La manovra che manca. A Roma l'emergenza non è l'acqua: è la Raggi
Al direttore - Nel 1893 August Bebel definì “socialismo degli imbecilli” l’antisemitismo presente nella socialdemocrazia tedesca dell’epoca. Chissà se oggi avrebbe definito così anche quello dell’Old Labour di Jeremy Corbyn, il quale non ha mai preso una posizione chiara sia contro la propaganda antiebraica sia contro la Brexit. Ambiguità che hanno contribuito non poco alla disfatta catastrofica di un ritorno al passato che avrebbe dovuto riconciliare la sinistra inglese con le sue antiche tradizioni sindacali e operaie. Il Pd, a questo punto, forse dovrebbe riconsiderare la sua idiosincrasia nei confronti di quella “terza via” che è stata l’unica idea che può vantare qualche significativo successo sulle due sponde dell’Atlantico. Questo riformismo liberale e progressista ha certamente i suoi problemi, a partire da un eccessivo fideismo nelle virtù intrinseche dell’innovazione e del mercato, ma l’alternativa non può essere quella di una alleanza organica con un movimento grottescamente giustizialista. Nelle stesse ore in cui si consumava la storica sconfitta dei laburisti, Matteo Renzi pronunciava in Senato una impeccabile difesa dell’autonomia della politica, dei partiti e del Parlamento dalle ingerenze della magistratura. Un nodo cruciale della “questione democratica” nell’attuale passaggio della vita nazionale. Accolto dal Pd con un silenzio tombale, ha suscitato la reazione stizzita di qualche firma della carta stampata immemore di un famoso pensiero di Gaetano Salvemini: “Noi [giornalisti] non possiamo essere imparziali. Possiamo essere soltanto intellettualmente onesti, cioè renderci conto delle nostre passioni, tenerci in guardia contro di esse e mettere in guardia i nostri lettori contro i pericoli della nostra parzialità. L’imparzialità è un sogno, la probità un dovere” (Prefazione a “Mussolini diplomatico”, 1932). Ovviamente, sarebbe puerile pretendere da chi usa la penna come una clava l’adesione alla deontologia professionale teorizzata dall’eminente storico e antifascista pugliese. Ma la sua furia iconoclasta è inquietante. Basta l’annuncio dell’apertura di un’inchiesta, un rinvio a giudizio, la richiesta di arresto per un esponente della “casta” (ormai, quasi un’entità metafisica), e subito scatta il “Tutti in galera!” urlato da Catenacci. Forse i meno giovani se lo ricordano: era lo straordinario personaggio interpretato da un esilarante Giorgio Bracardi in “Alto gradimento”, la leggendaria trasmissione radiofonica degli anni Settanta nata dall’estro di Renzo Arbore e Gianni Boncompagni. A chi gli obiettava che occorrevano le prove, Catenacci rispondeva sfottente: “Ma chettefrega?”. Una battuta profetica, che oggi rappresenta il comune sentire di una parte non trascurabile dell’opinione pubblica, e non soltanto di quella addomesticata dai manipolatori della verità che popolano il mondo dei social network. Forse anche molte testate dell’informazione nazionale, note e meno note, hanno avuto e hanno tuttora non modeste responsabilità se da noi i princìpi dello stato di diritto spesso sono considerati un optional.
Michele Magno
Perfetto.
