Nicola Zingaretti e Matteo Renzi (foto LaPresse)

Governare con un alleato forte ma senza voti. Zinga e Renzi, forza

Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 30 gennaio 2020

Al direttore - Accertato che Salvini non è Rambo, forse vale la pena fare il punto. In primo luogo, l’Europa degli anni che vanno dal 2011 al 2018 non è estranea alla vittoria del sovranismo e del populismo giustizialista in Italia (ci fermiamo al nostro paese). L’Europa segnata da due rigidità, quella sul patto di Dublino per cui i migranti erano solo affari dell’Italia e della Grecia, e l’Europa del rigore a senso unico, per cui in una situazione di recessione veniva adottata un’austerità totale non solo nei confronti della spesa pubblica corrente, ma anche degli investimenti pubblici e privati, è stata un’Europa a guida tedesco-francese che, insieme a Putin che agiva per fatti suoi, ha favorito sovranismi e populismi di ogni tipo. Adesso che sovranisti e populisti si sono fatti del male da soli non sono a disposizione risposte facili anche perché il pericolo non è finito: comunque la Lega supera il 30 per cento, in Calabria il Pd ha perso rovinosamente e le incognite in Puglia e Campania sono enormi. A parte la partita del tutto aperta sulla giustizia, ci auguriamo che la mediazione di governo fra il Pd e il M5s superstite non consista in una serie infinita di bonus sociali e nel ritorno al lassismo più totale in termini di immigrazione perché a quel punto la “belva” può tornare a mordere. Delle tante ricette più o meno sofisticate e “di sinistra” che abbiamo letto l’unica convincente ci sembra quella prospettata da Gori: concentrazione di tutte le risorse disponibili sulla riduzione del carico fiscale sulle imprese con uno spicchio per il debito pubblico e recupero con gli opportuni aggiornamenti della linea Minniti. Se invece la lezione tratta dal voto emiliano-romagnolo è quella di un “tuffo nel sociale” inteso come dilatazione dell’assistenzialismo, nel ritorno a politiche sull’immigrazione del tutto lassiste, è possibile che la “belva” riprenda a correre e a fare vittime. Di conseguenza la partita è aperta, ma non possiamo fare a meno di rilevare che l’indicazione fatta dal M5s dell’ineffabile Bonafede come capo delegazione fa venire i brividi lungo la schiena: vedrete che rimpiangeremo Di Maio.

Fabrizio Cicchitto

 


 

Al direttore - Sai qual è il colmo per un partito che diceva di essere né di destra né di sinistra? Scindersi in tre correnti: una di destra, una di centro e una di sinistra. La pacchia, come diceva qualcuno, è finita.

Federico Mello

  


 

Al direttore - E’ efficace la sua immagine degli schiaffeggiamenti subìti dalla politica della Lega a partire dallo scorso maggio. Ora, però, dopo che agli schiaffi non ha dato un grande contributo il Pd e dopo che vittima è rimasto anche il Movimento 5 stelle in una veste simile a quella di quel tale che, nella gag di Totò, non si chiamava Pasquale e purtuttavia incassava schiaffi in abbondanza, viene la fase “post festum”, in cui si debbono trarre i vantaggi anche del lavoro altrui. Capirà il governo che deve cambiare passo o penserà di assidersi sui presunti allori? Capiranno i due principali partner della maggioranza che è finita la fase della competizione nel piantare le rispettive bandierine e che c’è bisogno di fatti concreti e cominciare da una svolta nella politica economica e sociale, dopo avere finalmente trovato, come si impone, un “idem sentire” su prescrizione e processo penale? O si proseguirà senza seri obiettivi lungo un percorso nel quale gli schiaffi potrebbero essere restituiti con gli interessi? Alle maggiori sconfitte inferte corrisponde un accresciuto dovere per chi è al governo di dimostrare di potere validamente beneficiare, con le politiche e le leggi, di una situazione alla quale ha concorso solo per una parte e senza il partner che in Parlamento ha la maggiore rappresentanza. Con i migliori saluti.

Angelo De Mattia

Per il governo, e in particolare per il Pd di Nicola Zingaretti e per Italia viva di Matteo Renzi, oggi c’è uno scenario molto propizio: sfruttare la debolezza del Movimento 5 stelle per cercare di combattere il nazionalismo con un pragmatismo votato alla crescita, alla produttività, alla creazione di benessere simile a quello messo in campo in questi anni dalla classe dirigente dell’Emilia-Romagna. I passaggi chiave, a oggi, mi sembrano quattro: la riforma dell’Irpef, il rilancio di Ilva, i famosi cantieri da sbloccare e una bella sberla rifilata alla cultura giustizialista modello Bonafede. Il Movimento 5 stelle è imbelle: è il momento di provarci.