Al direttore - Capisco che Renzi e D’Alema, ospite Bettini, dopo due scissioni tra loro assonanti anche nel fallimento degli esiti, debbano descrivere l’eventuale “ritorno” al Pd come “nuova Cosa”, cantiere (parola eterna a sinistra, che evoca i fasti della Salerno-Reggio Calabria), quarta via (visto che pure la terza è fallita). E’ l’eterna, forse inevitabile, prosopopea epocaleggiante, la hybris e il vizio della sinistra: dipingere come memorabili le contingenze, descrivere con superlativi l’ovvietà, il banale, l’evento circoscritto. Qual è l’eventuale rientro da scissioni non paganti. Capisco pure che trovare sintonia a sinistra, nella tristezza di oggi, è possibile se si parla magari di Biden e di Blair o Corbyn o Macron, ma si evita ogni tema di merito dell’attualità italiana: dai 5 stelle, all’Europa, all’economia, alla riforma delle istituzioni, al Covid, al vaccino, alla legge elettorale, eccetera. Temo che la retorica palingenetica li perderà. Loro devono solo mettere una pezza a scelte sbagliate (le scissioni), ma la grandiloquenza, la pomposità – malattia, non infantile né senile, ma genetica della sinistra – li porterà a sbattere: pretenderanno che il Pd per accoglierli, magari, faccia un auto da fé. E, allora, non se ne farà nulla. E pure il piccolo vantaggio (allargare un po’ il Pd), temo, si perderà. Capisco tutto questo. Li conosco. Non capisco, lo confesso, D’Alema. Alle soglie dei 100 anni del Pci, un reduce come me si aspetterebbe un accenno (almeno) nel mondo della sinistra, di un discorso “togliattiano” sull’Italia: dove sta andando lo stato in questo nostro paese? Un po’ lo sta facendo Veltroni (sul Corriere della Sera) ma a modo suo: ecumenico, buonista, troppo prepolitico. Alla fine: privo di sbocchi. Dove ci ha portato la ginnastica scissionista a sinistra? Ad abbandonare ogni disegno di “grande riforma”, a subire il progressivo ingessamento nelle tare delle istituzioni italiane (il bicameralismo perfetto, la confusione stato-regioni, l’autonomismo imperfetto, la cancrena della burocrazia). Ci aspetta, ben che ci vada, una lunga alternanza di governi deboli, precari, instabili, come gli ultimi due anni? Sia che li faccia la destra sia che li faccia la sinistra. Può aversi la ricostruzione economica senza ricostruzione dello stato, della sua efficienza ed efficacia e con una debole governabilità? E’ questo un problema della sinistra (qualunque sia la sua composizione in figurine) o di tutta la geografia politica del paese? Possono coesistere new deal economico e guerra civile (a parole) in politica? Come usciamo dalla morsa del debito? Con il sovranismo infantile e suicida anti Mes di mezza politica italiana? O con una strategia di ridisegno del conto economico dell’Italia? Con quali gambe? Da Renzi non mi aspettavo questo discorso (che un giorno fu quasi suo): troppo giovane, spregiudicato e ambizioso per distinguere la strategia dalla tattica (intesa come le singole persone e il loro posizionamento). Ma da D’Alema… Da lui per esperienza, cultura e standing ci si aspetta non un discorso sulla sinistra (questa palestra di sedicenti e wannabe, desideranti tali, direbbero gli inglesi) ma un discorso sull’Italia, “nazionale” (avrebbe detto il comune vecchio amico Alfredo Reichlin), costituente. Ci rassegniamo ai governi deboli, alla mediocrità come sistema o serve lo spirito, postbellico e unitario, delle riforme politiche ed economiche? E con quale assetto del governo si fa questo? Ecco: io fossi il Pd, senza alterigia ma nemmeno timidezza, parlerei così a Renzi e D’Alema.
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