Al direttore - Un giorno di quarantacinque anni fa Pasolini scoprì il Palazzo. Si scrive con la maiuscola come il Castello di Kafka ma non gli assomiglia, perché è troppo cupo per il nostro festevole carattere nazionale. Da noi il Palazzo è sempre stato una corte, qualche volta dei miracoli, spesso di manovre più o meno oscure. Tuttavia, per la sua ubicazione sui colli di Roma, notoriamente dal clima temperato, non sarà mai un Palazzo d’Inverno. E’ quello che ancora non sembra aver capito il presidente del Consiglio, pure non certo sospettabile di bolscevismo. Nel suo discorso al Senato, Matteo Renzi lo ha allora ammonito con encomiabile franchezza a non coltivare ambizioni fuori della sua portata. Con la classica mossa del cavallo, da lui sempre prediletta, il senatore di Rignano ha così rovesciato il tavolo. Il “grazie a me” di ieri si è quindi convertito in un minaccioso “senza di me” di oggi. Niente paura, però. In qualche misura, Giuseppe Conte farà retromarcia sulla gestione e sulla distribuzione dei quattrini europei, e il governo continuerà a vivacchiare nella sua stabile instabilità. Nel frattempo il Pd, che voleva “unire due case” e “mescolare due popoli” (copyright, rispettivamente, di Dario Franceschini e di Goffredo Bettini), assiste impotente, per una sorta di legge del contrappasso, alla dissoluzione del suo principale alleato, il “movimento dal populismo gentile” (copyright di Massimo D’Alema). Riconsiderare, please, i soggetti del nuovo – e mitico – campo riformista.
Michele Magno
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