Matteo Salvini (foto LaPresse)

Caro Salvini, no: il diritto del mare non si può bere come un mojito

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ad Asti, ieri, un giudice è entrato in Aula e ha pronunciato la sentenza di condanna. Piccolo problema: l'avvocato non aveva ancora preso la parola per difendere l'imputato. L'hanno definita una “gaffe” del giudice. A pensarci bene, dopo l'abolizione della prescrizione, potrebbe diventare un modo per accorciare i tempi della giustizia. A Bonafede piacerà di sicuro: il giudice dovrà solo scegliere se condannare per dolo o per colpa.

Luciano Capone

Storia esemplare di una repubblica fondata sull'accusa e sulle procure.

 

Al direttore - Se è vero quanto afferma, da par suo, l’avv. Giulia Bongiorno a proposito delle fattispecie riguardanti i sequestri della nave Diciotti, prima, e del guardiacoste  Gregoretti, poi, la conclusione è una sola: il premier e i ministri –  autodenunciatisi per aver condiviso il blocco  della Diciotti  – ricostruirono, a tavolino e a posteriori, una decisione collegiale che non c’era mai stata (come viene rinfacciato, ora,  a Matteo Salvini nella vicenda, del luglio scorso, per la quale è stata chiesta l’autorizzazione a procedere per sequestro di persona). Se questi sono stati i fatti, come sostiene l’avv. Bongiorno, per difendere il Capitano, ai tempi della nave Diciotti, i “compagni di merende’’ di allora non esitarono a compiere il reato di falso ideologico. 

Giuliano Cazzola

Spero onestamente che Salvini non venga mai abbattuto per via giudiziaria ma rispetto alla storia della Gregoretti le cose sono molto semplici: un ministro non può tenere in ostaggio i migranti in mare, non può tenere in ostaggio in mare una nave militare, non può considerare il diritto del mare come un diritto da rispettare solo quando fa comodo. Salvini ha il diritto di chiedere l’immunità, per quello che ha fatto, ma la legge è legge e non ci sarebbe nulla di scandaloso un processo a Salvini per il caso Gregoretti.

 

Al direttore - In questa fase finale della consiliatura, spiace notare il tentativo di delegittimazione del lavoro fin qui portato avanti dall’Autorità, soprattutto quando ciò avviene dall’interno. Non è mia intenzione polemizzare, né tantomeno limitare la libertà di espressione di nessuno, ma occorre, prima di qualsiasi tipo di valutazione, mossa talvolta da poca obiettività, analizzare il complesso compito di Agcom nel garantire le tutele disposte dalla legge 28/2000, e ancor prima ricordare quei princìpi di indipendenza e autonomia che ne caratterizzano l’attività e le deliberazioni. Princìpi questi che devono orientare il mandato dei suoi componenti per esercitare obiettivamente la funzione istituzionale. Duole allora constatare come la verifica della par condicio elettorale sia messa in dubbio proprio da chi è investito di questo arduo compito. In un contesto, in cui le patologie emergenti nell’informazione online pongono Agcom dinanzi a complesse sfide, tacciare la tv come artefice di un presunto “doping” del sovranismo appare oltreché infondato, del tutto inopportuno, quando l’accusa è firmata da un Commissario dell’Autorità. Pur non volendo entrare nel merito della questione sollevata nell’articolo del Foglio del 18 dicembre scorso, non posso esimermi dal fare alcune precisazioni. L’Autorità è chiamata a compiere un’analisi bisettimanale nella prima fase di campagna elettorale, e successivamente settimanale, e conseguentemente, al fine di evitare una disparità tra le diverse forze politiche, dispone provvedimenti di richiamo e ordini di riequilibrio. Attività di vigilanza puntualmente svolta anche nel corso dell’ultima campagna elettorale, in cui sono stati adottati vari provvedimenti volti a ridurre le criticità rilevate. Nessuna omissione, quindi! Un’analisi articolata, quella compiuta, in cui gli elementi da prendere in considerazione sono vari. Per accertare il rispetto dei princìpi a tutela del pluralismo, l’Autorità verifica, quale elemento principale, il tempo di parola, riservato direttamente al soggetto politico, valuta anche il tempo di notizia, riservato dal giornalista a citazione del soggetto politico nei programmi informativi, tenendo conto pure dell’agenda politica del periodo oggetto di analisi e del dettaglio degli argomenti trattati nei notiziari, della tipologia di contenuto informativo preso in considerazione (se inserito in programmi di testata o extra tg). Riferirsi esclusivamente al tempo di antenna (somma tra tempo di parola e di notizia) è dunque un parametro non pienamente indicativo. Non sempre le informazioni relative a una determinata forza politica possono apportare un beneficio quando l’oggetto riguarda aspetti negativi di vario tipo. Inoltre, i dati riportati nell’articolo del Foglio si riferiscono ai programmi di testata o agli extra tg? Non è chiaro. Ebbene, possiamo considerare dotate di imparzialità scientifica le dichiarazioni su presunte penalizzazioni o favoritismi per una o l’altra forza politica se decontestualizzate? Screditare il lavoro dell’Autorità è un’operazione che non mi consente di rimanere silente se – come ritengo – priva di fondamento. Sull’inopportunità poi di simili dichiarazioni, al limite del principio di autonomia, devo rilevare come esse esulino dalle valutazioni proprie dell’Autorità, ma afferiscano semmai ad ambiti eventualmente definibili come sociologici. Non mi dilungo quindi oltremodo, mi preme solo portare avanti quell’insegnamento classico secondo cui “non appartenga a un altro chi può appartenere a se stesso” (Cicerone).

Antonio Martusciello, commissario dell’Autorità per le garanzie nelle comunicazioni

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