Problemi: governo dell'immigrazione (sciacalli no, grazie) e linea del Pd
Dalla Bielorussia a Putin: siamo già vaccinati.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - L’immigrazione non è un’emergenza, è un processo che l’Italia vive da anni. E come tale va trattato, con norme adeguate, senza cavalcare le paure, ma non negando i forti risvolti di sicurezza dei cittadini e di integrazione. Né accogliamoli tutti, né chiudiamo i porti, quindi. Sono slogan, mentre un paese maturo deve darsi una legislazione moderna in fatto di immigrazione. Innanzitutto, sgombrando il campo da alcune ipocrisie di comodo. Gli uomini e le donne che arrivano in Italia sono nella maggior parte dei casi migranti economici, ma, una volta sbarcati clandestinamente, vengono trattati tutti come richiedenti asilo. I flussi non vengono governati e gli immigrati iniziano l’iter per il riconoscimento di uno status che nell’80 per cento dei casi non verrà loro concesso, condannandoli di fatto alla clandestinità, perché le espulsioni restano quasi sempre inattivate. Nel frattempo, vivono sradicati dal territorio che li ospita, dimenticati spesso in alberghi che lucrano su questo sistema, non lavorano, non seguono percorsi di formazione adeguati e taluni diventano facile preda della criminalità. Va introdotto l’obbligo di prestare servizi di pubblica utilità per i comuni e vanno superati i bandi prefettizi che hanno come unico contenuto il pernottamento, il pranzo e la cena. Non è possibile accettare che centinaia di persone, nell’attesa di vedere perfezionata la loro pratica, ciondolino tra un parco e una stazione nulla facendo e nulla imparando. Sono questioni da affrontare legislativamente in modo organico, dati di fatto dai quali non si può prescindere. Invece, ci ritroviamo con la Bossi-Fini e avviamo dibattiti parziali solo sul tema dello ius soli, alimentiamo le insicurezze con presunte emergenze, continuando a non affrontare la vera questione: il governo dei flussi e il rispetto rigoroso delle regole di chi è ospite. Il nuovo decreto immigrazione pare preveda il rilancio del sistema degli Sprar, una buona soluzione che però non può essere sufficiente, perché servono altri interventi strutturali.
Certo, c’è un tema sovranazionale, l’emergenza nel Mediterraneo deve coinvolgere l’Ue e la comunità internazionale, ma non per questo il governo può eludere il nodo di una nuova legislazione. Su questo aspetto noi sindaci, che siamo in frontiera, abbiamo molto da dire e siamo pronti a un confronto serio, senza rimozioni, per trovare finalmente delle risposte. Dobbiamo iniziare un gruppo di lavoro per archiviare la Bossi-Fini e costruire una nuova legge che coniughi sicurezza e integrazione.
Il tema è spinoso, ma siamo obbligati ad avviare una stagione di concretezza. Il pragmatismo non va confuso con la mancanza di ideali, essere di sinistra vuol dire far stare bene i cittadini e questo oggi non avviene, perché sono soprattutto i ceti popolari a subire il disagio di una immigrazione sgovernata. Dobbiamo evitare la saldatura tra una povera umanità migrante e un disagio autoctono crescente. E’ tempo di affrontare il tema migratorio in modo maturo, non lasciandolo in mano a utopie irrealistiche o a propagande populiste.
Emilio Del Bono, sindaco di Brescia, Pd
Sull’immigrazione, le forze politiche che si considerano non populiste hanno solo un modo per non farsi dettare l’agenda dai nazionalisti: smetterla di fischiettare sul tema, cominciare ad affrontare i problemi, non offrire più risposte evasive, superare la stagione dell’accoglienza indiscriminata e dimostrare con i fatti che quando si parla di integrazione e protezione dei confini la difesa della sicurezza e il rispetto dell’umanità sono due concetti che, al contrario di quello che sostengono gli sciacalli, possono e devono coesistere. E a proposito di sciacalli, vale la pena per il futuro ricordarsi quello che ha detto pochi giorni fa il grande prof Locatelli sui nuovi contagi da Covid: “Il 25-40 per cento dei casi sono stati importati da concittadini tornati da viaggi o da stranieri residenti in Italia. Il contributo dei migranti, i disperati che fuggono, è minimale, non oltre il 3-5 per cento è positivo e una parte si infetta nei centri di accoglienza”. Sciacalli no, grazie.