Al direttore - Come ha scritto il Foglio, il discorso di Matteo Renzi in Senato è stato un liberatorio vaffa alla teocrazia giudiziaria. In proposito va segnalato che un lepidus libellus del giurista Filippo Sgubba, (“Il diritto penale totale. Punire senza legge, senza verità, senza colpa. Venti tesi’’ edito dal Mulino) ha fornito un importante fondamento scientifico alla mutazione genetica del diritto e del giudizio penale. Il diritto penale è divenuto totale “perché ogni spazio della vita individuale e sociale è penetrato dall’intervento punitivo che vi si insinua’’. Totale “perché anche il tempo della vita individuale e sociale è occupato dall’intervento punitivo che, quando colpisce una persona fisica o giuridica, genera una durata della contaminazione estremamente lunga o addirittura indefinita, prima della risoluzione finale’’. Tanto che le norme sulla sospensione della prescrizione somigliano al sistema punitivo degli antichi Tribunali episcopali, “i quali disponevano del potere di irrogare penitenze che potevano durare fino alla morte del trasgressore’’. E ancora, totale “soprattutto perché è invalsa nella collettività e nell’ambiente politico la convinzione che nel diritto penale si possa trovare il rimedio giuridico a ogni ingiustizia e a ogni male’’. “L’apparato penale – spiega Sgubba – costruito per definire l’area dell’illecito e per legittimare l’applicazione delle sanzioni, diventa il supporto per l’adozione di scelte decisionali di governo economico-sociali’’. La decisione giurisprudenziale – ecco la “distorsione istituzionale’’ – non si configura soltanto come un atto di natura legislativa, quale regola di comportamento, ma anche di governo economico-sociale “imperniato sull’opportunità contingente’’. Si staglia, poi, nel contesto di una giustizia penale sempre più avulsa dalle sue finalità, la fattispecie della responsabilità penale senza colpa (dal binomio innocente/colpevole si è passati al binomio puro/impuro). Così talune categorie sociali sono “pure’’ per definizione e prive di colpa; anzi la loro condizione di illegalità, talvolta, è creatrice di nuovi diritti. Gli “impuri’’, invece, dovranno dimostrare la loro contingente ed episodica purezza (un innocente è solo un colpevole che l’ha scampata); cioè saranno costretti a provare che in quella circostanza, eccezionalmente, non gli si poteva imputare nulla. Per gli impuri “la salvezza penale è ardua’’ perché devono vincere la presunzione di colpevolezza e superare l’inversione dell’onere della prova. E’ casta; e, in quanto tale, è condannata a un costante e immanente sospetto di illecito.
Giuliano Cazzola
Gran libro. Ne abbiamo scritto il 30 settembre. Il tema resta cruciale anche oggi e lo sarà purtroppo per l’Italia ancora a lungo. La vera manovra espansiva che serve all’Italia è combattere con urgenza la cultura del sospetto. La non certezza del diritto corrisponde a una certezza relativa all’inaffidabilità di fondo del nostro paese.
Al direttore - Abito a Roma. La sindaca Virginia Raggi, giovedì sera, ha scelto di bloccare la città impedendo ai nostri figli di andare a scuola, firmando un’ordinanza improvvisa intorno alle 22 del 12 dicembre. Il giorno dopo, bambini a casa, molti genitori non sono potuti andare al lavoro (chi li tiene i bambini se non hai una tata?) e pioggia poco. Siamo sicuri che a Roma l’emergenza sia la pioggia e non il sindaco?
Franco Tarumi
A Roma funziona così: non sapendo come pulire i tombini quando piove un po’ non si perde tempo e si chiudono le scuole. Ma quando una città trasforma la gestione ordinaria delle sue strade in una gestione straordinaria significa che ha un sindaco che costituisce una calamità peggiore delle bombe d’acqua.
Al direttore - Che la neo presidente della Bce, Christine Lagarde, fosse favorevole alla riforma del Fondo salva stati con l’approvazione del Meccanismo europeo di stabilità era cosa abbastanza scontata (sarebbe stato l’uomo che morde il cane l’ipotesi contraria). Il riferimento che ella ha fatto, nella conferenza-stampa di giovedì scorso, alla Grecia e, indirettamente, al ruolo della Troika omette, tuttavia, il piccolo particolare che della triade faceva parte pure il Fondo monetario internazionale di cui la Lagarde era direttore generale. L’Fmi si distingueva nel caso in questione per il suo rigorismo, mentre fino a che si trattava di fare dei bei discorsi le posizioni della Lagarde apparivano ben diverse e, per certi aspetti, apprezzabili. A un certo punto l’allora direttore generale del Fondo mosse critiche pure alla Bce. Quando, poi, si passava alla pratica imperava, però, una miope esasperazione del rigore. Insomma, uno iato evidente tra teoria e prassi. Perché si apra effettivamente l’èra della responsabilità – un titolo di un editorialino del Foglio che potrebbe risultare fuorviante come se la precedente della Bce non sia stata una tale èra – è da auspicare che uno iato del genere non si ripresenti nelle mutate circostanze. Conservare la memoria è, comunque, fondamentale, se non altro per non peccare di precipitazione nei giudizi.
Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
L’èra della responsabilità, ovviamente, non per la Bce, ma per i paesi dell’Eurozona che dovendo molto probabilmente fare i conti con una stagione non troppo così distante nel tempo di tassi non più negativi dovranno mostrare più responsabilità un domani rispetto a quella mostrata finora. E grazie.