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L'inutile mozione anti Speranza e il 25 aprile spiegato a Meloni
Chi ha scritto al direttore Claudio Cerasa
Al direttore - Le mozioni di sfiducia individuale sono come le sanzioni internazionali: quasi mai ottengono il risultato sperato, quasi sempre rafforzano l’avversario. La possibilità che il Parlamento sfiduci con un voto a maggioranza un singolo ministro è cosa piuttosto recente, una novità introdotta a metà degli anni Ottanta. Da allora sono state presentate 62 mozioni di sfiducia individuale, ne sono state messe in votazione 28, solo una è passata. A farne le spese fu, all’alba della cosiddetta Seconda Repubblica, l’allora ministro della Giustizia Filippo Mancuso. Era il 1995. Si capisce, dunque, che la principale funzione di una mozione di sfiducia individuale è alimentare l’ego di chi la propone più che minacciare l’incarico di chi ne è oggetto. Il quale, anzi, finisce il più delle volte per rafforzarsi, dal momento che la logica politica e il gioco delle parti obbligano il presidente del Consiglio in carica a difendere il “proprio” ministro più di quanto non avrebbe probabilmente fatto se l’opposizione non ne avesse reclamato la testa. A quel punto il ministro in questione diventa intoccabile. E’ quel che accadrà domani quando il Senato voterà la mozione di sfiducia individuale presentata da Fratelli d’Italia ai danni (o, per meglio dire, a beneficio) del ministro della Salute Roberto Speranza. E sarà un peccato. Peggio, un errore. Un peccato perché non verranno alla luce i passi falsi del precedente governo nel fronteggiare la pandemia; un errore perché focalizzando l’attenzione sulle responsabilità individuali del ministro Speranza c’è il rischio che, da giovedì, nessuno si curi più di mettere a fuoco le colpe del presidente del Consiglio allora in carica, delle istituzioni europee, degli organismi internazionali di vigilanza… Sarebbe, invece, importante appurarle. Ma non per sanzionare, per imparare. Perché comprendere gli errori del passato è il presupposto per non ripeterli in futuro. Un futuro che, in un mondo globalizzato dove ogni anno un quarto degli abitanti varca in aereo i propri confini nazionali e nessuno è ancora riuscito a imporre alla Cina il rispetto di standard sanitari “occidentali”, di sicuro ci riserverà un’altra pandemia. Invece di un’inutile mozione di sfiducia individuale, sarebbe utile dar vita a una commissione di inchiesta parlamentare. Anticipo l’obiezione: le commissioni parlamentari di inchiesta non sono quasi mai servite a nulla. Vero. Ma se la interpretassimo non come un tribunale che deve scovare i colpevoli, ma come un’assise qualificata che deve mettere a fuoco le lacune nei processi e nelle strutture decisionali, da un simile lavoro sarebbe difficile non trarre qualche prezioso insegnamento.
Andrea Cangini, senatore di Forza Italia
Al direttore - Il Recovery di Mario Draghi è un capolavoro neoliberista e un capolavoro dell’inclusione sociale, della difesa dei fragili, degli esclusi, di chi non ha avuto un punto di partenza fortunato nella vita. Ci siamo detti per tanto tempo che i governi che si sono succeduti negli ultimi anni mancavano di una visione: oggi la visione c’è, lucida, di prospettiva e ottimistica. E’ una visione che non ci saremmo immaginati, chiusi nel rincorrere le emozioni del momento, la rabbia del momento, l’esigenza di avere tutto e subito e di toccare con mano dopo 24 ore quello che la politica prometteva smentendo troppo spesso se stessa. Il Pnrr di Mario Draghi ha le sembianze di una rivoluzione culturale, ove danzano insieme orizzonti che pensavamo essere condannati a un eterno conflitto: la centralità dei fondi per le residenze per gli anziani, per i disabili, per le aree bisognose del sud , le politiche per le abitazioni non sono più un mero assistenzialismo, di ideologica memoria, ma un asse portante di uno stato che coniuga la libertà e l’inclusione nei confronti di chi è più debole.
Ecco quindi il dipinto che non vede più le aree interne, le zone del meridione, i territori arretrati come un peso per l’economia del nostro paese, ma diventa un arazzo ove interventi strutturali rafforzano la dotazione dei servizi essenziali e colmano i divari di connettività e digitalizzazione e aumentano l’attrattività dei territori a maggior rischio di spopolamento e povertà, consegnando una cittadinanza libera, con diritti veri e fruibili per le nuove generazioni, per le donne, per gli anziani. In altre parole Mario Draghi con il Pnrr apre le tende di una finestra e scopre uno stato che arretra in nome della produttività e sostiene i deboli, non in nome di un’assistenza pelosa, ma di una vera inclusione sociale
Fiammetta Modena, senatrice di Forza Italia
Al direttore - Ho letto che Giorgia Meloni, il 25 aprile, non ha trovato di meglio da fare che creare una simmetria tra la libertà dal nazifascismo e la libertà dal coprifuoco. Cito un suo tweet: “Draghi oggi dichiara: ‘Libertà e diritti non sono barattabili con nulla’. Quindi avete deciso finalmente di abolire il coprifuoco?”. Dedicato a chi ogni tanto mi dice che Meloni è quella presentabile.
Luca Sarrini
Trovo insopportabile questa idea che essere prudenti significhi essere illiberali e questa idea che essere cauti significhi essere dei pavidi, dei vigliacchi, dei senza palle. Spiace per Matteo Salvini, per Giorgia Meloni e per tutti i brillanti governatori di regione che dimostrano di avere imparato poco dai propri errori, dagli errori di chi un anno fa diceva che virus o non virus l’Italia doveva ripartire, spiace per loro ma essere prudenti è un modo non per comprimere la libertà, ma per provare a difenderla. Il nuovo 25 aprile, cara Giorgia Meloni, non è la liberazione dal coprifuoco ma è la liberazione dal virus. E libertà è anche avere il coraggio di prendersi un giorno libero per non aprire Twitter solo per dargli fiato.
Al direttore - Senza nulla togliere a Pfizer, Moderna e AstraZeneca, il vaccino Johnson & Johnson resta l’unica via di shampoo.
Michele Magno