione riequilibratrice e, in ogni caso, per depurarlo dalle storture che sono comprese in alcune proposte (si pensi alla ponderazione dei titoli pubblici), richiederebbe la fissazione di princìpi quanto meno in un “addendum” all’accordo sul Mes con pari forza cogente, da concretizzare successivamente in specifiche intese: un campo, questo, in cui non sarà facile conseguire i risultati sperati. Comunque nulla si dovrebbe ritenere ora intoccabile, anche, nella peggiore delle ipotesi che non è condivisa da chi scrive, che ci si muova con un approccio alle modifiche per una pura strategia negoziale. Non vorrei, però, che alcuni più propensi all’immodificabilità del testo risultassero poi, visto l’esito assai limitato ma significativo dell’Eurogruppo, più realisti del re. Con i più cordiali saluti.

Angelo De Mattia


 

Al direttore - Nel mio andar “sempre fuggendo’’ da un talk-show a un altro mi sono imbattuto per ben due volte sul video-promo del prossimo film di Checco Zalone e sulla canzonetta – “Immigrato” – che fa da colonna sonora. Non l’ho trovata divertente ma troppo ambigua, come se volesse elencare (e legittimare) tutti i luoghi comuni che circolano sugli immigrati. E’ pertanto un promo offensivo e caricaturale dei 5 milioni di stranieri residenti di cui 3,8 milioni extracomunitari; nonché dei 2,5 milioni di lavoratori regolari, il 10 per cento degli occupati. Invece, non trovo nulla da ridire sulla copertina incriminata del Corriere dello Sport. I giocatori, inquadrati nella pagina, sono i campioni di due grandi squadre che si affrontavano proprio quel venerdì sera. Mi è stato obiettato che se fossero stati due bianchi, nessuno avrebbe intitolato “white friday”. Il fatto è che, nel linguaggio comune, è entrato, forse a sproposito, il “venerdì nero’’. Siamo sicuri che il titolo “venerdì bianco’’, con sotto la foto di due marcantoni chiari e biondi, non sarebbe stato criticato perché inneggiava alla superiorità della “razza bianca’’?

Giuliano Cazzola

Lascerei perdere il tema del titolo del Corriere dello Sport – un paese che considera razzista un inoffensivo gioco di parole è un paese che ha perso completamente la testa – e resterei invece sul tema del video di Checco Zalone che sembra aver provocato in giro moltissima indignazione. Quel video mi ha fatto ricordare un fenomenale filmato girato nel 2006 da Sacha Baron Cohen, travestito da Borat, che in un saloon americano si è fatto riprendere mentre cantava una canzone così intitolata: “In my country there is a problem”. Testo della canzone: “In my country there is a problem /, And that problem is the jew /. They take everybody money /, They never give it back”. A leggerla in modo letterario, la canzone è chiaramente una canzone di odio nei confronti degli ebrei. Ma contestualizzandola all’interno del personaggio di Borat – Sacha Baron Cohen è tra l’altro nato in una famiglia di ebrei ortodossi – è evidente che quella canzone ha un significato diverso ed è lì a esasperare e quindi a prendere in giro gli stereotipi contro gli ebrei. Vale per Borat, vale per Checco. A forza di urlare al lupo al lupo finirà che quando il lupo arriverà davvero non ci crederà più nessuno.

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