Il ritorno alle preferenze? W l'anticasta che fa i conti con la realtà
Le lettere del 26 settembre al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Torna a casa Lezzi.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Incuriosito dal sapido articolo di Salvatore Merlo, ho letto la letterina a Zingaretti del leader delle sardine Mattia Santori. Forse aveva ragione G. B. Shaw: la gioventù è sprecata in mano ai giovani.
Michele Magno
Al direttore - Caro Cerasa, riconosco che il suo giornale è stato il primo a trovare argomenti per conferire dignità al Sì alla conferma della legge costituzionale sul taglio dei parlamentari. Certamente tali argomenti razionali avranno orientato il voto di molti elettori, mi auguro nel numero più alto possibile. Resto però convinto, purtroppo, che la grande maggioranza di Sì costituisca una dimostrazione di quanto il virus dell’antipolitica sia ormai parte del Dna degli italiani, i quali hanno creduto nella storia dei costi inutili e sprecati e, soprattutto, nella dottrina della Casta da ridurre e mortificare il più possibile, visto che, almeno per ora, dobbiamo tenercela. Un caro paterno saluto.
Giuliano Cazzola
Al direttore - Ieri è stato Eugenio Giani, proprio su queste colonne, a parlare della necessità di un Pd inclusivo, capace pertanto di allargare i confini della coalizione di centrosinistra. Una coalizione, verrebbe subito da dire, che ha retto bene alla prova di queste elezioni, ma nondimeno bisognosa, data la forza d’urto della destra, di rivedere i suoi parametri politici e organizzativi. Nei giorni passati, sempre sul Foglio, una robusta riflessione di Giorgio Tonini muoveva dalle medesime preoccupazioni, benché il taglio dato dall’ex presidente della Fuci al suo articolo-saggio riporti in evidenza il modello del partito a vocazione maggioritaria. Si tratta di linee convergenti, l’una e l’altra imperniate sulla riconsiderazione della centralità del Pd, nonostante la caduta di consensi registrata a cavallo della segreteria di Renzi. La buona tenuta a livello regionale e locale permette di guardare con più serenità al futuro del partito, senza tuttavia dimenticare che nel complesso abbiamo ceduto molte posizioni negli ultimi anni. Ora emerge la necessità, se non vogliamo crogiolarci nella retorica dello scampato pericolo, di guardare in faccia la realtà. Anche la vittoria nel referendum, rivendicata da tutti i partiti presenti in Parlamento, implica una serena e attenta valutazione. I risultati, infatti, indicano una quota elevata di elettori Pd – quasi 4 su 10 – schierati contro il taglio della rappresentanza parlamentare. Soprattutto dovremmo considerare il valore di una opposizione che non coincide con l’area del conservatorismo; anzi, l’analisi dei dati rivela come a votare contro la riforma costituzionale siano stati i ceti più dinamici del paese, unitamente alle nuove generazioni. Evidentemente l’enfasi riposta sul risparmio dei costi e sulla razionalizzazione – taglio degli eletti – dei lavori di Camera e Senato, non ha persuaso il segmento del corpo elettorale che nutre maggiore apprensione per il degrado populistico e demagogico della politica italiana. Essere più inclusivi vuol dire, pertanto, affrontare la questione di come questo elettorato fortemente motivato e selettivo, per nulla compiacente verso l’alleanza a tutti i costi con il M5s, abbia a ritrovare nel Pd la fiamma del riformismo democratico. Sta di fatto che la vittoria del Sì ha reso più complicata l’evoluzione del quadro politico di maggioranza. Nei Cinque stelle sta esplodendo la contraddizione che segna la difficile convivenza tra l’anima movimentista delle origini e l’anima moderata dei filogovernativi. L’invettiva di Grillo contra la democrazia rappresentativa getta ulteriore benzina sul fuoco delle diffidenze a riguardo di una visione sostanzialmente antidemocratica dei pentastellati. Ora la riforma elettorale entra nel vivo della discussione e vi entra, tuttavia, con un sovraccarico di titubanze e nervosismi. Se vogliamo rimediare alla rappresentazione di un potere oligarchico, uscito rafforzato dal referendum per effetto della indubbia contrazione degli spazi di pluralismo, dobbiamo puntare senza esitazione su una legge di tipo proporzionale. Sono il primo a rispettare il punto di vista di Prodi e Veltroni, ma non mi convince la loro insistenza sui rischi di tale opzione: l’ingovernabilità è figlia della irresponsabilità delle forze politiche, quale che sia la legge elettorale adottata. E’ un errore, per giunta, comprimere il sistema di selezione della classe dirigente. Bisogna invece tornare alle preferenze per restituire al corpo elettorale uno strumento di valutazione delle candidature. Spetta al Pd rompere la gabbia di pregiudiziali che sembrano attenersi al vecchio paradigma della lotta alla corruzione, essendo il voto di preferenza, in questo distorto ragionamento moralistico, un ritaglio emblematico della tendenziale caduta di moralità e trasparenza nella vita pubblica. Vincere questo pregiudizio costituisce un titolo di merito per una forza politica che rivendichi il valore della libertà, facendone il cemento di una politica di apertura e inclusione per una vasta platea di elettori.
Giuseppe Fioroni
Il ritorno alle preferenze è cosa buona e giusta. E il dato più spettacolare di questo ritorno potrebbe essere che a spingere verso le preferenze sarebbero proprio quei partiti anticasta, come il M5s, che in passato le avevano demonizzate. Che spettacolo l’antipolitica che fa i conti con la realtà.