Le fatwe manettare. Trasformare il passo indietro in un atto di responsabilità
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 23 gennaio 2021
Al direttore - Recount in Lombardia e cambia colore, invidia Trump.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Condannato, imputato, indagato… l’asticella etico-giudiziaria si abbassa. Maria Elena Boschi ha elegantemente respinto la proposta del ministero della Giustizia con un ironico: “Non posso, sono indagata”. Ieri Repubblica titolava “Grandi Opere, quanti indagati tra i nuovi commissari”, e giù l’elenco di chi non può guidare la realizzazione di importanti infrastrutture non perché non ne abbia i requisiti tecnici, ma perché, appunto, “indagato”. Ma la chicca (in cauda venenum) viene alla fine: “Per la Diga Foranea di Genova è stato scelto il presidente dell’Autorità portuale del Mar Ligure occidentale, Paolo Signorini, mai coinvolto in pesanti indagini, ma su cui nel 2015 proprio i pentastellati scrissero sul blog delle stelle” eccetera. Già fa schifo che un uomo venga considerato pubblicamente indegno perché “iscritto” nel registro degli indagati, ma esporlo alla condanna sulla piazza mediatica (l’unica che ormai purtroppo conta) perché di lui si è “scritto” in un blog ripugna sino al vomito. Ieri un editoriale del Foglio diceva che non si può affidare la doverosa e necessaria riforma della giustizia ad Alfonso Bonafede, ma da direttore “responsabile” (aggettivo svuotato di ogni senso nel suo uso corrente e corrivo) lei affiderebbe la cronaca giudiziaria a chi si abbevera a queste fonti?
Ubaldo Casotto
Visto il tanfo generato dalle fatwe manettare, forse faremmo bene a chiamarlo il blog delle stalle.
Al direttore - “Honi soit qui mal y pense” è il motto dell’Ordine della Giarrettiera (un’onorificenza di antiche tradizioni britanniche): un principio che, in uno stato di diritto, deve essere sempre ribadito, ut iustitia fit, in difesa dell’autonomia della magistratura nella sua lotta indefessa contro la criminalità. Nulla da dire allora per le indagini del procuratore Nicola Gratteri riguardanti il segretario dell’Udc, Lorenzo Cesa, anche se hanno posto problemi, in un momento delicato, al precario quadro politico del paese. Supponiamo, però, che questa legittima iniziativa determini una catena di effetti tali da portare alla caduta del governo e alle elezioni anticipate; e, magari, a un nuovo indirizzo della politica nazionale. Facciamo anche il caso che, tra qualche mese (o qualche anno) un giudice accerti (come capita frequentemente nelle indagini di Gratteri) un’eventuale inconsistenza delle accuse. Sarà possibile, caro Cerasa, mettere riparo a errori giudiziari che hanno ipotecato la storia di un paese? Si dirà che non è la prima volta e che in altre occasioni i danni sono stati ben più gravi. E’ la giustizia, bellezza!
Giuliano Cazzola
Al direttore - A Pechino è partito un ciclo di test di massa anti Covid-19 per un totale di quasi 2 milioni di persone. Il distretto di Dongcheng, leggo sui giornali, ha organizzato un programma per controllare tutti i suoi 790 mila residenti tra oggi e domani. Quello vicino di Xicheng, che conta circa 1,14 milioni di abitanti, si è organizzato per completare un piano simile nello stesso periodo di tempo, allo scopo di contrastare i rischi dei casi importati di coronavirus. Che aspetta l’Italia a fare lo stesso?
Franco Razzoni
Ho letto ieri sul Corriere, in un articolo di Stefano Montefiori, una cronaca bellissima dello sfogo offerto da Emmanuel Macron, giovedì pomeriggio, agli studenti del campus di Saclay, appena fuori Parigi: “C’è questa specie di caccia incessante all’errore. Siamo diventati una nazione di 66 milioni di procuratori. Ma non è così che si affrontano le crisi e che si avanza. Tutti sbagliamo, tutti i giorni. Non sbagliano mai solo quelli che non fanno niente o che ripetono, meccanicamente, le stesse cose”. In una pandemia, non esistono modelli perfetti, esistono solo modelli imperfetti che provano a imparare ogni giorno dai propri errori. E imparare dai propri errori significa anche questo: significa capire, come suggerisce anche lei, che il momento giusto per fare screening di massa non è quando le cose si mettono male, ma quando non vanno troppo male. I vaccini non dipendono da noi, l’organizzazione sì e i test di massa si possono fare: basta solo volerlo.
Al direttore - Rimarginare la sanguinante ferita dei rapporti degli attuali partiti della maggioranza con Renzi (mi riferisco al Foglio del 22 gennaio) non sarebbe affatto facile. Se avvenisse anche solo un tentativo di suturazione oggi, dopo le accuse alla Torquemada pronunciate dall’ex presidente del Consiglio e le risposte, pur pacate, di irresponsabilità, il confronto parlamentare verrebbe visto come un teatrino di avanspettacolo, ben oltre il cinismo dimostrato dalla politica in diverse circostanze. Il discredito avvolgerebbe tutti i protagonisti di questo improvvido tentativo di chirurgia d’urgenza e, per l’effetto-alone, potrebbe estendersi a tutta la classe politica dirigente. Non è proprio quello di cui il paese ha bisogno, mentre si lotta contro la pandemia. Qui Machiavelli non c’entra affatto. Saremmo oltre ogni possibilità di giudicare una tale azione niente affatto esaltante. “Malo non alia mala addere”. Altra cosa sarebbe il ricompattarsi nel Pd o comunque in un rapporto ben diverso con il Pd di singoli componenti Iv i quali con resipiscenza ritenessero di ritornare sulla “diritta via”.
Con i più cordiali saluti.
Angelo De Mattia
Non c’è brutta figura che non possa essere spiegata trasformando il passo indietro in un atto di responsabilità.
Al direttore - Se l’alternativa fossero le elezioni, i parlamentari del M5s sarebbero compatti nel votare un monocolore Udc con Cesa premier.
Fausto Panunzi