Mario Draghi (foto Ansa)

lettere

Draghi e le nomine pubbliche. I servizi e il codice degli appalti

Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Superlega così liscia? Neanche un referendum?
Giuseppe De Filippi



Al direttore - Leggo con ritardo la pagina dedicata da Adriano Sofri a “I misteri di Eugenio Cefis”. Nella mia relazione sull’inchiesta P2 agli atti parlamentari dal 1984 (poi pubblicata in “P2: la controstoria”, SugarCo,1985) è contenuto un capitolo “Da Cefis a Gelli” con relativa documentazione. Non so se Sofri sia a conoscenza della relazione che capitò in mano a Pasolini quando lavorava a “Petrolio”, oltre che della pubblicistica corrente. Senza entrare nel dettaglio, accenno qui al filo principale di quella mia indagine: i gruppi dirigenti dei vari settori di malaffare conglomerati nella P2 erano gli stessi che Cefis aveva reclutato nel suo sistema occulto di potere prima all’Eni e poi alla Montedison: il servizio di informazione, fascicolazione e spionaggio legato al Sid (Miceli poi Maletti), il controllo della stampa (Albanese, Niutta, Ortolani), l’acquisto del Messaggero il giorno della vittoria del divorzio, poi la vicenda Corriere della Sera, il sostegno al “patto di palazzo Giustiniani” per la Dc culminato nel discorso all’accademia militare di Modena, la Guardia di Finanza con la questione dei petroli, le trame finanziarie in alcune delle maggiori banche nazionali… Quel che documentavo all’inizio degli anni 80 era che il sistema P2 fece un salto nazionale solo quando il sistema occulto in versione tecnocratica costruito da Cefis improvvisamente si trovò senza riferimento per l’abbandono dell’Italia del suo ideatore, per cui i vari spezzoni che facevano a lui riferimento (servizi, stampa, finanza, economia pubblica e privata…) trovarono nell’intelligenza ricattatrice di Gelli il nuovo punto di coagulo. Era il 1975 e solo allora la congrega piduistica entrò a far parte a tutti gli effetti dello stato non per sovvertirlo bensì per rafforzarne il lato illegale e affaristico, quindi possederlo dall’interno. Un saluto.
Massimo Teodori 



Al direttore - Se ne va con Gigi Covatta un socialista, un caro compagno, un uomo colto. Un carattere non semplice nascondeva la passione per le idee e il confronto. Lucido nelle sue analisi politiche, mai conformista. La sua esperienza politica avvenne nell’associazionismo cattolico, nella Intesa universitaria, palestra della futura classe dirigente politica italiana, nelle Acli di Livio Labor. Giunse al Partito socialista quando questi ritrovò, dopo un lungo appannamento, un rapporto con origini umanitarie e liberali della migliore tradizione socialista italiana.  Personalità come Gennaro Acquaviva, Gigi Covatta, Pierre Carniti hanno speso l’intera loro vita politica nel tentativo di avvicinare mondo cattolico e mondo socialista. Covatta sarà uno dei protagonisti del rinnovamento culturale e ideale del Psi. Un intenso lavoro che avrà nella conferenza programmatica di Rimini del 1982 il punto più alto di elaborazione con Claudio Martelli che proporrà l’alleanza riformatrice tra il merito e il bisogno e riprenderà la formula dell’eguaglianza delle opportunità. Temi ancora oggi centrali di una impresa tesa a ridare forza e capacità di attrazione alla sinistra.  Intorno a quelle idee si ritrovarono notevoli energie intellettuali. Covatta scrisse delle belle pagine sulla conferenza di Rimini e su come “governare il cambiamento”. Gigi era convinto che una sinistra culturalmente rinnovata dovesse in piena autonomia candidarsi alla guida del paese. Non a caso fu lombardiano nella dialettica interna al Psi ma comprese e sostenne il tentativo di Craxi di liberare i socialisti dalla doppia subalternità al Pci e alla Dc che ne avevano ridotto il ruolo e le ambizioni. Difese, dopo il crollo del Psi, la storia del socialismo italiano con fierezza e intelligenza. L’ultima sua impresa cui teneva molto fu la direzione di Mondoperaio la rivista storica dei socialisti. Ci incontravamo ogni anno ad Orvieto alla assemblea  di “Libertà eguale”, ci siamo sentiti più volte in questi tempi difficili, gli ho parlato l’ultima volta che l’ho sentito del centenario del Pci , evento cui dedicò un numero della rivista. Gigi soffriva delle chiusure in cui la pandemia costringeva, ne era ferito. Malgrado la sua introversione sentiva il bisogno di incontrare amici e compagni. Addio Gigi, riposa tranquillo.
Umberto Ranieri 



