Non si può banalizzare lo storico viaggio del Papa in Iraq
Le lettere del 5 marzo al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Be’ Bonaccini almeno una cosa l’ha fatta riaprire.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Nella quasi totale indifferenza delle nazioni la chiesa, ai più alti livelli, continua a far sentire la sua voce per i fatti che stanno accadendo in Myanmar, paese dove tra le altre vive la minoranza islamica dei rohingya ripetutamente perseguitata in passato. Sarebbe stato bello leggere e sentire gli stessi appelli quando gli scherani del regime di Pechino manganellavano e reprimevano a tutto spiano i manifestanti di Hong Kong, tra cui molti incidentalmente cattolici. Ma non è successo. Ed è un peccato. Poi certo bisogna contestualizzare e non va fatta di tutta l’erba un fascio eccetera eccetera. Tutto vero e giusto. Resta il fatto che è forte l’impressione che certe prese di posizione risentano della politically correctness che impone la condanna di ogni atteggiamento vagamente islamofobo, e che viceversa in ossequio alla stessa politically correctness – oltre a evidenti quanto discutibili ragioni di opportunità politica – si preferisce soprassedere quando ci sono di mezzo cattolici invisi al regime di turno. E non va bene.
Luca Del Pozzo
Tutto vero. Ma in queste ore forse è più interessante concentrarsi sull’Iraq. Il Papa forse non userà le stesse parole scelte due giorni fa dal patriarca siro-cattolico di Antiochia, Ignace Youssif III Younan, per fotografare il dramma dei cristiani perseguitati in medio oriente, “genocidio”, ma il fatto che Francesco abbia scelto di essere lì, in un paese distrutto dalle conseguenze dell’islamismo estremista, è un gesto importante, che va valorizzato e non banalizzato.
Al direttore - Marco Minniti lascia il seggio alla Camera e chiude con l’impegno politico diretto. Assume la guida di Med-Or la fondazione di Leonardo. Marco conosce le questioni che saranno oggetto del suo nuovo lavoro, ha accumulato una solida esperienza nel campo. Credo farà bene. C’è tuttavia da rammaricarsi per questa scelta. Marco da ministro dell’Interno aveva affrontato con efficacia e serietà una questione spinosa come l’immigrazione. Era inevitabile che su una vicenda di tale complessità si confrontassero orientamenti diversi e si producessero reazioni di timbro e tono diversi. Resta il fatto che il lavoro di Minniti aveva suscitato l’apprezzamento degli italiani e consentito di raggiungere alcuni risultati. C’era qualcosa da cambiare, da modificare nella linea seguita da Minniti? Non se ne è voluto discutere. Quasi fosse meglio archiviare il lavoro compiuto da Marco. Non parlarne. Né credo vi sia stato un sostegno del Pd all’ipotesi autorevolmente presa in considerazione dal vicepresidente della Commissione europea di un impegno di Minniti quale rappresentante dell’Ue in Libia. Si è fatto finta di ignorare questa possibilità. Minniti è scomparso dalla vicenda politica del Pd. Quasi come quando, per fortuna in epoca molto lontana, in Urss si cancellavano dalle foto i personaggi scomodi e gli “eretici”. Anch’io mi auguro come fa Giuliano Ferrara che “il Pd se la cavi”. Comportandosi in questo modo temo sia sempre più difficile cavarsela, ahimè.
Umberto Ranieri