Silvia Romano, il terrorismo e la zona grigia dello stato da accettare
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Fase 2 ognuno come gli pare e i liberali si lamentano…
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Terremoto, pioggia, tuoni. Ci risentiamo quando arriva Godzilla verso le nove ok?
Alessio Viola
Al direttore - Proviamo a riavvolgere il nastro. C’è una cooperante italiana che lavora in Kenya. E c’è un gruppo di terroristi islamici somali, al Shabaab, che la rapisce a scopo di estorsione. Passano diciotto mesi, nel corso dei quali la ragazza, per sua ammissione, non subisce alcuna violenza e viene anzi sempre trattata bene, le viene dato cibo ed è persino curata quando ha la febbre. Fino all’happy end della liberazione e del rientro in Italia, dopo una trattativa conclusa con il pagamento di una (si ritiene) cospicua somma di denaro. Si direbbe un classico caso di rapimento e riscatto come tanti ne abbiamo visti, dov’è il problema? Tralasciando per un momento il non banale dettaglio che pagando il riscatto, di fatto si è contribuito a finanziare un gruppo terroristico, la novità, per così dire, sta nel fatto che la ragazza rapita si è convertita all’islam. Non solo. Ma l’ha fatto, dice lei, senza essere costretta, per sua libera scelta. E qui non mi ritrovo. Ma come. Ti rapisce un gruppo di jihadisti e tu tra un trasloco e l’altro oltre ad avere il tempo di tenere un diario (che sicuramente diventerà un libro, no?) non trovi niente di meglio da fare che convertirti alla stessa religione in nome della quale t’hanno rapita? No, dico, è normale? Delle due l’una: o siamo di fronte ad una specie di sindrome di Stoccolma 2.0, un caso di proselitismo inconscio, trasformato in mega spot pubblicitario pro islam; oppure Silvia-Aisha si è davvero convertita di sua spontanea volontà mentre era nelle mani dei suoi carcerieri islamici. Nel qual caso, permetterete la domanda: c’era davvero bisogno di armare tutto ’sto casino per liberarla, pagando oltretutto una paccata di quattrini con i quali quei signori finanzieranno altre simili performance?
Luca Del Pozzo
Lettera comprensibile ma domanda onestamente mal posta: si liberano solo ostaggi che non si convertono all’islam? Quanto al resto, due osservazioni. Primo: nelle operazioni di intelligence esistono zone grigie e un paese maturo, non vittima della sindrome di Assange, ha il dovere di rispettare quelle zone grigie. Quanto allo spot pubblicitario pro islam il punto mi sembra un altro: il compito di non trasformare i rapitori, i jihadisti, in persone per bene è un compito che spetta non alla rapita ma alle autorità italiane. Per tutto il resto leggete Daniele Raineri sulla prima pagina del Foglio di oggi.
Al direttore - Di una bellezza struggente e drammatica la solitudine di Francesco nel deserto di piazza San Pietro. Un pugno in faccia anche per chi, come me, non crede in Dio onnipotente. Sandro Veronesi, da par suo, sul Corriere, ha fatto di quell’immagine il segno del riscatto cattolico rispetto alla cultura laica, in panne dopo anni di gloria. “Ottusità e pochezza di vedute, conservatorismo autoassolutorio e burocratismo ipocrita e bigotto” contrapposti a “speranza, dialogo e condivisione”. Inutile girarci intorno, c’è del vero. I morti non si liquidano con la postilla sghimbescia del commissario del popolo Arcuri: “Noi abbiamo fatto al meglio la nostra parte, adesso tocca a voi”. Voi, il popolo rinserrato con giudizio in una quarantena epocale senza un colpo di testa, al massimo una manciata di contravvenzioni su sessanta milioni di italiani preoccupati per il loro futuro. C’è del vero, e però. Quel mondo – la cultura laica, intendo – non è un ramo secco sotto un arco di nuvole. No, il sole non si è ancora arreso. Girati attorno che accanto a “polverosi funzionari” e al “fallimento della scienza” scopri dell’altro. Due anime inquiete quegli ingegneri bresciani. Due visionari. Maneggiano con sguardo bruciante una maschera da sub. Negli ospedali scarseggiano i respiratori, si muore. Loro hanno in testa un’idea, gira da giorni. Imprecano, non prende forma, muore, risorge, s’inabissa di nuovo, fanculo. Di colpo riappare compiuta, eccola lì, pronta per diventare materia. Ebbri di vita si rigirano tra le mani un respiratore d'emergenza perfettamente funzionante. Esperimento riuscito. Talento, scienza, creatività, cooperazione. Passione. Una fetta d’Italia. E’ pur vero che non sarà il cielo di Roma steso come un mantello sulla santità del Pontefice. Nondimeno è un accidente di storia, da non confondere con la faccia di pietra dei commissari del popolo.
Riccardo Nencini