Spunti ratzingeriani sul Natale (auguri) e il futuro della Chiesa
Al direttore - C’è anche il conflitto d’interessi: ma che vogliono durare vent’anni?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Il 25 dicembre del 1978 l’allora card. Ratzinger tenne nella cattedrale di Monaco un’omelia sul Natale che a distanza di oltre quarant’anni conserva intatta la sua bellezza. Ed è anzi straordinariamente e profeticamente attuale. Riflettendo sul mistero dell’Incarnazione e su quello, ad esso speculare, della divina maternità di Maria, Ratzinger sottolineava come “oggi nella cristianità questi dogmi non contano più molto. Ci sembrano troppo grandi e troppo remoti per poter influenzare la nostra vita. E ignorarli o non prenderli troppo in considerazione, facendo del figlio di Dio più o meno il suo rappresentante, sembra essere quasi una specie di ‘trasgressione perdonabile’ per i cristiani”. Parole inequivocabili, che mettevano in luce come fosse già in atto in quegli anni una crisi epocale all’interno del cattolicesimo innescata non dal Vaticano II (come continuano a dire i tradizionalisti) ma da un’errata interpretazione dei documenti conciliari – propria invece della galassia progressista – che spingeva per una malintesa quanto equivocata “apertura” della Chiesa nei confronti del mondo e per una ancor più stravagante riforma interna in senso democratico. Un concetto, questo del vero Concilio tradito da una erronea interpretazione di esso, che sarà un cavallo di battaglia di Ratzinger nei decenni a venire, e che verrà cristallizzato nel celebre discorso alla curia romana del 22 dicembre 2005 parlando di “ermeneutica della continuità” come corretta chiave di lettura del Vaticano II. Ma torniamo all’omelia del ‘78: “Si adduce il pretesto che tutti questi concetti sono talmente lontani da noi che non riusciremmo mai a tradurli a parole in modo convincente e in fondo neppure a comprenderli. Inoltre ci siamo fatti un’idea tale della tolleranza e del pluralismo, che credere che la verità si sia effettivamente manifestata sembra essere nientemeno che una violazione della tolleranza. Però, se pensiamo in questo modo, cancelliamo la verità, facciamo dell’uomo un essere a cui è definitivamente precluso il vero e costringiamo noi stessi ed il mondo ad aderire ad un vuote relativismo”. Impressiona vedere come in poche parole Ratzinger sia stato in grado di racchiudere e anticipare quella che oggi è una triste realtà, e che rappresenta l’unico e vero problema della Chiesa. Tanto più della Chiesa attuale, molto più attenta alle cose di quaggiù che a quelle di lassù. Col risultato che quando senti certi vescovi o certi parroci, per tacere di certi sedicenti teologi, e non sapessi che a parlare è un vescovo un parroco o un teologo, potresti tranquillamente pensare di stare ascoltando di volta in volta, chessò, un teorico dello sviluppo sostenibile, un esperto di coaching, un sindacalista, un’attivista dei diritti umani, o uno dei tanti testimonial del nulla atomico in giro per il mondo. Occhio però, che oltre al danno anche la beffa è dietro l’angolo. E’ ancora quel Ratzinger del 1978 a ricordarcelo: “Se questo fatto (dell’Incarnazione, ndr) viene ignorato, molte cose possono funzionare anche a lungo, ma in realtà la Chiesa comincia a spegnersi a partire dal suo cuore. E finirà per essere disprezzata e calpestata dagli uomini, proprio nel momento in cui crederà di essere diventata per essi accettabile”. Chi ha orecchie per intendere, intenda.
Luca Del Pozzo
Rispetto al futuro della Chiesa, oggi più che mai, c’è un’altra chicca interessante offerta nel passato sempre da Joseph Ratzinger. Era il 1969. Ratzinger era ospite a una trasmissione di una radio tedesca e fece questa profezia. “Il futuro della Chiesa può risiedere e risiederà in coloro le cui radici sono profonde e che vivono nella pienezza pura della loro fede. Non risiederà in coloro che non fanno altro che adattarsi al momento presente o in quelli che si limitano a criticare gli altri e assumono di essere metri di giudizio infallibili, né in coloro che prendono la strada più semplice, che eludono la passione della fede, dichiarandola falsa e obsoleta, tirannica e legalistica, tutto ciò che esige qualcosa dagli uomini, li ferisce e li obbliga a sacrificarsi. Per dirla in modo più positivo: il futuro della Chiesa, ancora una volta come sempre, verrà rimodellato dai santi, ovvero dagli uomini le cui menti sono più profonde degli slogan del giorno, che vedono più di quello che vedono gli altri, perché la loro vita abbraccia una realtà più ampia. La generosità, che rende gli uomini liberi, si raggiunge solo attraverso la pazienza di piccoli atti quotidiani di negazione di sé. Con questa passione quotidiana, che rivela all’uomo in quanti modi è schiavizzato dal suo ego, da questa passione quotidiana e solo da questa, gli occhi umani vengono aperti lentamente. L’uomo vede solo nella misura di quello che ha vissuto e sofferto. Se oggi non siamo più molto capaci di diventare consapevoli di Dio, è perché troviamo molto semplice evadere, sfuggire alle profondità del nostro essere attraverso il senso narcotico di questo o quel piacere. In questo modo, le nostre profondità interiori ci rimangono precluse. Se è vero che un uomo può vedere solo col cuore, allora quanto siamo ciechi”. Il Natale, forse, può aiutarci a capire quanto quella profezia fu avventata o quanto non lo fu.
Al direttore - ‘“Tu scendi dalle stelle” è solo una canzone di Natale. La politica non c’entra.
Gino Roca
Al direttore - E’ giusta l’osservazione, formulata nell’articolo dal titolo “Banche instabili” pubblicato sul Foglio del 20 dicembre, riguardante la mancata notifica alla Commissione Ue della norma introdotta con il decreto “crescita” sulle attività fiscali differite ( “DTA”) trasformabili in crediti di imposta, previo pagamento di un canone, utilizzabili per operazioni di aggregazione societaria nel Mezzogiorno. La norma, pur essendo generale e astratta, mirava a dare in questo modo un apporto al patrimonio della Popolare di Bari che avrebbe potuto essere superiore a 300 milioni. Essa, però, non è stata notificata alla Commissione Ue non solo dal governo gialloverde, ma anche dal successivo governo giallorosso che da diversi mesi avrebbe potuto e dovuto procedere alla notifica. Perché ciò non sia accaduto è difficile interpretare. Una tempestiva notifica, se il successivo riscontro fosse stato positivo, avrebbe comunque rappresentato un importante contributo alla soluzione dei problemi patrimoniali della Popolare e una spinta per aggregazioni nel settore. E’, dunque, doveroso spiegare, da parte dell’esecutivo, le ragioni della mancata notifica. Riteneva, esso, che Bruxelles avrebbe sollevato obiezioni? Oppure che, per quel che stava emergendo nella Popolare, l’apporto non sarebbe stato sufficiente? O, anche in conseguenza di ciò, ha pensato di arrivare concretamente ad attivare la norma solo quando si sarà delineato il disegno di un’aggregazione? Tutte motivazioni, queste, che però non giustificherebbero l’attendismo o l’inerzia di entrambi i governi che si sono succeduti, per di più senza dar conto, con argomentazioni adeguate, dell’opaco temporeggiamento. Si tratta di una legge che non si può approvare e poi tenere di riserva anche perché, se la Commissione avesse sollevato obiezioni, sarebbe stato necessario contrastarle o adeguarvisi con eventuali modifiche, se non altro per poter poi decidere se passare all’applicazione. Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia