Viva il partito degli ex premier. Viva il proporzionale. Scrive Polverini
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Chi revoca chi?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ha ragione Cerasa quando osserva (“W il partito degli ex premier”) che “nella politica di oggi il vero bipolarismo non è più tra i partiti di destra e partiti di sinistra… ma è tra partiti europeisti e partiti antieuropeisti” . La notazione mi ricorda il buon tempo antico. Quando Altiero Spinelli nel 1941, al confino con Ernesto Rossi ed Eugenio Colorni, preparò quel progetto politico noto come “Il Manifesto di Ventotene” era convinto che, una volta passata l’apocalisse nazista, in Italia non bisognava più dividersi secondo le linee tradizionali di destra e sinistra, ma occorreva prendere atto che il nuovo spartiacque era tra la politica nazionalista e la dimensione europeista. La concezione politica a cui era approdato Spinelli dopo l’abbandono del comunismo rivoluzionario, poteva sì essere considerata ingenua ma, con il tempo, si è rivelata profetica. Nel Dopoguerra il leader federalista considerò i partiti che si rifacevano banalmente alle ideologie prefasciste di esprimere una visione angusta e nazionalistica dei problemi italiani. Perciò, nel suo lungo e ostinato percorso da riformatore laico-federalista, consigliò e sostenne tutte le politiche anti nazionaliste e pro europeiste. Anche oggi la sua visione, al di là della lettera del “Manifesto di Ventotene”, si conferma preveggente: la contrapposizione dopo 80 anni rimane ancora tra conservatori nazionalisti di destra e sinistra, e riformatori europeisti d’ogni colore.
Massimo Teodori
Al direttore - Mancano ancora tre anni alla conclusione naturale della XVIII legislatura ma, nonostante l’imminenza del “semestre bianco” per l’elezione del capo dello stato e la situazione a dir poco preoccupante dei conti pubblici, non passa giorno senza che un esponente del centrodestra, davanti a una telecamera o a un taccuino, non invochi le urne con un riflesso condizionato così immediato che farebbe impallidire persino il cane di Pavlov. A fine mese la Camera inizierà a discutere la legge elettorale in attesa che il referendum costituzionale del prossimo 21 settembre ne sancisca il probabile “dimagrimento” con evidenti conseguenze sulla composizione delle maggioranze che verranno e, dal mio punto di vista, con seri problemi di rappresentatività del Parlamento rispetto al territorio. In questo contesto, spinte dai sondaggi che ci aggiornano settimanalmente sugli umori dell’elettorato, si delineano sempre meglio le posizioni dei partiti sul sistema di voto.
Alcune recenti ricerche hanno approfondito la proiezione di questi sondaggi sulla composizione delle future maggioranze, disegnando scenari più o meno graditi ai sostenitori del sistema proporzionale rispetto a quelli che insistono sul maggioritario e viceversa. Secondo il direttore del Foglio, Claudio Cerasa, però, il proporzionale, a causa degli atteggiamenti dei vari leader del centrodestra, “è già nei fatti”; e io sono d’accordo.
Non solo perché l’adozione del cosiddetto Germanicum converrebbe a Forza Italia, ma perché converrebbe a tutto il centrodestra articolare la propria proposta politica senza fingere che non esistano differenze (e persino diffidenze) tra le forze storicamente alleate. E le differenze non sono di poco conto, né banalmente riassorbibili dalla sola volontà di “vincere” le elezioni. Faccio solo un esempio: se ci si sedesse oggi, come due anni fa, al tavolo del programma con Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Lorenzo Cesa (e probabilmente anche con Rotondi e Lupi), dubito che si arriverebbe a una sintesi sul ruolo e sul rapporto dell’Italia con l’Europa e immagino che nessun elettore, per quanto sprovveduto o distratto, darebbe credito a chi non ha idee chiare su un tema dirimente per il futuro del paese. Per non parlare di argomenti come quello – riassumendo molto – delle libertà civili che più di un esponente del centrodestra vorrebbe comprimere in virtù di una visione da “stato etico” a mio avviso insopportabile per un partito liberale come quello plasmato da Silvio Berlusconi. Aggiungo, e concludo, che uno scenario economico che vede il nostro debito elevarsi oltre il 160 per cento del pil non ci dovrebbe spingere a tagliare in due l’elettorato come implica il sistema maggioritario; servono, infatti, nervi saldi e maggioranze ampie per affrontare responsabilità e decisioni che peseranno su più generazioni. Già oggi, con duecento possibili miliardi in arrivo dall’Europa tra Mes e Recovery Fund, sarebbe opportuno e necessario – per una opposizione che prima o poi sarà governo –, partecipare (a patto che si ripristini la piena funzionalità del Parlamento) alle scelte più importanti per rassicurare mercati e risparmiatori – cioè i nostri finanziatori – sul rispetto degli impegni presi dall’Italia, non solo da Conte, Zingaretti o Di Maio. Ma siamo ancora all’esegesi delle (importanti) parole di Prodi o alle schermaglie, francamente ridicole, sugli inviti a Palazzo Chigi. Dopo tanti anni torna invece di attualità quanto detto da Garibaldi nel suo “Testamento politico”: “Per pessimo che sia il governo, ove non si presenti l’opportunità di facilmente rovesciarlo, credo meglio attenersi al gran concetto di Dante: ‘Fare l’Italia anche col diavolo’”.
Renata Polverini, deputato di Forza Italia
Per tornare a una formidabile stagione maggioritaria, occorre prima una necessaria stagione proporzionale. E se Forza Italia non accetterà di scommettere su questo punto, ciò che resta del moderatismo italiano resterà inghiottito dall’estremismo. In Forza Italia mi pare siano in tanti ad averlo capito. Nel Pd pure. Nel M5s chissà. Renzi non è convinto, e anzi farebbe di tutto forse per non virare sul proporzionale, ma l’Italia che sogna di mettere in minoranza il cialtro-sovranismo non può che sognare di portare avanti un progetto proporzionale per una fase ri-costituente. Forza!