Karl Kraus e il nostro referendum. La destra, la sinistra e il Covid
Le lettere al direttore del 26 agosto 2020
Al direttore - Altri leader di partito ancora non lo hanno fatto, invece Renzi e Salvini hanno concesso ai propri elettori di votare secondo coscienza al referendum sul taglio dei parlamentari. Quindi, “la libertà di pensiero ce l’abbiamo. Ora ci vorrebbe il pensiero” (Karl Kraus).
Michele Magno
Diceva Kraus, parlando con cento anni di anticipo del prossimo referendum: “Ben venga il caos, perché l’ordine non ha funzionato”.
Al direttore - Non si inveisce su un uomo che rischia la vita, soprattutto quando sarebbe troppo facile. Ci sarà tempo per discutere, dopo. Forza Flavio.
Pasquale Annicchino
Ci sarà tempo per discutere, ci sarà tempo per ragionare sui negazionisti, ci sarà tempo per apprezzare gli inviti alla prudenza di Vasco Rossi, ci sarà tempo per notare che in tempi di pandemia le discoteche possono essere persino più pericolose dei barchini e ci sarà tempo anche per ragionare attorno a un tema interessante sollevato ieri su Twitter da Antonio Polito (“Ma quando è successo che è diventato di destra negare il Covid e di sinistra credere nel Covid?”). Per il momento però un abbraccio a Briatore e auguri di pronta guarigione. Speriamo solo che Repubblica non chieda a Paolo Berizzi di riflettere, rispetto al caso del patron del Billionaire, sul significato del karma.
Al direttore - Crediamo di essere buoni amici di Walter Veltroni e di aver salutato con gioia il trasferimento del vecchio gruppo di testa della vecchia Unità comunista alla guida del più grande giornale del paese, quello della borghesia produttiva liberale e democratica, il Corriere della Sera. La nostra gioia nasce dal fatto che il trasferimento in massa di quegli autorevoli ex comunisti dimostra per tabulas che la Dc non solo ha sempre battuto la sinistra comunista sul piano elettorale e politico ma ha vinto anche sul piano culturale se è vero, come è vero, che nessuno di loro non solo non si definisce più, naturalmente, comunista ma neanche socialista. Ma veniamo al punto dell’editoriale di Veltroni di domenica scorsa che ci ha incuriosito e che descrive alcune grandi questioni che la politica oggi ha di fronte e rispetto alle quali sembra disarmata. La rivoluzione tecnologica con i suoi grandi benefici ma anche con i problemi che suscita nel mondo del lavoro, la questione ambientale, il terrorismo globale e la diffusione della paura e oggi la pandemia che fa risaltare la fragilità dell’intera umanità a cominciare da quelle società che si definiscono avanzate. Veltroni conclude bacchettando quanti pensano di aggrapparsi culturalmente e politicamente alla consunta zattera del Novecento piuttosto che porsi dinanzi all’alba del nuovo. Spiace dirlo ma il lessico generico è tipico di un certo tipo di comunismo d’antan. Anche Togliatti parlava del “partito nuovo” dinanzi alle sfide nuove del secondo Dopoguerra con la doppiezza tipica di quella cultura. Una domanda, però, non possiamo non farla senza alcun intento polemico. In questi 26 anni la sinistra ha governato per oltre 15, ha partecipato a due governi tecnici, ha cambiato nome al proprio partito tre volte e negli ultimi cinque anni due segretari nazionali del Pd lo hanno abbandonato. Negli stessi anni Veltroni è stato per oltre cinque al governo e per due volte segretario nazionale prima dei Ds e poi del Pd per complessivi sei anni. In questi due decenni le questioni sollevate nell’editoriale di domenica non erano forse già tutte presenti (terrorismo, rivoluzione tecnologica, cambiamento profondo della comunicazione, questione ambientale)? E qual è stata la nuova elaborazione della sinistra post comunista? E come mai questa sinistra non si è accorta che l’Italia non cresceva, la povertà raddoppiava, le diseguaglianze aumentavano, il Mezzogiorno crollava e la produttività del lavoro era bassissima? La sinistra deve domandarsi quali errori ha fatto in questi 26 anni, cosa oggi non le piace di questi ultimi cinque lustri in cui ha molto governato e quale cultura e identità si è data in sostituzione di quella che aveva. Stiamo invece ancora a domandarci, come fa Veltroni, se il potere sia un fine o un mezzo! Per la politica è un mezzo, per gli altri poteri è un fine ed è per questo che la politica aveva un primato senza il quale un paese va alla deriva. Veltroni, poi, parla di “zattera del tragico Novecento” con riferimento a quanti oggi si abbarbicano ancora a quelle culture politiche, comprese quelle vittoriose nelle battaglie del secondo Dopoguerra. Dovrebbe però chiedere ai cristiano-democratici tedeschi, austriaci, ai popolari spagnoli, ai socialisti tedeschi, spagnoli, portoghesi, ai laburisti inglesi e al partito dei verdi e a quello dei liberali di tutta Europa che forse tutti insieme non si sono accorti di essere su di una zattera culturale del Novecento mentre governano la maggior parte degli stati membri dell’Unione europea. Forse la verità sta altrove! Chi è cresciuto in una cultura scomparsa all’improvviso e che oggi respinge con sdegno è smarrito e vorrebbe che anche le altre culture finissero come è finita la propria. Testimonianza autorevole di questo smarrimento veltroniano sta in un fatto che balza agli occhi di chi legge il suo editoriale. Veltroni non accenna neanche con un titolo a quella che noi definiamo la peste del Terzo millennio, il capitalismo finanziario fonte primaria delle diseguaglianze crescenti e nemico giurato dell’economia reale di mercato. Non si offenda ma è la vecchia doppiezza che resiste, sempre nascosta nella narrazione generica e strumentale. Aspettiamo con ansia e curiosità la prossima puntata.
Paolo Cirino Pomicino
Al direttore - Caro Cerasa, è necessario, forse, chiarire che Vasco Rossi non pretende di essere uno scienziato, ma ha usato la propria popolarità per opporre quanto dice la scienza al cretinismo dilagante, suffragato, apprendo, anche da Massimo Boldi (imperdibile interprete di cinepanettoni). Al virus della pandemia si accompagna quello dell’idiozia, al richiamo del quale, alcuni, ma neanche tanti, sono sensibili. Mi sembra più grave voler additare come responsabili dell’incremento dei contagi i soliti immigrati. In vista delle prossime elezioni quale migliore palestra per i praticanti della xenofobia, dall’intramontabile Salvini al presidente della regione siciliana.
Lorenzo Lodigiani