Al direttore - Contrariamente a quanto sostiene Franco Bassanini, quello che lo stato ha venduto nel 1997 (e consentito venisse rivenduto nel 1999 e nel 2001) non è un monopolio: secondo le regole europee è un “operatore a significativo potere di mercato” e, come tale, regolato (e, ove necessario, sanzionato). Tant’è che gli han fatto concorrenza Fastweb, Wind, Vodafone, Metroweb. Creata per fargli concorrenza, Open Fiber ha invece per tre (ora sei) anni il monopolio negli oltre 7.000 comuni delle aree bianche che si è aggiudicata in gara. Monopolio di stato, di fatto, e su tutta la rete, sarebbe se ora Open Fiber, in nome delle rete unica e pubblica, entrasse nella società della rete di Tim e pretendesse che le venisse sottratta la maggioranza di controllo. L’emendamento di Luigi Einaudi (indubbiamente un liberale) all’art. 41 volto a mettere in Costituzione il divieto di leggi che formino monopoli non fu approvato. Non per questo c’è una legge che lo consenta.
Franco Debenedetti
Al direttore - Lo sforzo di Guerini è apprezzabile e non vorrei fosse confuso con il ronzio di chi chiede ora un congressino. Bisogna invece lavorare per tonificare e irrobustire il cavallo che corre e non tramare nell’ombra per accopparlo. Il punto più condivisibile di Guerini è quello relativo allo sviluppo che non può reggersi sui soli sussidi; occorre invece uno stato in grado di sollecitare la parte più dinamica del sistema produttivo consolidando l’industria manifatturiera e di base, in tutto il paese. E sempre allo stato tocca occuparsi del territorio, della ricerca, dei servizi che servono alle imprese e ai cittadini. Dunque stato imprenditore va bene (non solo regolatore come dice Guerini) a patto però che abbia una visione non solo fondata sui bonus. Il resto del discorso politico è invece un già visto. Cosa vuol dire vocazione maggioritaria col 20 per cento in un sistema tripolare? L’accordo di governo attuale e in vigore prevede il proporzionale; dunque sistema di alleanze politiche e sociali per continuare a governare, altrimenti restano le larghe intese. A questo punto la scommessa di un’alleanza politica alternativa alla destra va esperita corrispondendo alla pluralità delle tendenze e delle pieghe politiche e culturali del popolo italiano ma ponendo sempre al centro la Costituzione e la forma democratica della repubblica a partire dalla difesa del Parlamento e delle istituzioni, qui sì rigettando ogni rozza sottocultura antipolitica. Giustissimo quindi dire che non bisogna essere subalterni ma non potendo essere maggioritari nei numeri la via che resta è quella dell’autonomia politica e culturale e dunque fa bene Guerini a insistere su queste. Ma poi su nordismo e sudismo si rischia di essere retorici e ideologici; evitiamo per cortesia un dibattito tra neoborbonici e leghisti nordisti. Non bisogna essere subalterni neanche su questo terreno. I temi dello sviluppo, delle infrastrutture, delle aree interne, del divario tecnologico, della sanità, della sicurezza del suolo, del lavoro sono temi nazionali ed europei e il Pd è e sempre più deve essere un partito dell’interesse nazionale ed europeo. Ultimo punto: basta col partito dei soli eletti e basta col feticcio del leader solitario, bisogna tornare al partito radicato, con classi dirigenti diffuse e formate, quella del moderno principe è ancora un’idea attualissima e sapersi organizzare è il minimo per una forza politica. Un partito non può essere una testa senza corpo né un corpo senza testa. Apprezzo lo sforzo di Guerini ma non basta. Bisogna sapere infatti che non c’è spazio per altre avventure né trasformistiche né per altri pasticci di larghe intese. I riformisti sanno tante cose e sanno soprattutto che hic Rhodus hic salta, poi ci sono le urne.
Enrico Rossi, governatore della Toscana, Pd