Governo e opposizione spiegati con Melville. Ci scrive Meloni

Al direttore - Milano allagata: le inventano tutte per favorire arrivo coi barconi.

Giuseppe De Filippi


 

Al direttore - Sembrava Horatio Nelson, era Benito Cereno. Mercoledì scorso, Giuseppe Conte ha varcato la soglia del Senato accolto da squilli di trombe, rulli di tamburi, applausi scroscianti. Il Grande navigatore pareva reduce da una vittoria degna di Trafalgar e in molti guardandolo arringare l’Aula in lui vedevano le stimmate della forza e dell’immortalità politica. L’apparenza inganna, la gioia è fugace. Tempo due giorni, già tutto era cambiato. Il solito tran tran: grillini che a Strasburgo votano con i camerati di Identità e democrazia contro il Mes, il Pd che invoca il ricorso al Mes assieme alla Commissione europea contro i grillini, le tensioni tra Palazzo Chigi e ministero dell’Economia, l’incertezza sugli scostamenti di bilancio, la maggioranza che latita al Senato... Sembrava Horatio Nelson, era Benito Cereno, il comandante del mercantile spagnolo narrato da Melville: apparentemente nel pieno dei poteri sulla tolda di comando, di fatto ostaggio del suo carico di schiavi.

Andrea Cangini, senatore di Forza Italia

  

Non male. Melville però, se non ricordiamo male, scrisse anche un altro libro, forse ancora più utile da ricordare oggi se proprio vogliamo divertirci a giocare con i parallelismi letterari. Quel libro, naturalmente, è “Moby Dick”. Racconta la storia di una baleniera non fortunata, il Pequod, guidata da un capitano non fortunato, Achab, deciso a portare avanti uno scontro scellerato contro una mostruosa balena bianca. Lo scontro non finirà bene e il capitano alla fine trascinerà il suo equipaggio – contrastato da un solo membro, Ismael, che si salverà – verso una fine inutile e forse evitabile. La domanda a questo punto è questa. Quand’è che il centrodestra darà vita a Forza Ismael?


 

Al direttore - C’è voluta una rovinosa pandemia per ricomporre il “dissidio spirituale” della Germania con l’Europa, come lo definì Benedetto Croce nel 1944. Oggi la Germania – come negarlo? – è più europea e l’Europa è meno tedesca. Non è certo tutto merito di Angela Merkel, ma l’accordo di Bruxelles deve molto al suo intuito politico. Paragonandola alla Thatcher, il columnist di Spiegel Jakob Augstein l’ha definita una radicale con un pragmatismo senza confini, che la rende capace della svolta più inattesa. Dice Mefistofele nel “Faust” goethiano: “Solo il primo passo è libero; al secondo si è già schiavi”. “Un passo alla volta”, gli faceva eco “la ragazza” (das mädchen), come la chiamava Helmut Kohl. Nella massima preferita della Kanzlerin si rispecchia un tratto distintivo del carattere tedesco: refrattario alle decisioni impulsive ma aperto all’innovazione. Così i detrattori della cancelliera ora si vedono costretti a una clamorosa retromarcia. Sono coloro che le hanno sempre rinfacciato un ottuso rigorismo fiscale, culturalmente figlio della coincidenza semantica di debito e colpa – messa in luce da Nietzsche – nel termine “schuld”. In un pionieristico pamphlet sui problemi politici del pieno impiego (1943), Michal Kalecki sostenne che Hitler era stato il più diligente allievo di Keynes, e che il suo “keynesismo militarizzato” aveva rappresentato l’applicazione più conseguente della “Teoria generale”. Questa tesi ha influenzato non solo i teorici dell’ordoliberalismo ma la stessa Merkel. Tuttavia il trauma che ha segnato in maniera indelebile la biografia intellettuale della cancelliera è stato il fallimento del socialismo tedesco, conclusosi con la dissoluzione della Ddr. Un regime in cui la mortificazione della libertà dell’individuo, stupendamente descritta nel film di Henckel von Donnersmarck “Le vite degli altri” (2006), si associava a un sistema capace di garantire soltanto burocrazia, corruzione e basso tenore di vita. Un tempo dare addosso alla Merkel era sport diffuso. Senza pretendere abiure, è forse giunto il momento di riconoscere che, tra i leader europei, è l’unico (pardon, l’unica) di statura internazionale. Anche Conte sarà d’accordo.

Michele Magno

Ich bin ein merkelianer!


 

Al direttore - Gentile direttore, ho letto ieri sul suo giornale un articolo che mi riguardava e che raccontava di alcune presunte dinamiche interne a Fratelli d’Italia. Tralasciando il fatto che molti retroscena riportati non corrispondono alla verità, sono costretta a smentire diversi virgolettati che mi vengono attribuiti e che sono totalmente destituiti di ogni fondamento. Tra questi ci tengo in particolare a smentire le frasi che avrei pronunciato sui nostri alleati: non ho mai detto né pensato che la Lega sia “becerume” e che Salvini “quando parla di Patria non sa di cosa parla. Ne fa caricatura. Andrebbe denunciato”. Ho rispetto per i miei alleati e mi dispiace che si continui a cercare o inventare pretesti per provare a logorare i rapporti tra le forze di centrodestra. Fortunatamente però ci vediamo e ci sentiamo spesso tra noi e siamo molto uniti, come di recente hanno dimostrato, passando dalle elezioni regionali, agli incontri con il presidente del Consiglio e arrivando alle manifestazioni congiunte, numerose occasioni.

Giorgia Meloni, leader di FdI

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