E ora fate tutti vacanze in Italia, e soprattutto forza col mojito
Le lettere al direttore del 22 maggio 2020
Al direttore - Conte: fate vacanze in Italia, e soprattutto forza col mojito.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Nel suo intervento di martedì sul Foglio, il prof. Dario Stevanato sostiene che i dubbi da me espressi nei confronti della richiesta di prestito di 6,3 miliardi di euro all’Fca siano stati motivati dal fatto che il gruppo Fca non ha la propria sede in Italia. Fondandosi esclusivamente su questa argomentazione, il prof. Stevanato svolge un’impeccabile e raffinata argomentazione accademica. Di fronte a tale perfezione mi dispiace quindi di essere costretto a precisare che non ho mai usato l’argomentazione da cui parte lo sdegno del prof. Stevanato. Essendo non totalmente digiuno in materia ho cercato infatti di spiegare come siano assolutamente legittimi gli aiuti pubblici alle imprese straniere purché queste risorse vengano impiegate in Italia. L’Fca, in questo caso, gode della possibilità di ricevere aiuti per le sue attività in Italia allo stesso modo di cui ne potrebbe godere la Volkswagen o la Psa. La mia perplessità deriva da un’attenta riflessione sulla composizione italiana del settore automotive, così duramente colpito dal Covid-19. Esso si fonda su un solo produttore finale di larga scala (appunto l’Fca), ma su un numero di parecchie centinaia di imprese di componenti. Imprese che hanno altrettanta necessità di un diretto e rapido sostegno dello stato perché, pur soffrendo allo stesso modo della crisi di mercato, possano, anche con l’aiuto pubblico, continuare a essere fornitori di straordinaria importanza e qualità di tutto il settore automobilistico internazionale, garantendo un livello di occupazione di oltre quattro volte superiore a quello di chi opera nel prodotto finale. Penso quindi che una quantità di risorse così elevata di risorse debba essere gestita dopo un attento esame dei problemi dell’intera filiera. Impeccabili quindi i complessi ragionamenti del prof. Stevanato: peccato che, almeno per quanto mi riguarda, si fondano su una premessa del tutto sbagliata.
Molto cordialmente.
Romano Prodi
Grazie della lettera, caro Professore. Sarebbe bello che il partito che lei ha contribuito a fondare, ovvero il Pd, facesse suo quello che mi sembra essere il succo del suo ragionamento: in una stagione come quella che viviamo una classe dirigente con la testa sulle spalle non dovrebbe occuparsi di come spaventare le multinazionali ma dovrebbe occuparsi di come farle sentire il più possibile a casa, facendo poi tutto il necessario per offrire alle industrie che vivono di automotive gli strumenti giusti – in termini di competitività, di costo del lavoro più basso, di burocrazia più efficiente – per competere nel mondo. Un caro saluto.
Al direttore - Dopo il discorso d’insediamento del neopresidente di Confindustria non sono mancati i commenti che ne rilevano le novità e la strategia: “Caterpillar confindustriale”, titola l’Huffington Post; il presidente di Confindustria “getta il cuore oltre l’ostacolo”, sottolinea il Corriere. Tanto per citarne un paio. Infatti Bonomi stavolta gliele ha cantate forte e chiaro come la richiesta di un dialogo leale e sincero con le controparti e il governo, la riforma del fisco, più investimenti pubblici, meno burocrazia. Insomma, più o meno quello che hanno detto tutti i presidenti di Confindustra negli ultimi trent’anni.
Valerio Gironi
Il presidente Bonomi ha progetti molto ambiziosi e visioni pro crescita piuttosto interessanti. Deve però stare attento a non commettere quello che sarebbe l’errore degli errori: credere cioè che il ruolo di capo di Confindustria sia un ruolo da interpretare vestendo i panni del leader specializzato in rivendicazioni sindacali. L’Europa deve fare questo. La politica deve fare questo. Lo stato deve fare questo. Il governo deve fare questo. E’ il momento in cui chi si occupa di rappresentare gli imprenditori faccia uno scatto in avanti spiegando cosa possono fare gli imprenditori per cambiare l’Italia. Lo ha detto benissimo la scorsa settimana, sul Corriere della Sera, Ferruccio de Bortoli: “Una classe dirigente privata all’altezza del compito che la storia le assegna non può limitarsi (giustamente) a premere per riaprire le fabbriche e invocare aiuti di vario tipo o guardare con ansia a Bruxelles. Deve fare di più. Mostrare di avere una cultura più profonda del bene pubblico”.