Procure e manie di protagonismo. Pensare alle cose serie, non ai complotti
Le lettere al direttore del 15 marzo 2021
Al direttore - Quindi c’è mancato niente che Ciampolillo sventasse un complotto mondiale?
Giuseppe De Filippi
Al direttore - “Non escludo che possano essere indagati esponenti del ministero della Salute”. Sono le parole clamorose che il pm di Bergamo Maria Cristina Rota ha consegnato alle telecamere di “Report” aggiungendo che i dirigenti sentiti come testimoni erano stati “molto reticenti”. Insomma siamo ai preannunci in tv sul registro degli indagati, una sorta di violazione del segreto istruttorio di fatto. Già all’inizio dell’inchiesta, la stessa pm rispondendo alla domanda su chi dovesse decidere sulla zona rossa aveva detto: “Il governo”. Poi, dopo gli interrogatori a Roma, aveva spiegato che la risposta era riferita “allo stato delle nostre conoscenze”. Ma questo non l’aveva detto all’epoca. La mania di protagonismo fa male alle indagini. Non si capisce poi perché una procura che lamenta di continuo la carenza di organici non si decida a trasmettere gli atti a Roma, competente per le indagini sul ministero. Non ci vuole un giurista per sapere che non può farlo la procura di Bergamo in un’indagine dove comunque non sarà facile provare il nesso di causalità tra le mancanze del piano pandemico e i morti.
Frank Cimini
Piuttosto che urlare al complotto contro Roberto Speranza come sta facendo in queste ore il centrosinistra (il complottismo, come scritto ieri magnificamente da Salvatore Merlo, di solito è il rifugio dei cretini) bisognerebbe avere il coraggio di dire quello che oggi il Pd non sembra avere il coraggio neppure di pensare. Sul caso delle indagini di Bergamo, la politica può restare o no indifferente rispetto alla possibilità che il potere giudiziario sia legittimato a sindacare sulle legittimità delle scelte del potere esecutivo, in assenza di una qualche forma di dolo o di colpa grave da parte dello stesso potere?
Al direttore - I partiti hanno perso un’altra occasione per dimostrare che “fuori i partiti dalla Rai” non è per loro solo un slogan da sbandierare quando sono all’opposizione. Un governo sostenuto da pressoché tutto l’arco parlamentare avrebbe potuto portare all’approvazione in poche settimane di una legge di riforma della Rai basata su tutte le sentenze della Corte costituzionale e sulle indicazioni del Consiglio d’Europa. Invece, hanno preferito applicare ancora una volta la legge Renzi: quindi una Rai controllata – a guinzaglio stretto – da governo e partiti. A questo punto, non resta che prenderne atto. E avanzare alcune semplici proposte: 1) non dico di più, ma almeno lo stesso tempo e parole che dedichiamo al totonomine, abbiamo il dovere di dedicarlo ai fini, agli obiettivi, alla missione del servizio pubblico; 2) il voto sui componenti del Cda eletti da Camera e Senato può e deve arrivare solo dopo un dibattito, adeguato e pubblico, sui curricula e i profili. Il nuovo Cda della Rai si insedierà in un contesto politico, economico e sociale assolutamente inedito. Nel pieno del tentativo del nostro paese di uscire dalla pandemia e di dare il via alla ripartenza. Poggiandosi su alcuni pilastri: la trasformazione tecnologica, la conversione ecologica, la coesione sociale e l’inclusione. Non basteranno i fondi europei per assicurare il successo di questa rivoluzione. Affinché riesca, serve una vera e profonda rivoluzione culturale. Serve quindi che la Rai si metta ancor di più al servizio del paese: il servizio pubblico può e deve essere la locomotrice culturale di questo passaggio storico. Una Rai riformata. Una Rai rilanciata. Una Rai liberata. E le lavoratrici e i lavoratori della Rai – come sempre – vogliono fare la propria parte. Anzi, vogliono essere protagonisti di questa fase. Che – lo ricordo – prevede anche, tra meno di un anno, il rinnovo del contratto di servizio. Per poterlo fare c’è una cosa che dobbiamo fare noi dipendenti e una che devono fare partiti e governo. Noi lavoratrici e lavoratori abbiamo il dovere dell’unità, abbiamo il dovere di superare gli steccati storici e presentarci al voto per il consigliere di amministrazione eletto dai dipendenti con una candidatura unitaria. Un atto di coraggio. E di responsabilità. Che chiedo, però, anche a partiti e governo. Occupate in cda i posti che la legge vi assegna: amministratore delegato e 6 consiglieri. E accettate la sfida di votare come presidente della Rai il consigliere eletto dai dipendenti. E’ l’unico non eletto da partiti e governi. E’ il segno tangibile dei dipendenti che si mettono in gioco e che vogliono assumersi la propria parte di responsabilità in questa necessaria rivoluzione al servizio del paese. E sono pronti a farlo schierandosi in prima fila, dal posto di garanzia che la legge e lo Statuto affidano al presidente della Rai. Nessuna rivoluzione comincia senza un atto di coraggio. Sono certo che le lavoratrici e i lavoratori sono pronti a farlo.
In questo momento, servirebbe anche dal governo e dai partiti.
Vittorio di Trapani, segretario Usigrai