La prudenza da insegnare al Weidmann “de la Madunina”

Le lettere del 23 aprile al direttore Claudio Cerasa

Al direttore - Non fai in tempo a mettere 2050 nel simbolo del Movimento che ti anticipano tutto al 2030.
Giuseppe De Filippi



Al direttore - Più passano i giorni più Matteo Salvini sembra il Weidmann del gabinetto Draghi. Quando l’attuale premier guidava la Bce, il Consiglio dei governatori prendeva delle decisioni e il giorno dopo il presidente della Bundesbank puntualmente se ne dissociava. Comportamento scorrettissimo secondo l’etica di un banchiere centrale. Mutatis mutandis il capo della Lega fa lo stesso con le scelte di Palazzo Chigi. Comportamento incoerente e di corto respiro elettorale per un politico di governo, soprattutto se si considera che il suo partito potrebbe trarre enormi vantaggi dal successo dell’esecutivo. Ma passi. La guerra tra il tedesco e l’italiano è durata anni e alla fine l’ha vinta Draghi. Il Weidmann “de la Madunina” oggi sembra ricalcare le orme di quello di Francoforte. Di Draghi si conosce l’aplomb, meno quello che vi è dietro. Vedremo come andrà a finire.
Marco Cecchini


Più passano i giorni, più si osserva l’atteggiamento che la Lega ha di fronte alla pandemia, più si constata come il leader della Lega voglia far trasformare la prudenza in una prerogativa della sinistra e più tornano alla mente vecchie frasi di Matteo Salvini che meriterebbero di non essere dimenticate. Frasi come quelle dette da Salvini nel giugno del 2020 (“Perché dovrebbe esserci una seconda ondata? Inutile continuare a terrorizzare”). Frasi come quelle dette da Salvini nel luglio 2020 (“Non c’è un’emergenza sanitaria in corso, chi vuole prorogare lo stato di emergenza è un nemico dell’Italia”). Frasi come quelle dette da Salvini nel dicembre 2020 (“Se a Natale sarà tutto chiuso, io uscirò lo stesso e pranzerò con i clochard. Tutti fuori a fare volontariato”). Frasi come quelle dette da Salvini nel marzo 2021 (“Tenere chiusi gli italiani dopo Pasqua, anche se la scienza dice che si può riaprire in sicurezza, sarebbe un sequestro di persona”). Prudenza non vuol dire essere comunisti, significa capire che differenza c’è tra essere una testa di rapa e avere la testa sulle spalle.


 

Al direttore - L’Armenia ha commesso un’aggressione contro il mio paese e tenuto sotto occupazione militare, per quasi tre decenni, il 20 per cento del nostro territorio, incluso il Nagorno Karabakh e sette distretti adiacenti dell’Azerbaigian, compiendo una pulizia etnica di tutti gli azerbaigiani lì residenti e causando oltre un milione di profughi azerbaigiani. Nell’autunno 2020 l’Azerbaigian, rispondendo a nuove provocazioni militari dell’Armenia, è riuscito a liberare i suoi territori occupati, in linea con le risoluzioni del Consiglio di sicurezza dell’Onu. La Guerra patriottica di 44 giorni è stata preceduta da moltissimi anni in cui l’Azerbaigian ha dimostrato il suo impegno per una soluzione negoziale del conflitto, che l’Armenia non ha mai accolto. L’Azerbaigian, grazie alla preparazione del suo esercito e agli investimenti in ambito militare, a seguito della crescita economica, è risultato vincitore. Ciò non è avvenuto con il sostegno militare di altri. Oggi siamo impegnati in un complicato processo di ricostruzione nelle aree liberate, reso più difficile dalla distruzione totale dei nostri territori da parte dell’Armenia e da un complicato processo di sminamento, aggravato dal rifiuto dell’Armenia di consegnare le mappe dei campi minati, causa di numerose vittime. L’Armenia ha introdotto sabotatori terroristi nei nostri territori, dopo la firma della Dichiarazione del 10/11/20, e continua a inviare illegalmente militari in Azerbaigian. Mi spiace che il vostro articolo taccia su tutto questo e descriva, in modo distorto e sotto influenza della disinformazione armena, il Parco dei Trofei militari, il cui scopo è far conoscere le armi dell’Armenia, usate per occupare i nostri territori e per colpire i civili durante la guerra, e mostrare, con manichini, l’atteggiamento barbarico della stessa verso i suoi militari, puniti perché intenzionati a fuggire. E’ pratica diffusa in ogni stato celebrare le vittorie militari, raggiunte grazie al sacrificio dei propri figli.
Mammad Ahmadzada,
Ambasciatore dell’Azerbaigian


Risponde Micol Flammini. A quanto risulta al Foglio il sostegno militare all’Azerbaigian c’è stato. Ma il punto dell’articolo non era tanto la guerra nel Nagorno-Karabakh, il suo svolgimento e gli schieramenti, quanto la costruzione di un museo che più che celebrare la vittoria di una guerra espone e mette in ridicolo la sconfitta dell’avversario. Esporre gli elmetti dei soldati armeni caduti non sembra rispondere al diritto di ogni stato di celebrare una vittoria militare, quanto piuttosto alla volontà di celebrare la morte dell’avversario. Allo stesso principio sembra corrispondere la decisione di esporre manichini caricaturali di soldati armeni incatenati. Ci auguriamo che la ricostruzione di cui lei parla possa avvenire in fretta e che un giorno possano esserci le condizioni per dei rapporti migliori tra Baku e Yerevan, in questo senso il Parco dei trofei militari non sembra un buon inizio.