Non giochiamo con le parole. Si muore per il coronavirus, non con il coronavirus
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Europa ok, adesso via alla battaglia per rimettere il Patto di stabilità.
Giuseppe De Filippi
A proposito di irresponsabilità, che in questo caso è un termine che si abbina bene ai nemici dell’Europa. Le immagini delle fughe immotivate dalle città, descritte da molto come testimonianza della nostra irresponsabilità, sembrano suggerire che gli italiani siano un popolo osceno pronto a fregare il prossimo quando ne ha l'occasione. Intanto però il tasso di rispetto dei divieti per il coronavirus, dall’11 al 20 marzo, in tutta Italia è stato del 95,63 per cento, e anche di questo forse dovremmo essere orgogliosi.
Al direttore - Il professor Zagrebelsky dice su Repubblica di domenica che giovani e vecchi sono uguali di fronte alla legge e che quindi non si può scegliere di curare un giovane piuttosto che un anziano. “Sarebbe una posizione molto vicino all’eugenetica”, aggiunge. Premesso che ho 68 anni e mi piacerebbe arrivare oltre i 100, vorrei richiamare il prof. ad alcuni dati materiali che forse il formalismo giuridico non sa vedere e che riguardano la medicina in tempi di risorse limitate. Primo: dal punto di vista giuridico, sono pari i diritti di un anziano che la sua vita l’ha in gran parte vissuta e quelli di un giovane che ne ha vissuto solo una piccola parte? Secondo: dal punto di vista medico è molto più facile che un giovane guarisca piuttosto che un anziano. Terzo: dal punto di vista economico, un giovane ha davanti a sé una lunga vita attiva e può dare un contributo maggiore alla vita del suo paese. Quarto: dal punto di vista dei sentimenti, ho sentito dire molte volte che è terribile per un padre o una madre sopravvivere ai propri figli. Poi, certo, se le risorse fossero illimitate, i posti letto pure e la fata turchina ci risvegliasse tutti con la bacchetta magica, sarebbe un’altra storia. Anzi une bella favola.
Chicco Testa
Al direttore - Caro Cerasa, ho letto con grande interesse l’articolo del prof. Enrico Bucci (sul Foglio di sabato scorso) riguardante l’uso delle preposizioni (“con” o “per”) nei casi di mortalità causata dal coronavirus. Se ho ben capito non sarebbe corretto indicare (ecco il “con”) se il contagio che ha determinato il decesso sia associato o meno ad altre patologie. Vuol dire che l’emergenza Covid-19 non ci costringe soltanto a rinunciare a gran parte delle nostre libertà e regole di vita, ma cambia persino le regole di classificazione dei decessi utilizzati per compilare – secondo standard internazionali – i rapporti dell’Osservatorio sulla salute degli italiani? In questo documento, infatti, non si tiene solo conto della mortalità e delle sue cause per fasce di età, ma persino del concorso di più patologie (sepsi-correlate). Nel rapporto sul 2018 (in tempi immuni dal contagio), l’argomento veniva affrontato così: “E’ proprio in tale fascia di età (over 75, ndr) che si concentra la maggior parte dei decessi sepsi-correlati (circa il 75 per cento del totale), ciò a conferma che si tratta di un fenomeno associato all’invecchiamento della popolazione spiegabile con una maggiore presenza di multicronicità nei soggetti che determina un conseguente scadimento delle condizioni fisiche. E’, inoltre, utile notare come il tasso di mortalità sepsi-correlato, calcolato su tutti i decessi che menzionano la sepsi, sia 7 volte più elevato rispetto al tasso calcolato sui decessi che presentano la sepsi unicamente come causa iniziale”.
Giuliano Cazzola
Faccio mie le parole perfette del professor Bucci: insistere sul fatto che qualcuno positivo al virus sia morto per le sue pregresse fragilità, equivale a pensare che, nel momento in cui un’anziana signora muore investita sulle strisce pedonali, si discuta del rischio che correva perché era vecchia e malferma, invece che dell’auto che l’ha investita. Direbbe morta “con” l’auto o “per” la vecchiaia?