L'ora di semplificare l'arabesco che separa innovazione e burocrazia
Le lettere al direttore Claudio Cerasa del 2 aprile 2021
Al direttore - Il trio europezza.
Giuseppe De Filippi
Al direttore - Ci risiamo. Con la recente sentenza del Consiglio di stato, viene annullata la possibilità di costituire le startup con una procedura online. Il Consiglio di stato accoglie le obiezioni del Notariato e costringe le iniziative imprenditoriali più innovative (e quindi a maggior potenziale di crescita) a sottostare a procedure pensate nel secolo scorso. Non voglio criticare la sentenza, non ne ho le competenze. Anzi, scommetto che, in punta di diritto, come quasi sempre, il Notariato abbia ragione. Ma il punto è proprio questo: una istituzione importante, credibile, affidabile, come il Notariato, da quindici anni ha perso di vista l’interesse generale e ha iniziato una battaglia di retroguardia, agendo solo a tutela degli interessi della categoria. Hanno usato tutte le loro armi, intellettuali e relazionali, contro ogni semplificazione: autoveicoli, cancellazioni di ipoteca, cessioni di quote, portabilità dei mutui, atti telematici. A marzo dello scorso anno, se non fosse intervenuta la Ragioneria dello stato in extremis, avremmo rischiato la sostanziale chiusura di tutti gli studi notarili per emergenza Covid, con il conseguente blocco del mercato immobiliare, a causa di una norma promossa dal Notariato stesso, pronto a fermare tutti i notai per mesi, piuttosto che concedere che alcuni atti si potessero fare, almeno parzialmente, “a distanza”, con notai tecnologicamente adeguati. E lo hanno fatto, ogni volta, agitando i fantasmi dei rischi legali a cui si andava incontro, dipingendo scenari di totale perdita di controllo. E, ogni volta, quando alla fine, a forza di tentativi osteggiati, le riforme sono andate in porto, le profezie nefaste non si sono materializzate. La verità, evidente a tutti, è che queste riforme impattano negativamente solo gli interessi economici dei notai. Hanno ridotto di quasi l’80 per cento il numero di atti per cui si va dal notaio e dimezzato il fatturato medio dei notai. Intendiamoci, la difesa del proprio reddito è sacrosanta, come gli interessi di tante categorie, professionali e non. Ma la battaglia non è stata condotta in campo aperto, ci si è rifugiati in tecnicismi sempre più lontani dal sentire comune, in un “luddismo giuridico” che ha prodotto il risultato di ledere agli occhi del pubblico, il vero asset che valeva la pena di difendere: il “prestigio” e l’“affidabilità” della figura del notaio. In parallelo, di fronte a un volume di affari della categoria che si riduce, il Notariato ha cercato, nonostante l’abolizione delle tariffe, di evitare che i professionisti più innovativi e competitivi lavorassero più degli altri, finendo spesso per essere censurato dal Garante per la concorrenza, nuovamente ledendo l’immagine dell’istituzione agli occhi di tutti noi. A me, che sono un imprenditore digitale che lavora tanto con i notai, è evidente che sono una risorsa non solo per l’Italia ma per l’Europa. In un mondo digitale i notai e le Camere di commercio sono un’infrastruttura legale “di garanzia e raccordo” che fornisce all’Europa un vantaggio competitivo immenso, difficilmente colmabile anche nel lungo periodo. Occorre tuttavia uno sforzo coordinato di ripensamento dei ruoli, per governare il passaggio dalla carta al digitale, e il neo-istituito ministero può esserne il promotore. Vanno evitati questi inutili conflitti fra interessi di parte, che creano incertezza e danni per tutti. In primis, ai notai. Perché, altrimenti, prima o poi qualcuno darà una spallata più forte e avremo perso un’istituzione di valore e distintiva, come il Notariato latino.
Alessandro Fracassi
Diceva Flaiano che in Italia la linea più breve tra due punti è l’arabesco. Compito di una classe dirigente con la testa sulle spalle – classe dirigente che avrebbe bisogno, ancor prima di una full immersion di innovazione, di una full immersion di Franz Kafka – dovrebbe essere quello di fare ogni giorno qualcosa per avvicinare i punti, non di fare ogni giorno qualcosa per rendere l’arabesco un po’ più barocco del giorno prima.
Al direttore - Durante la “Cena Trimalchionis”, l’unico grande frammento superstite del “Satyricon” di Petronio, tra portate sfarzose e goffe esibizioni poetiche del padrone di casa i convitati – liberti arricchiti, funzionari municipali corrotti, mogli vanesie e tiranniche – discettano a ruota libera di politica e cultura, lamentando la decadenza dei costumi nell’epoca neroniana. A un certo punto del luculliano banchetto prende la parola Echione, uno straccivendolo. Mestiere che allora aveva un’importante funzione sociale. A Roma, infatti, il “collegium centonarum” (una sorta di associazione di pompieri) usava gli stracci (“centones”) per spegnere gli incendi. Rivolto all’unico intellettuale presente al simposio, il retore Agamennone, Echione gli chiede col suo linguaggio sgrammaticato: “Quia tu, qui potes loquere, non loquis?” (“Perché, tu che sai parlare, non parli?”). Oggi forse avrebbe fatto la stessa domanda agli intellettuali di Libertà e Giustizia, che sull’affaire Gratteri hanno rinunciato alla loro proverbiale indignazione contro tutti i (presunti) nemici della democrazia: “Perché tacete? Per codardia o convenienza?”.
Michele Magno
Al direttore - E’ significativo quanto sia accaduto in Parlamento in sede di approvazione del Recovery plan presentato alle Camere nella struttura delineata dal “Conte 2”. Anche dalle cronache emerge che ciascun partito della maggioranza ha trovato il modo per inserire nella relativa risoluzione le parti che interessano al proprio elettorato. Insomma, si è arrivati a un “do ut des” fra i diversi gruppi politici. La distanza è enorme se si confronta ciò con l’intervista, pubblicata sul Foglio del 1° aprile di Luciano Capone a Mario Nava, titolare della Direzione generale Reform della Commissione Ue: un personaggio di grande competenza che insiste sulle riforme e, in particolare, su “green” e su “digital” e ci tiene a sottolineare che il Recovery fund è, invece, da denominare “Recovery and Resilience Facility”. Resta, poi, ancora solo accennata, nell’intervento del ministro dell’Economia Daniele Franco, la previsione di una struttura centrale di coordinamento dell’attuazione del “Recovery”. Poiché i termini di presentazione a Bruxelles del piano in questione si stanno restringendo, si spera che vi sia un momento, prima della formale presentazione in Parlamento, nel quale si possa sapere qualcosa in più del Recovery, in omaggio dovuto alla trasparenza e al giusto ruolo del governo che non è quello del mero collettore di richieste dei partiti del tipo indicato. E’ vero: “Maiora premunt”. Bisogna dare l’assoluta priorità all’azione di contrasto della pandemia. Ma ciò non significa trascurare la formazione del Recovery plan.
Angelo De Mattia