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La precisazione del Papa? In quarantena. Cultura al tempo del virus
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Comodo però poter battere Trump alle elezioni invece di doverci governare insieme
Giuseppe De Filippi
Ieri l’Economist, nella sua versione online, ha dedicato un approfondimento interessante al tema del pensiero conservatore ai tempi del trumpismo. L’Economist ha preso in prestito una ricerca condotta dal V-Dem Institute, un think tank con sede presso l’Università di Göteborg, in Svezia, e ha affermato una verità difficile da negare: i repubblicani americani hanno raggiunto un grado di populismo e illiberalismo sotto la guida di Trump come mai in nessun altro momento della storia recente del paese. Liberarsi di Trump, come hanno detto ieri su queste pagine Paola Peduzzi e Giuliano Ferrara in un favoloso monografico, sarebbe un sogno non solo per chi ha a cuore le coordinate non negoziabili di una democrazia liberale ma anche per chi ha a cuore le coordinate non negoziabili di un sano pensiero conservatore.
Al direttore - Insomma, il Papa ha precisato le sue affermazioni contenute nel film documentario “Francesco” presentato alla Festa del cinema di Roma. Il Pontefice non aveva alcuna intenzione di annunciare cambiamenti alla dottrina, ma parlava solo di leggi statali. Il montaggio del documentario ha fatto sì che fossero messe in fila, l’uno dopo l’altra, risposte a domande diverse che nulla c’entravano rispetto alla tesi del regista russo. Tutto bene, dunque, quel che finisce bene. Anche se la precisazione arriva con due settimane di ritardo, nel silenzio dei media vaticani e con una letterina spedita dalla Segreteria di stato ai nunzi. Non proprio, dunque, una precisazione destinata a far rumore.
Ferruccio Anastasi
Precisazione messa in quarantena, diciamo.
Al direttore - Ieri, dopo la dolorosissima notizia della morte di Gigi Proietti, ho visto rimbalzare su molti media una sua frase brillante: “Benvenuti a teatro, dove tutto è finto ma niente è falso” e non ho potuto fare a meno di applicarla alla drammatica situazione che il mondo della cultura, suo malgrado, sta attraversando. Non è falsa, infatti, la manifestazione che il 30 ottobre in piazza Santissima Annunziata ha visto alcune centinaia di lavoratori del mondo dello spettacolo darsi appuntamento per una manifestazione di testimonianza, più che di protesta. Non è falso il loro appello, fatto senza gridare, senza offendere e lontano da qualsiasi forma di violenza, che ci ricorda come, a causa delle ultime limitazioni contro il dilagare della pandemia, si sono trovati a casa senza un’occupazione e, in alcuni casi, senza soldi e prospettive. E non è falso il dolore lancinante che tutti proviamo nel vedere teatri e cinema chiusi da oltre una settimana. Le misure restrittive decise dal governo, e che saranno con ogni probabilità inasprite dal nuovo imminente dpcm, hanno messo a durissima prova il mondo dello spettacolo dal vivo e il mondo della cultura in generale. Tuttavia, non mi ritrovo nelle polemiche e nelle recriminazioni. Da amministratore pubblico l’unico mio pensiero è quali decisioni possa io prendere per lenire questa situazione e tamponare, nei limiti del possibile, la crisi di un settore così fragile. All’indomani del dpcm ho previsto di destinare da subito 350 mila euro, inizialmente riservati all’inverno fiorentino, una nuova rassegna che avrebbe ripagato di un’estate mancata, a teatri, sale di spettacolo e associazioni in difficoltà a cui chiederemo di proporre iniziative fruibili solo digitalmente. Ma purtroppo so bene che questo non basta. Di fronte a quei portoni chiusi non posso fare a meno di ricordare l’esempio del teatro della Pergola, primo in Italia ad aver spalancato le sue porte agli studenti di alcune scuole medie cittadine in cerca di spazi sicuri alla luce delle misure di contenimento del virus. E se, come sosteneva Einstein con una provocazione, “L’istruzione è ciò che resta dopo che uno ha dimenticato tutto quello che ha imparato a scuola”, chissà che agli alunni che hanno la fortuna di fare lezione, e quindi di abitare gli ambienti solcati, tra gli altri, dalla Duse e De Filippo, non “resti” appunto qualcosa in più da questa esperienza di contaminazione: un sapore, una curiosità, magari la passione per un mondo che fino a qualche mese prima avevano vissuto come distante. Se teatri e cinema devono – al momento – stare chiusi allora perché non provare a metterli a disposizioni di corsi, prove, formazione, insomma perché non immaginarne anche un utilizzo alternativo da definire in accordo con i comuni? Un teatro o un cinema, dati i vasti spazi, possono essere un luogo sicuro dove svolgere molte funzioni di rilevanza sociale. Questo servirebbe a non dimenticare che i luoghi della cultura, così come la scuola, sono strumenti essenziali per la maturazione di una coscienza civile e di un pensiero critico. Il lockdown della scorsa primavera ha messo a nudo la fragilità di questo nostro mondo e reso visibili anche alcune storture, soprattutto dal punto di vista delle tutele. Penso sia giunto il momento di mettere concretamente mano a una legge che chiarisca finalmente ruoli, competenze e tuteli i moltissimi lavoratori. Chiedo al governo che le nuove misure durino lo stretto indispensabile a consentire alla curva epidemica di calare: il mondo dello spettacolo si è adeguato subito, con grande senso di responsabilità e di rispetto, ma altrettanto rapidamente dovrà arrivare un sostegno economico con un piano di medio e lungo termine per il ristoro per teatri e cinema. Infine una proposta: mi piacerebbe che Firenze con i suoi professionisti, operatori, artisti e produttori potesse ospitare – a tempo debito – gli Stati generali sulla musica dal vivo annunciati dal ministro Franceschini. Sono sicuro che la nostra città, tra l’altro prima in Italia ad eliminare la burocrazia per gli spettacoli sotto i 200 spettatori, potrebbe dare un contributo fattivo e rilanciare un settore falcidiato dalla pandemia. In piazza venerdì scorso i lavoratori hanno intonato il “Va’ Pensiero” del “Nabucco” (tra di loro c’erano anche i coristi del Maggio musicale fiorentino), poi è calato il silenzio. Quello che non avremmo voluto, quello che è pronto ad avvolgere le nostre vite private dell’arte, un silenzio che cercheremo di scalfire con la promozione di eventi ed esibizioni digitali ma che auspichiamo duri davvero il meno tempo possibile. Ci saremo di nuovo, in piazza, quando questa pandemia sarà solo un brutto ricordo, per tornare a dare il nostro “benvenuto” alla vita, in tutte le sue forme.
Tommaso Sacchi, assessore alla Cultura di Firenze