(foto LaPresse)

Meglio lo strappo e la mediazione? Il Mes e il confronto tra due scuole

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Ieri mattina alla Camera, illustrando la risoluzione che come +Europa abbiamo presentato, ho consigliato al presidente Conte, in vista delle impegnative prossime giornate del Consiglio europeo, di rileggere che cosa diceva nel 1948 Luigi Einaudi rispetto alle condizioni che accompagnavano lo European Recovery Program, il Piano Marshall. Einaudi diceva che se non ci fossero state quelle condizioni, gli italiani avrebbero dovuto metterle da soli. Fatte le dovute differenze, è chiaro il punto politico. Ieri abbiamo visto una maggioranza ancora ostaggio della retorica sovranista sulle “inaccettabili condizionalità” che sarebbero il grimaldello per rubare la sovranità nazionale all’Italia. Se è vero che Conte ha fatto un riferimento alle raccomandazioni annuali della Commissione, un riferimento non chiarissimo ma, speriamo, di buon auspicio, è anche vero che si è continuato a eludere il punto cruciale dell’accesso alla linea di credito del Pandemic Crisis Support, già attivo nell’ambito del Mes. Una vaghezza tanto più grave e irresponsabile alla luce dell’imminente proroga dello stato d’emergenza, della necessità di interventi urgenti di adeguamento della sanità territoriale e delle strutture di cura e di prevenzione nonché dell’edilizia pubblica, in particolare scolastica, e anche alla luce dell’andamento della trattativa sul piano europeo per la ripresa Next Generation EU. Il Parlamento ha votato sul Mes. Il Pd, smentendo la linea espressa dal suo segretario ha votato contro insieme al M5s, Italia viva, che ringrazio, ha votato la nostra risoluzione e Forza Italia non ha partecipato al voto. Al momento, se vi fossero dubbi, è questo il livello di condizionamento della retorica sovranista sulle scelte del governo e sulle assunzioni di responsabilità politica di questa maggioranza. Si continuano a rimandare scelte fondamentali mentre il paese avrebbe bisogno di un’altra velocità.

Riccardo Magi, deputato di +Europa

 

Il paese ha bisogno di velocità, è vero, e ha bisogno dei soldi del Mes, è vero. Ma è anche vero, come direbbe il vecchio saggio, che “est modus in rebus”. Esiste cioè una misura nelle cose, esistono, come diceva Orazio, determinati confini, al di là e al di qua dei quali non può esservi il giusto, e in questo caso, nel caso del Mes, il confine giusto è quello per così dire della tempistica. Le chiedo: per il Pd meglio sfidare a viso aperto i suoi scombiccherati alleati, senza ottenere risultati, o meglio portarli a poco, con i tempi giusti, con l’arte della mediazione, sulla strada dell’accettazione dell’inevitabile? Adelante Pedro, cum juicio.


Al direttore - Tim e Open Fiber: questo matrimonio s’ha da fare? Sono ormai 5 anni che i principali organi d’informazione del settore riportano periodicamente news, rumors e articoli in merito alla fusione tra Tim e Open Fiber. I segnali di una dirittura d’arrivo, salvo ripensamenti, sembrano evidenti: Tim si sta avvicinando al modello Open Fiber nel cablaggio; non difende più l’integrità della sua rete ma la vuole separare volontariamente, mantenendone però il controllo come operatore verticalmente integrato tra rete e servizi, tra wholesale e retail. Open Fiber, per contro, in tre anni ha steso più fibra nella rete di accesso di quanta ne abbia stesa Tim nell’arco degli ultimi 20 anni. A questo punto ci domandiamo: qual è il vantaggio che alla nostra nazione può derivare dalla privatizzazione di Open Fiber? Quale garanzia si può avere che la nuova entità nata dalla fusione prosegua il cablaggio dell’Italia intera? Che cosa ci si aspetta concretamente dalla infrastrutturazione di rete del paese? Con quali modalità verrà realizzata? Quali sono gli obiettivi dell’operazione? Domande legittime poiché dettate non dall’etica, bensì dalla legge di mercato. Open Fiber ha il compito di realizzare e mettere in servizio un’infrastruttura a prova di futuro; Tim deve invece rendere conto e operare sulla base degli interessi dei suoi azionisti, che non sempre coincidono con quelli a lungo termine del bene comune. Ecco, allora, che davanti all’eventuale operazione di fusione, ci sentiamo in dovere di evidenziare due suggerimenti che coniugano la ragione economica alla ragion di stato. Se matrimonio dev’essere, si faccia in modo che la dote sia rappresentata da un chiaro, esplicito e ben definito obiettivo di infrastrutturazione in FTTH al quale venga inequivocabilmente ricondotto il sistema di retribuzione variabile, che deve rappresentare la parte preponderante dell’intera retribuzione annua, per il management. Poi. La nuova società operi esclusivamente sul mercato wholesale con una netta separazione dagli operatori retail. Con questi accorgimenti eviteremmo di ripetere gli stessi errori che anni fa furono commessi nell’operazione di privatizzazione di Telecom, permettendo di definire una chiara roadmap di sviluppo del processo di infrastrutturazione e, allo stesso tempo, scongiurando i rischi di indebolimento delle dinamiche concorrenziali tra gli operatori sul mercato.

Sebastiano Barbanti - Copernicani 

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