Al direttore - Con uno stimolante editoriale Ella ritorna, il 16 aprile, sul tema delle numerosissime nomine in imprese pubbliche, di diretta o indiretta competenza del governo, da decidere di qui alla fine dell’anno. Ricorda, prima, gli esponenti di grandi imprese e banche della specie che hanno avuto rapporti con la politica o rivestito cariche politiche, in particolare, Bazoli, Guzzetti, Palenzona. Ma si tratta di personaggi che hanno saputo svolgere molto bene e in autonomia dalla politica il loro lavoro, costruendo e innovando, in alcuni casi senza adeguati successori. In opposizione, Ella elenca una serie di alti esponenti che oggi non avrebbero rapporti con la politica o interesse per essa. Mi permetta, conoscendo bene quel mondo, di avere dei dubbi, almeno per qualche caso che, poi, non costituirebbe nulla di anomalo se si tratta di rapporti nella reciproca autonomia. Dove, però, Ella segnala una innovazione è quando afferma che sarà il premier Draghi a voler decidere “iure proprio” le principali nomine pubbliche. Certamente, è un bene che si superi, se così sarà, la visione spartitoria e la rete di sinallagma tra il dare e l’avere tra i partiti della maggioranza. Ma una decisione senza criteri e requisiti oggettivi, predeterminati e trasparenti, con una procedura adeguata e un riscontro parlamentare renderebbe il premier completamente corresponsabile di quanto farà il manager nominato, che sarà una propaggine della presidenza del Consiglio (la quale magari si riserverà anche il potere di revoca o, più rozzamente, di “cacciata”?). Non credo che il premier vorrà optare per una tale strada. Ricordo che, quando vigeva per la nomina dei vertici delle Casse di risparmio il potere di proposta vincolante della Banca d’Italia, il governatore dell’epoca, Carlo Azeglio Ciampi, provocò una interpretazione di tale potere come di presentazione di almeno una terna di nomi con i “curricula” (per il ministro del Tesoro), per non assumere l’esclusività della decisione riguardante soggetti sui quali la banca avrebbe poi vigilato. Con i migliori saluti.
Angelo De Mattia 


 

Al direttore - Il dibattito sul codice degli appalti sta finalmente uscendo dai palazzi. C’è un dossier dell’Antitrust all’attenzione del presidente del Consiglio Mario Draghi che, nelle more di una grande riforma del paese, vuole ridisegnare il grande bacino della spesa pubblica, oggi canalizzata per un buon 20 per cento proprio dallo strumento che ha bisogno certamente di un tagliando, un ripensamento, ma che sia il più possibile concertato. La strada indicata dal numero uno dell’Authority Rustichelli in tema di semplificazione, libera concorrenza e salvaguardia di lavoratori ci trova concordi, ma dobbiamo evitare ulteriori passi falsi, soprattutto se pensiamo di riformare il codice – o di sospenderlo – senza comprendere le reali esigenze degli operatori del mercato. Procedere con un’analisi delle specificità dei singoli comparti mi pare un passaggio innovativo nella ideale road map indicata da Rustichelli, ma per conto del mondo dei servizi, centrali per la ripartenza post pandemica, voglio dire oggi in maniera ancor più forte che dobbiamo essere ascoltati. Non per una difesa corporativa, ma per rigore filologico: sino a che si parlerà di codice dei “contratti pubblici di lavori, forniture e servizi”, dobbiamo fare capire che l’economia, lo sviluppo, l’occupazione non si muovono solo nei lavori pubblici, ma anche in quell’universo dei servizi integrati che fa il 70 per cento degli occupati in Italia. No alla deregulation, sì alla semplificazione burocratica che tuteli e sviluppi i servizi falcidiati da anni di dissennata spending review: bene guardare alla normativa europea, alle più avanzate direttive sul tema, in nome di quella certezza delle regole tanto auspicata. Dobbiamo puntare su fair competition e accountability: si deve fermare la concorrenza sleale e mettere in piedi un sistema di monitoraggio che coinvolga anche i cittadini nella valutazione dei servizi erogati. Occorre tagliare i veri sprechi, cancellare le migliaia di stazioni appaltanti, digitalizzare gli appalti e accorciare i tempi di affidamento dei contratti. Pensiamo che il fulcro della ripartenza sia il Pnrr, che deve vedere protagonisti anche i Servizi nella sua progettazione.
Lorenzo Mattioli, presidente Confindustria Servizi Hcfs 



Al direttore - In merito a quanto riportato nell’articolo “Tutti a casa” di Stefano Cingolani, pubblicato sabato scorso, si precisa che il brand Lycia viene attribuito al gruppo Artsana mentre è stato acquisito nel 2016 dal gruppo Sodalis.
Ufficio stampa Sodalis

Di più su questi argomenti: