La riscossa del renzismo a quattro anni dalla fine del renzismo

Le lettere al direttore del 2 dicembre 2020

    Al direttore - Centrodestra unito: sì e no al Mes.

     
    Giuseppe De Filippi


     
    Al direttore - Troppo e purtroppo abituati a dare per scontato ciò che scontato non è, con le restrizioni conosciute causa Covid-19 abbiamo riscoperto il valore della libertà nei suoi aspetti minimali. Se riteniamo già un’ingerenza il divieto di uscire dal comune di residenza, il confinamento domestico è un’imposizione insopportabile. “Ci hanno messi ai domiciliari”, si sente dire. E per di più senza condanna. Ma cosa succede là dove la pena si sconta veramente? Come ha puntualmente evidenziato il Foglio, si registra una inspiegabile reticenza nel conoscere la cifra esatta dei casi di positività al Covid nelle carceri italiane. Solo mercoledì scorso, sollecitato da un’interrogazione, il ministro Bonafede ha dato i numeri: 826 detenuti, 1.042 operatori penitenziari, 72 amministrativi. Ci stiamo pericolosamente avvicinando a quota duemila. La situazione è emergenziale in molti istituti, e non potrebbe essere altrimenti visto l’annoso fenomeno del sovraffollamento carcerario. Al 31 ottobre a fronte di una capienza di 50.533 posti i detenuti erano 54.868, tremila in meno rispetto al marzo scorso. Un sovraffollamento che, combinato con alcuni casi di positività in carcere, spinse allora il governo a varare provvedimenti finalizzati ad agevolare, a determinate condizioni, il ricorso ai domiciliari. Una norma timida ora reiterata, con alcune modifiche, ripetendo una strategia certo non risolutiva. Superata l’emergenza sanitaria rimarrà sul tavolo l’atavica emergenza carceraria. I numeri sopra citati, depurati degli effetti temporanei dei ripetuti decreti, ci dicono che poco o niente è stato fatto. Vale la pena ricordare che dei 50.533 detenuti sono solo 36.457 i condannati con sentenza definitiva. Per i restanti 14 mila è applicata la carcerazione preventiva. E vale la pena anche ricordare che tra la popolazione carceraria ci sono 31 madri con 33 figli al seguito, di cui solo la metà negli Icam. Che fare, dunque? Due gli scenari prospettati, tra loro alternativi: realizzare nuove carceri o applicare più ampiamente misure alternative alla detenzione. Credo sia il momento di abbracciare il principio di non contraddizione con un tertium datur. Nuovi e più degni penitenziari, maggior ricorso alle misure alternative, non escludendo – perché no? – provvedimenti di amnistia o indulto. Da qualche parte bisogna pur partire. Purtroppo questo governo non ha visione, e lo si comprende dal pantano nel quale ristagnano le riforme del processo civile e penale e dell’ordinamento penitenziario, oltre alla mancata soluzione dell’obbrobrio della cancellazione della prescrizione, sublime prodotto del governo del cambiamento. Ancora oggi pare evidente che ci si muova ispirati da un populismo penale, un orientamento neoretributivo che considera il carcere come unica risposta. Un orizzonte ben lontano dai princìpi sanciti dall’articolo 27 della Costituzione.


    Franco Dal Mas, esponente di Forza Italia, avvocato e relatore della legge sulla Giornata in memoria delle vittime degli errori giudiziari



    Al direttore - Leggendo l’inserto del Foglio di sabato scorso ho scoperto che sono già in batteria ben quattro libri quattro che, diciamo, commemorano la data di nascita di quello che sarebbe diventato il più grande Partito comunista dell’occidente democratico e cioè il 4 dicembre 2016. Ops, scusi la gaffe, volevo dire il 21 gennaio 1921. Il 4 dicembre 2016 in realtà è la data della bocciatura di un referendum di riforma costituzionale, dove anche i “superstiti” di quel partito hanno dato un contributo per il progresso del paese.

     
    Valerio Gironi

     

    A proposito di quella data. Il 4 dicembre del 2016 ha coinciso con l’inizio della fine del renzismo. Ma quattro anni dopo quella data a far vivere il renzismo oggi sono i suoi avversari. Si doveva distruggere il Jobs act e ora si capisce che senza il modello Jobs act non si può ricostruire l’economia del Mezzogiorno (chiedere al ministro Provenzano). Si doveva distruggere Industria 4.0 (troppi favori agli imprenditori) e invece oggi persino i nemici di Renzi (e di Calenda) stanno facendo di tutto per cercare di recuperare ciò che si provò a distruggere con il primo governo Conte. Si doveva combattere il berlusconismo e invece oggi anche il M5s capisce che il modello Berlusconi è ciò che di più presentabile può offrire la destra italiana. Si doveva archiviare il Patto del Nazareno e oggi invece si cerca di farlo rivivere sotto mentite spoglie. Si doveva superare tutto ciò che si portava con sé il referendum del 2016 e invece oggi anche i più acerrimi nemici di Renzi riconoscono che la clausola di supremazia che sarebbe stata introdotta con il sì al referendum del 2016 oggi in tempi di pandemia farebbe molto comodo. Dal punto di vista elettorale, il renzismo vale poco. Dal punto di vista politico però quelle idee non hanno mai fatto così tanta breccia nei suoi avversari.


     
    Al direttore -  Le attuali limitazioni alla circolazione per la zona arancione impediscono la circolazione al di fuori del paese o della città di residenza o di domicilio. Io che abito a Lovere (Bg), con una superficie di 8 chilometri quadrati di cui all’incirca 6 di montagna difficilmente percorribili, posso spostarmi da casa per poco più di un chilometri per non superare i confini del paese mentre chi abita ad esempio a Roma può spostarsi su di una superficie di oltre 1.200 km quadrati. Non mi sembra per nulla giusto né logico. Se se si vogliono mettere dei limiti agli spostamenti per contrastare la diffusione del Covid-19 sarebbe più giusto e più efficace porre un unico limite di X chilometri dalla propria residenza o domicilio che valga per tutti.

     
    Pietro Volpi